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9 - La Repubblica Romana del 1849

29 aprile 1849

Emilio Dandolo e Luciano Manara

Emilio Dandolo e Luciano Manara

29 aprile 1849: la preparazione alla difesa di Roma

29 APRILE

La mattina del 29 aprile, due giorni dopo l'arrivo della Legione, fecero il loro ingresso nella città i Bersaglieri lombardi, reggimento che rappresentava tradizioni politiche e militari molto diverse da quelle dei Garibaldini, ma devoto non meno di questi alla causa italiana, e destinato a sostenere una parte non meno memorabile nella difesa di Roma. Il loro comandante, il prode Luciano Avezzana, era un giovane aristocratico milanese che si era distinto nelle famose Cinque Giornate, e aveva capitanato i volontari nella seguente disastrosa campagna. Dopo che Milano era ricaduta in mano agli austriaci, e dopo l'armistizio dell'agosto 1848, il Avezzana aveva raccolto il fiore degli esuli lombardi e piemontesi nella brigata generalmente nota sotto il suo nome. Essi avevano giurato fedeltà alla casa di Savoia ; ma dopo Novara Vittorio Emanuele non era stato in caso di dar loro asilo nel suo territorio, ed essi non avendo voluto ritornare in Lombardia a esservi sferzati e fucilati dal Radetzky, si eran trovati a errare nel «paradiso della Riviera» come «se fossero messi al bando da Dio e dagli uomini a un tempo». In tale situazione egli e seicento dei suoi avevano eletto di veleggiare per Roma, più per non aver dove andare che per entusiasmo verso la Repubblica. Secondo un loro compagno di viaggio, essi eran quasi tutti gentiluomini di Milano e Pavia. Nel porto di Civitavecchia i francesi non solo avevano rifiutato loro il permesso di sbarco, ma li avevan fatti prigionieri, contro ogni legge e ogni equità. «Voi siete lombardi» aveva detto l'Oudinot, «e gli affari di Roma non vi riguardano». «E voi», aveva risposto il Avezzana, «non venite da Parigi, da Lione, o da Bordeaux?» Finalmente avevan ottenuto di procedere fino a Porto d'Anzio cento chilometri più al sud, e di sbarcarvi sulla loro parola d'onore che si sarebbero mantenuti neutrali e non sarebbero entrati in Roma prima del 4 maggio, per la qual data i francesi confidavano di essere padroni della città. Ma ricevuto al loro sbarco l'ordine dell' Avezzana di recarsi senza indugio a Roma, lo avevano obbedito, rompendo così la lettera della promessa che i francesi avevan estorta loro con violazione di ogni legge internazionale ; ne osservarono però lo spirito astenendosi loro malgrado dal prendere una parte qualsiasi nel combattimento del 30 aprile. Per tal modo il 29 aprile, alla vigilia della battaglia, i lombardi marciarono nella capitale con l'uniforme scura e il cappello piumato dei Bersaglieri piemontesi che è ancora oggi agli occhi dell'Europa il simbolo dell'esercito del Re d'Italia. La presenza di questi uomini in divisa reale e con la croce di Savoia sulle loro cinture, a fianco delle casacche garibaldine e dei cappelli alla calabrese, trasformava la difesa di Roma da azione di partito a impresa nazionale. Ma essi «gli aristocratici», come li chiamavano in Roma, monarchici devoti al Re di Piemonte, dalle cui sole mani aspettavano la liberazione della loro Lombardia, erano venuti senza predisposizioni amichevoli verso la Repubblica mazziniana. Ne eran disposti a ammirare le virtù militari delle truppe irregolari. Volontari essi stessi in principio, avevano assimilato dai soldati regolari piemontesi, il riserbo, la disciplina e le tradizioni professionali per cui quelli erano ben noti ; anzi molti eransi già militarizzati negli anni precedenti, al servizio dell'esercito austriaco, come coscritti. Nessuna meraviglia dunque se la loro prima impressione della Repubblica e dei suoi soldati multicolori fu ostica ; la rapidità con cui cedettero poi a un'opinione favorevole, non del repubblicanesimo ma dei repubblicani, è perciò un attestato di fiducia sincero e imparziale verso i difensori di Roma. Emilio Dandolo, soldato e storico della Brigata, ci ha descritto i sentimenti dei suoi compagni d'arme al loro entrare nella città alla vigilia della battaglia, a cui, legati com'erano di promessa all'Oudinot, sapevano di non poter prender parte :

«Ai variatissimi ed elaborati evviva che ci venivano indirizzati, non rispondevano nulla i nostri Bersaglieri, avvezzi a contegno e dignità militare ; ciò che scemava un po' l'entusiasmo e faceva cattivo effetto su quel popolo abituato a sentire i Volontari fare ad ogni pretesto sotto le armi, la loro professione di fede politica. Prima di entrare in quartiere, il generale Avezzana passò in rivista il battaglione. Volle licenziarci con una allocuzione e terminò col grido : «Viva la Repubblica». I soldati rimasero immobili e silenziosi al presentai arm !... «Viva l'Italia» gridò Avezzana avvedendosi dell'impaccio del generale. «Viva !» risposero tutti, e le file vennero disciolte. «La prima impressione che destò in alcuni di noi la vista di Roma, fu d'ineffabile tristezza. Già esperti dai miserandi nostri casi, a giudicar dei sintomi di decadenza d'un governo o d'una città, noi vedemmo con dolore che Roma presentava l'identico aspetto di Milano negli ultimi mesi della sua libertà. La soverchia cura delle cose piccole e d'apparenza, la trascuranza delle grandi, ecco quello che ci sembrava di scorgere. Quella moltitudine di bandiere, di coccarde, di sciarpe; quelle durlindane strascicate per le vie ; quei mille uniformi d'ufficiale di cui non uno uguale all'altro, ma tutti propri più di saltimbanchi o di commedianti che di militari; quelle spalline gettate addosso a certi individui che al solo fissarli in volto se ne mostravano indegnissimi ; fino quel popolo pacificamente plaudente dalle finestre e dai caffè, tutto ci faceva presagire sul principio, che noi eravamo arrivati solo per assistere allo scioglimento d'una ridevole commedia. Avvezzi da qualche tempo a giudicare delle cose di guerra coll'occhio di truppe regolari, tutta quella moltitudine di guerrieri dal cappello acuminato, dal fucile a due canne e dal pugnale alla cintola, non ci rassicurava gran fatto sulla scarsità dei soldati da reggimento. «Ma la sera, quando affaticati dalle lunghe marcie noi ci recavamo al rapporto serale, per poi riposare, la generale battè per la città, e tutto fu in moto per resistere all'avvicinarsi dei Francesi. Chi avesse veduto Roma quella sera, non l'avrebbe più riconosciuta per quella del mattino, e noi ci ricredemmo, e ben lietamente, del triste concetto in che l'avevamo. «In tutte le contrade vicine a Porta Angelica e dei Cavalleggieri, bivaccavano sotto le armi piccoli ma bellissimi reggimenti di linea, due magnifici battaglioni di carabinieri, quattro o cinque batterie di campagna : in Piazza Navona due reggimenti di cavalleria ; sulle mura le Legioni di Volontari ; la numerosa Guardia Nazionale, ai rispettivi quartieri. Allora gli abiti da ciarlatano erano, secondo il solito, scomparsi ; ognuno che aveva una coccarda, stringeva anche in mano un fucile per tutelarla. Noi passammo la notte in Piazza San Pietro ammirati dallo spettacolo, lieti di vederci in mezzo a soldati, ad un popolo fidente e risoluto. Noi comprendemmo come Roma potesse resistere nobilmente, e ringraziammo allora il Cielo, che in mezzo alle vergogne e alle sventure d'Italia ci fosse aperto il campo a mostrare che eravamo immeritevoli del nostro destino». Dandolo, 194-197; ediz. ital. 1849. 167-169.

Le truppe che anche prima della battaglia estorcevano in questo modo ai loro alleati lombardi una celata approvazione, montavano a circa 7,000 o 9,000 uomini, e si componevano di quattro elementi ben distinti. In primo luogo vi erano le truppe papali regolari e i Carabinieri che si erano messi dalla parte della rivolta contro i loro governanti, sia perché dividevano le aspirazioni naturali a tutti i laici e a tutti gì'italiani, sia perché come soldati erano sempre stati negletti e lasciati in cenci e penuria mentre i reggimenti svizzeri, sempre più cari al cuore dei despoti impopolari, si erano goduta una paga più alta e una più bella divisa. Di questi regolari, 2500 erano allora sotto le armi in Roma. In secondo luogo vi erano i Garibaldini o la prima Legione Italiana, che contava circa 1300 uomini reclutati per lo più nelle provincie papali, specialmente nella Romagna, e tutti italiani, air eccezione forse di una quarantina fra ufficiali e semplici. Dall'arrivo in Roma, si erano accresciuti di elementi eccellenti, per lo più di artisti, fra cui Nino Costa. Nella stessa categoria dei reggimenti volontari reclutati nelle provincie degli Stati Romani, e che non avevano ancora visto il fuoco, si possono mettere i 300 Finanzieri, sotto Callimaco Zambianchi, indegno ufficiale che guadagnò ai suoi uomini un cattivo nome per violenze commesse contro i preti. In terzo luogo venivano i 1400 volontari della città e delle Provincie, formanti i reggimenti che dopo la valorosa quanto sfortunata parte avuta nella campagna lombarda contro l'Austria, avevano capitolato a Vicenza e eran tornati a Roma. Questi comprendevano i Reduci (600), — la cui divisa era stata macchiata di onta dai cattivi soggetti che avevano partecipato all'assassinio del Rossi, — e la Legione Romana libera da taccie simili sul suo onore. Il quarto elemento era costituito dagli abitanti di Roma che non avevano ancora avuto esperienza di guerra, arruolati in vari corpi volontari, quali i 300 Studenti e i 1000 della Guardia Nazionale, più altre poche centinaia di non incorporati che accorrevano alle mura o erano addetti alla difesa interna delle barricate con qualunque arma capitasse loro alle mani. La mattina del 30 aprile furono visti i trasteverini, la cui furia innata erasi ormai concentrata tutta sui preti e sui francesi, sbucare dai neri angiporti del loro quartiere sul fiume, e lanciarsi su per il ripido fianco del Gianicolo brandendo fieramente aste e schioppi, e stringendo i coltelli fra i denti.

E l'attacco dell'esercito francese avanzantesi al nord-ovest da Civitavecchia, per Palo, doveva di necessità esser diretto sulle colline del Gianicolo e del Vaticano, contrafforti della riva destra del Tevere. Questa porzione minore di Roma che sta sulla riva occidentale, è circondata da una cinta di mura relativamente moderne; le fortificazioni del Vaticano e del Borgo son state fabbricate nell'ultimo periodo della vita di Michelangelo, in seguito al panico prodotto dal sacco del Connestabile di Bourbon ; ma le mura del Gianicolo, da Porta Cavalleggieri a Porta Portese, sebbene cominciate nel secolo decimosesto, sono principalmente opera di Urbano Vili che le ha erette verso la fine della guerra dei trent'anni (1642 circa). Nel 1849 queste mura non erano ancora mai state la scena di una difesa famosa, al contrario di quelle sull'altra riva erette dall'imperatore Aureliano, da cui le Legioni di Belisario avevan respinto i Goti, e che sole proteggevano il grosso della città anche allora. Quelle del Papa che stavano per aver la loro parte nella storia, si possono dividere in tre sezioni. Prima, il circuito sporgente che va da Castel Sant' Angelo a Porta Cavalleggieri e include la città bassa del Borgo, e San Pietro e gli alti giardini vaticani ; seconda, il Monte Gianicolo dominante il quartiere di Trastevere steso ai suoi piedi, vera chiave di Roma da cui l'intera città può esser data in balia ai cannoni, e difeso da quella porzione delle mura che va da Porta Portese in basso vicino al fiume, a Porta San Pancrazio in cima al colle : terza, la linea di cinta che correndo dritta fra queste due posizioni unisce la Porta San Pancrazio alla Porta Cavalleggieri, e al di sopra della quale oggi sorge la colossale statua equestre di Garibaldi. Le fortificazioni erette da Urbano Vili e dai suoi predecessori sarebbero apparse formidabili esempi d' arte difensiva a Oliver Cromwell se egli, novello Annibale, fosse venuto con i suoi puritani a avverare la profezia di Andrew Marvell, ma erano ormai fuori di data fin dal tempo di Vauban. Pure offrivano ancora un serio ostacolo ai cannoni del 1849, più che non facessero le Aureliane sull'altra riva del Tevere. Queste, fabbricate mille anni prima della polvere da fuoco, eran fornite di gallerie per la fanteria e le catapulte i cui antimurali a perpendicolo non offrivano resistenza ai cannoni moderni, e di torricelle quadrate dove questi non potevano esser trascinati. Invece le mura papali che i francesi dovevano attaccare, erano in pendenza rientrante dalla base all'antemurale degli spaldi e i loro bastioni avevano larghe piattaforme sterrate che servivano a dar solidità alla muratura esteriore e a stazionare a tutto agio le batterie. Pure, per quanto gli assediati si compiacessero della solidità e utilità relativa delle fortificazioni di Papa Urbano Vili, la posizione aveva un difetto irrimediabile. Dall'altra parte delle mura il terreno era allo stesso livello, anzi la Villa Corsini era anche più alta, della Porta San Pancrazio ; così che gli assedianti potevano erigere batterie a altezza pari o maggiore che quella degli assediati, e a non più che qualche centinaio di metri dalla linea di difesa. Questo difetto doveva risultare fatale nel giugno ; il 30 aprile vi pose riparo l' energia di Garibaldi, che, essendogli stata affidata la difesa del Gianicolo, vide la necessità di condurla non da dietro le mura ma di sull' altura delle Ville Corsini e Pamfili, fuori la Porta San Pancrazio. Aveva con se la sua Legione, più di 1000 uomini, il reggimento degli studenti e degli artisti, dai 250 ai 300, e le truppe volontarie degli Stati Romani, 900 inclusi i Reduci. Alle sue spalle dentro la città stava in riserva il colonnello Galletti con circa 1 800 uomini fra volontari e regolari dell'esercito papale. La cinta del Vaticano era tenuta dal colonnello Masi con 1700 uomini dell'esercito papale e 1000 della Guardia Nazionale. Queste disposizioni erano state prese dal Ministro della Guerra Avezzana, a cui Garibaldi, l'eroe della giornata, attribuì il successo dell'azione. In vedetta sull'alta terrazza della Villa Corsini, egli spingendo l'occhio al di là della valle a vigne che lo separava dal nemico, poteva spiarne l'avvicinarsi e seguirne il primo attacco alla Porta Pertusa, l'angolo più sporgente della cinta del colle Vaticano.

GEORGE MACAULAY TREVELYAN
GARIBALDI E LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA