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13 - La Repubblica Romana del 1849

ancora sul 30 aprile

RAFFET Denis Auguste Marie: La devozione del clero Cattolico a Roma.

RAFFET Denis Auguste Marie: La devozione del clero Cattolico a Roma.
"Mgr. Luquet, Evêque d'Esebon, Mrs. de Mérode, Villiers de l'Isle-Adam, etc., salvano la vita, a rischio della propria a numerosi soldati francesi feriti e prigionieri"

Dévouement du clergé catholique dans Rome (30 Avril 1849)"Mgr. Luquet, Evêque d'Esebon, Mrs. de Mérode, Villiers de l'Isle-Adam, &ca., sauvent la vie au péril de leurs à plusieurs soldats français "blessés et faits prisonniers"

I resoconti francesi e napoletani sulla battaglia del 30 aprile 1849

Il 29 aprile, il corpo spedizionario bivaccava a Castel di Guido , situato a sei chilometri da Roma, quando il comandante in capo, volendo conoscere al più presto possibile le disposizioni delle truppe romane, diede ordine al capitano Oudinot, suo officiale d'ordinanza, di andare fino ai loro avamposti con una scorta di cacciatori a cavallo. Il capitano inoltrossi fino a dodici chilometri dalla città. Un posto avanzato intercettandogli la strada , egli si ferma per entrare in trattative; le sue parole sono accolte con una scarica che smonta d'arcioni uno de' cavalieri francesi. Il picchetto romano dopo avere tirato, si ripiega rapidamente. Fedele alle istruzioni che aveva ricevute , il capitano Oudinot ritorna tosto a render conto di sua missione. Il comandante in capo era circondato dal suo stato maggiore.
— Ebbene ! che vogliono i Romani ? domandò egli al suo officiale di ordinanza.
— -La guerra, rispose il capitano Oudinot; mi hanno ricevuto a fucilate.
— « Se vogliono la guerra, replicò il generale, l'avranno, ma dobbiamo far tutto per evitarla ».
Tuttavia, questo fatto isolato non distrusse ogni speranza di conciliazione; il duca di Reggio sapeva per diversi rapporti che i Romani farebbero un simulacro di resistenza per salvare l'onore delle armi. La dimane, a ore 5 del mattino, le truppe si rimettono in strada nello stesso ordine del giorno innanzi, a meno di questo cambiamento: il battaglione de' cacciatori a piedi marciava alla testa appoggiato dalle compagnie di volteggiatori del 20° di linea. Il caldo era eccessivo; nello scopo di risparmiare agli uomini un aumento di fatica, gli furon fatti deporre i sacchi a Maglianella, sotto la guardia di una sezione del 33° di linea: non conservarono che i loro cappotti e i sacchi d'accampamento arrocchiati a tracolla e contenenti il biscotto e le munizioni da guerra.
La strada che seguivano le truppe si biforca a mille metri dalle mura bastionate della città. La strada a destra conduce alla porta San Pancrazio, quella a sinistra rimette a porta Cavalleggeri; la colonna prese questa, dopo averne fatto occupare le alture. Nessun nemico erasi mostrato dopo la recognizione fatta dal capitano Oudinot, tutti si erano riparati dietro i baluardi.
In questo momento si fa sentire un colpo di cannone. Un officiale, che conosceva gli usi di Roma, esclama guardando il suo
orologio: « Non è niente, è il cannone che annunzia l'ora di mezzogiorno »; e nel medesimo istante rintruona un secondo colpo ed una palla fa una sanguinosa buca nelle strette file della colonna. La guerra era incominciata! Il comandante in capo da subito i suoi ordini; allora, mentre che i cacciatori a piedi ed i volteggiatori di linea si dispongono alla bersagliera , profittando di ciascuna accidentalità del terreno per ripararsi contro il fuoco dell'artiglieria che tuona senza intervallo , Kourdcaux , capo di squadrone di artiglieria, pone una sezione di due pezzi sul un alto piano situato ad una distanza di novecento metri e di fronte al bastione d'onde partivano i colpi che andavan diritti per la strada; un'altra sezione di altri due pezzi insinuandosi a galoppo traverso i proiettili sotto le arcate di un acquedotto , si porta sulla destra della strada e prende posizione a trecento metri dal bastione. Posti così, i quattro pezzi dirigono un fuoco vivissimo su tutto ciò che si presenta sui baluardi, e cercano di smontare i pezzi nemici ammirabilmente serviti da alcuni artiglieri svizzeri. Durante questo tempo, il 20° e il 33° di linea si lanciano risolutamente in avanti traverso una grandine di palle per imboscarsi nelle vigne che guarniscono la collina. Dal canto loro i Romani, in numero di quattro in cinque mila fanno una sortita sotto gli ordini del Garibaldi e si insinuano nella villa Pamfili sotto la protezione degli alberi che proteggono il loro movimento. Questa sortita ha per scopo di far mutar posizione ai Francesi e di prendere la colonna alla coda mentre che il fuoco della piazza la mitragliava alla testa. Una compagnia di cacciatori a piedi imboscandosi in un burrone imprime bentosto un movimento di ritirata al nemico, che si rifugia in parecchie case vicine e inabitate. Alcune compagnie del 20° di linea, lanciate in questa direzione, ne le sboscano dopo aver fatto provar loro sensibili perdite. Il fuoco erasi impegnato da una parte e dall'altra con grande accanimento; da una parte e dall'altra pure il sangue scorreva in abbondanza. Nella seconda sezione , il luogotenente Pachon ed alcuni uomini cadono mortalmente feriti: parecchi cavalieri sono rovesciati a terra. Allora il capitano Fabart esclama: « Generale, ho riconosciuto più innanzi una strada che conduce senz'essere esposti al fuoco de' bastioni a porta Angelica, ove deve prodursi energicamente la dimostrazione preparata a nostro favore ». Non vi era un istante da perdere ; il generale Oudinot fidandosi ad una dichiarazione così positiva, prescrive con calma al generale Levaillant (Carlo), di portarsi su quella direzione con due pezzi ed una parte della brigata. Il capitano Fabart, ingannato dalle sue memorie , trascina la colonna in un sentiero che è subito fulminato dall'artiglieria nemica; questo prode e temerario officiale cade tosto colpito da cinque pezzi di mitraglia; quattro cavalli della sezione d'artiglieria sono stesi al suolo, mortalmente percossi. I Francesi trovavansi a mezzo tiro di pistola dal nemico, una parte della brigata Levaillant dovette stabilirsi e trincerarsi nelle case vicine; l'altra parte si vide costretta a riparare dietro le mura sotto lo stesso cannone della piazza. Durante questo tempo , la brigata Molliere combatteva valorosamente a porta Cavalleggeri.

Su questo punto, i colonnelli Marulaz e Bouat del 20° e 33° di linea, si lanciarono con un centinaio di uomini su porta Portese; trasportati dal loro bollente coraggio, arrivano a cavallo fino a pie del bastione, profittano di una sinuosità di terreno per imboscarvisi, ma il numero de' Romani e più ancora i lavori accumulati per la difesa della piazza non gli permettono di proseguire cotale audace impresa.
Mentre che i giovani soldati della Francia esposti a un oragano di ferro ricevevan così valorosamente il battesimo del fuoco, il capo di battaglione Picard, manovrando all'estrema destra con dugento cinquanta uomini del 20° di linea, impadronivasi di una posizione avanzata per facilitare una diversione operata, sulla sinistra, dal generale Levaillant. Questo movimento da prima riuscì, ma poi su tutta la linea avendo cessato il fuoco , i Romani uscirono in folla per la porta San Pancrazio, agitando fazzoletti bianchi e gridando: « È già fatta la pace, viva la pace! Stamattina nemici, stasera fratelli, viva la Francia! viva i Francesi! » Allora il comandante Picard non dubitando che il movimento operato su porta Angelica, non avesse aperto l'ingresso di Roma al generale in capo, si decide a rendersi egli stesso in città per prendere i di lui ordini; ma non volendo operar nulla a caso raccomanda a' suoi di conservare la loro posizione. I Romani profittano della sua assenza, e del loro numero per circondare, mettere alle strette e trascinare dentro in città quel piccolo distaccamento, che disarmano dichiarando che era prigioniero di guerra.
A prezzo di inauditi sforzi ed incredibili prodigi di valore, il comandante in capo riconosce che una più lunga persistenza sarebbe inutile essendo il movimento reazionario stato compresso dalle bande del Garibaldi e de' Lombardi entrati in città contrariamente alla stipulazione scritta da Civita Vecchia.
In conseguenza , egli dà il segnale della ritirata e l'ordine di fare trasportare i feriti su Maglianella. Ma come neppure un soldato romano aveva atteso i Francesi che marciavano su Roma, similmente neppure un solo osò seguirli nel loro movimento di concentrazione.
Tutte le truppe della colonna si riunirono immediatamente su quel punto, ad eccezione del generale Levaillant (Carlo) che dovette attendere con alcune compagnie , l'oscurità della notte per riprendere e condur via a braccia i due pezzi di cannone abbandonati sulla strada di porta Angelica. Dal canto suo il comandante in capo gli raggiunse colà a due ore dal mattino coll'estrema retro-guardia; giunto il primo sul campo di battaglia fu l'ultimo a lasciarlo. Allora mentre che i soldati si riposavano di loro fatiche, spedì al ministro della guerra un dispaccio telegrafico annunziandogli il resultamento della giornata del 30 aprile e dicendogli che Roma avendo chiuse le porte all'esercito spedizionario, doveva ormai essere I'oggetto di un attacco regolare e non di una semplice recognizione. Egli non potè indirizzargli un rapporto circostanziato che il 4 maggio (1), poiché tutti i bastimenti che erano stati messi a sua disposizione si erano resi in Francia per caricarvi nuove truppe.
Per riparazione, l'onor della Francia esigeva una vittoria; il generale la promise a' suoi soldati, e vedremo com'egli mantenne la parola. Come abbiam detto, un gran numero di giovani soldati della Francia, il 30 aprile, vedeva il fuoco per la prima volta. Essi sopportarono ammirabilmente questa prova combattendo allo scoperto un nemico dieci volte più numeroso e nascosto dietro a forti muraglioni, non si perderono per un istante di animo e sostennero degnamente il nome del valore francese, il pericolo aumentò il loro coraggio , l'ostacolo accrebbe la loro energia.
Fra' prodi che sostentarono con più coraggio e sangue freddo, il sotto intendente Dutheil si distinse tanto per l'intrepidezza con cui stabilì le sue ambulanze sotto il fuoco del nemico, quanto per le cure intelligenti che fece dare ai feriti. Parecchi sacerdoti furono pure ammirabili per devozione, e fra gli altri monsignore Luquet, vescovo di Hezebon, I'abate del Casquer e l'abate di Herode.

(1) Ecco quale era questo rapporto:
« Faceva d'uopo, dicevasi da ogni parte, onde evitare lo spargimento del sangue, di non lasciare accrescersi in Roma i mezzi di repressione e di difesa. Alcuni ufficiali molto intelligenti, da me inviati in quella capitale per studiarvi I'opinione pubblica , dichiaravano unanimemente dal canto loro , clic una significante dimostrazione ai Romani era necessaria, e basterebbe per sospendere immediatamente tutti i preparativi di resistenza. Una pronta determinazione era dunque imperiosamente prescritta. Il 28 aprile , il corpo di spedizione parte da Civita Vecchia; si accampa il 29 a Castel-Guido; fin lì nessuna ostilità. Volendo conoscere il più presto possibile le disposizioni delle truppe della repubblica romana* prescrissi al capitano Oudinot, mio ufficiale d'ordinanza, di andare lino agli avamposti con alcuni cacciatori a cavallo; e gli incontra a Ire leghe circa dal nostro campo. Le parole pacifiche di quest'ufficiale sono accolte da una scarica che stende al suolo uno de' nostri cacciatori. Questo è un fatto isolato che non ci toglie ancora ogni speranza di conciliazione. Continuiamo a marciare senza incontrar l'inimico, e prendiamo posizione sull'altura che domina l'ingresso della città, per la porta Portese , coll'intendimento di fare un ultimo appello alla concordia; ma la bandiera rossa sventola su tutti i forti, oltraggiose grida accompagnano un vivissimo fuoco. Malgrado gravi ostacoli, la brigala Molliere occupa le alture a destra e a sinistra della strada. L'infanteria, I'artiglieria , rispondano vigorosamente al fuoco della piazza; ma il nemico si tiene dietro le mura, mentre i nostri soldati sono allo scoperto. Per far diversione, ordino alla brigala Levaillant di fare un movimento aggressivo sopra una strada di sinistra che conduce a porta Angelica. II valoroso ufliciale che erasi offerto a guidare quella truppa , invece di prender la strada che vi conduce protetta dalle mura, prende una strada più diretta, ma esposta al fuoco dell'inimico. L'ardore dei nostri soldati non si è rallentato , e benché la strada sia parallela e meno distante di dugento melri dalle mura, essi vi entrano temerariamente. Nello stesso momento, i colonnelli -tienila e Montili, dei 20° e 33° di linea, che fanno parte della brigata Molliere, si slanciano con un centinaio d'uomini del loro reggimento su porta Portese; arrivano fino a pie delle mura. Profittando d'un riparo di terreno, essi s'imboscano; ma i lavori di recente accumulali rendono impossibile quell'audace impresa. Fin dal principio dell'azione, alcuni battaglioni nemici avendo tentalo di scendere al piano . souo costretti a ritirarsi dietro le trincere. Non era nostro intendimento fare un assedio, ma una significante dimostrazione che venne eseguila nel modo il più glorioso. Ho dunque fatto sospendere il combattimento , ed ho passata la notte nel luogo stesso in cui si era incomincialo a venire alle mani , senza che alcun soldato nemico abbia osato uscirò da' suoi ridotti. Il 1° e 2 maggio, il corpo di spedizione è rimasto in posizione a Castel-Guido; ho ricevuto avviso dell'arrivo a Civita Vecchia della terza brigala «. (N. del Tr.)

I capi della repubblica romana, temendo da una parte delle rappresaglie verso i loro soldati prigionieri; dall'altro canto la democrazia francese con cui la loro corrispondenza era attivissima, inviando ad essi delle istruzioni segrete, le loro disposizioni ostili cambiaronsi tosto in testimonianze di calcolata benevolenza pei gallici soldati.
"Non temete di niente, disse Mazzini ad un degli officiali prigionieri; potete contare su tutti i riguardi che vi sono dovuti; i nostri amici di Parigi desiderano che si stabilisca fra noi una fratellanza comune. — Sono al di sopra del timore, replicò l'officiale francese; adempii al mio dovere".
Allora i soldati trovaronsi esposti a numerose seduzioni, a pressanti promesse tendenti a strappargli un segno di protesta contro lo spirito della spedizione francese. Rigettarono energicamente le une e le altre. Si videro semplici soldati rifiutare con indignazione gli alti gradi che gli venivano offerti nell'esercito romano e respingere indignati l'oro che veniva offerito nelle loro strettezze.
Lo storico deve registrare per la gloria della Francia, che nel 1849 non trovossi un solo Francese che volesse imitare l'esempio di un contestabile di Borbone (1).

Durante quel tempo seduzioni d'altro genere assediavano il letto dei miseri feriti francesi. Donne, per lo più appartenenti alle classi fortunate della società, giovani donne dallo sguardo affascinatore, dalle nude spalle e seducentemente adorne, assidevansi al capezzale de' malati francesi per far de' proseliti colla voluttà.

Queste donne, presiedute dalla principessa di Belgiojoso e dal padre Gavazzi intitolavansi suore della carità. « Lasciatemi, signora, diceva ad una di esse un giovine Bretone che aveva avuto fracassata una coscia , lasciatemi morire in pace ». In giornata il Bretone morì, dicendo: "Mio padre si consolerà pensando che sono morto per la causa del papa".
Un volteggiatore, gravemente ferito, divenuto l'oggetto delle premure della principessa Belgioioso, per unica risposta fu pago domandarle dove stava di casa e l'ora de' suoi appuntamenti notturni. A questa donna di alta nascita i soldati francesi avevano messo il soprannome di Bellagioiosa. Tuttavia nobili eccezioni facevano contrasto con queste testimonianze d'ipocrita filantropia; dobbiam citare in prima linea il nome della duchessa Rampon, la cui devozione fu costantemente al livello della carità. Un giorno, questa giovine donna visitando le ambulanze domandò ai soldati francesi se erano ben tenuti. — « Oh! signora si, rispose uno di essi, queste signore usano molte attenzioni per noi. — Anche troppe, replicò vivamente un caporale gravemente ferito. — Per le cure non vi è che dire, aggiunse un terzo, ma per ciò che riguarda la morale la cosa è ben diversa. Che donne ! al reggimento non vorremmo neppur saperne per cantiniere ».

(1) Qui alludevi al celebre contestabile Carlo II duca di Borbone , il quale dopo di aver servita la Francia col più gran valore, fu spinto a tradirla, nel 1523, per le molestie suscitategli dalla madre di Francesco I, facendosi capitano di Carlo V. (N. del Trad.)

Come sempre accade per le nature deboli e indecise,i resultati della giornata del 30 aprile, eccitando al più alto puntole idee di resistenza , che da gran tempo germogliavano nel cuore de' rivoluzionari, troppo compromessi per fare un movimento di conversione, trascinarono gl'indifferenti e gl'indecisi in una via di lotta. Gran numero di Romani, che due giorni innanzi avrebbero acclamato Pio IX e l'esercito francese, lasciandosi persuadere che erano eroi, gridarono più fortemente degli altri: Viva la repubblica! Come in Francia, gli uomini della dimane, rannodavansi a quelli della vigilia, accettavano per paura una situazione che in realtà erano ben lungi dal desiderare. Per essi sopratutto, il generale Avezzana ministro della guerra pubblicò alle ore otto della sera allo splendore delle faci e de' lampioni, quest'enfatico proclama:

Invincibili Romani!
« Una parte della divisione francese, verso le dieci del mattino, assaliva vigorosamente le nostre truppe dal lato della porta San Pancrazio e dal muro di cinta del Vaticano. I nostri bravi repubblicani provarono con fatti che erano i degni figli de' Bruti e degli Scipioni. Il nemico fu respinto su tutti i punti.
« Un nuovo Brenno ci suda smentireste voi la vostra origine? Questa giornata fu testimone di fatti ispirati dal più grande eroismo. Popolo, tu nascesti libero; popolo, tu fosti il signore del mondo; popolo, vuoi tu accettar le catene della schiavitù? »
Alcuni rivoluzionari francesi posero fine a questa giornata bevendo alla locanda della Minerva del vin di Sciampagna in onor del trionfo delle schiere romane.

Storia della rivoluzione di Roma - Alphonse Balleydier - prima versione italiana Firenze 1851

29 APRILE.

Oggi Oudinot da Castel di Guido ha mandato il Capitano Oudinot suo uffiziale di ordinanza con alcuni cacciatori a cavallo a fare una ricognizione, ma a tre miglia di cammino fu accolto da una viva fucilata dagli avamposti, un cacciatore fu ucciso.
Oggi è stata creata una Commissione centrale delle barricate composta da Caldesi Cernuschi e Cattabeni Andrea di Senigallia, fin dall'infanzia intimo di casa Mastai, e uno dei tre scrittori del Giornale la Bilancia con Francesco Orioli e Paolo Mazio.
Sono stati annullati i certificati per le rendite consolidate intestate alle mani morte.
Finoggi, 29, girano 4,131,000 scudi in carta, e più 1,100,000 di biglietti della Banca Romana.
Oggi sono stati nominati "Ministri della parola viva ed ardente della fede, che infiammi, e sostenga il coraggio del popolo nel momento supremo della patria", quattro rappresentanti, tra quali l'ex-prete Arduini. Essi porteranno per distintivo di loro missione un nastro tricolore al braccio sinistro.
Oggi la Commissione delle barricate, con un suo proclama ai Romani, ha assicurato che "Tutto va bene".
Oggi è stato messo un telegrafo sulla Cupola di S. Pietro.
È stato pugnalato il Governatore di Jesi, Cesare Salmi ma non è morto.
Jeri verso sera alcuni militi di Garibaldi occuparono Villa Lante, dove sono le Religiose del Sacro Cuore, perché punto strategico: e oggi fu intimato a tutte di sgombrare, e riunirsi al Monastero di S. Rufina.
Jeri sera in Trastevere fu ucciso un Prete, perché parlava degli orrori della Repubblica.
Alla Cancelleria, dove risiede l'Assemblea, si formano barricate colle carrozze dei Cardinali Gazzoli, Bernetti, ed altri. Alle 7p. alcuni Civici presero le carrozze del Card. Della Genga per le barricate a S. Pancrazio, ritenendo i carri, e bruciandone le casse. Quelle del Card. Brignole furono salvate mercè 1500 scudi pagati dall'Avv. Pietro Bertini.

Alcune donne, la Belgiojoso, la Pisacane, la Bovio Paolucci, la Paradisi, la Galletti, la Sterbini, pubblicarono un invito alle donne Romane, perchè animassero i loro mariti e figli a battersi, ed esse si occupino in preparare filacce fasce ed altro. Quindi si posero sulle porte delle Chiese a questuare per i feriti, e si notò che ciascuna era affiancata da due persone armate, onde la questua fosse più spontanea.

Sono stati atterrati gli alberi dello stradone da S. Maria Maggiore a S. Giovanni, e quelli di S. Croce in Gerusalemme, del Pincio, e di Termini, lasciandosi a terra incrociati fra loro, come barricate. Il Caldesi delle Barricate ha scritto al Montecchi, onde fare allagare Piazza Navona, come difesa contro l'inimico; ma conosciutosi che era una sciocchezza, non fu fatto.

30 APRILE.

Oggi la Brigata Molière, dall'altura di Porta Portese, risponde all'artiglieria della piazza. Poi la Brigata Levaillant, per una diversione, fa un movimento verso Porta Angelica, trovando sempre resistenza dalle mura. E' mezzogiorno: il fianco di Levaillant è assai molestato. Il Colonnello Picard con un battaglione del 20mo gli è mandato in aiuto, e caccia il nemico fino a porta S. Pancrazio, il quale finge fuggire e chiama il Colonnello in un agguato. In questo Galletti con la Civica alza bandiera bianca in segno di pace. Picard ordina ai suoi soldati rimettere la bajonetta nel fodero, e tosto è circondato da una massa compatta di armati, che lo dichiarano prigioniero di guerra. Levaillant saputo ciò, corre colla sua brigata verso S. Pancrazio, ma vi trova la morte vomitata da tre cannoni di una barricata. Impossibile ai francesi di prenderla. Dalle case e dalle mura piove un fuoco micidiale, un Colonnello e venti uffiziali cadono morti. Levaillant fa sonar la ritirata, dopo aver pugnato dall'una alle sette, ma questa ritirata fu più sanguinosa dello stesso combattimento , mentre i Romani tiravano al coperto, e chiusi nelle mura rimasero vincitori.
Il 1° Maggio i francesi indietreggiando erano a Polidori sulla via di Civitavecchia; il 2 a Palo, dove è il quartiere generale. Essi hanno avuto più di 500 morti.
Prima dell' attacco di quest' oggi ecco le disposizioni date.
Avezzana ha ordinato che tutti i portoni siano aperti, e le finestre illuminate durante la notte. Con un secondo proclama ha vietato a tutti i creditori di non molestare i debitori fino al 10 Maggio. Sono state distribuite le armi al popolo. Sono state create tre compagnie di "tiragliori" a cavallo, composte di guardiani, e contadini. Ogni mercante di campagna, fra due giorni, deve darne due equipaggiati. L'uniforme è a piacere, ma porteranno cappello alla calabrese, con penne di capone, fettuccia rossa, e coccarda tricolore. Al primo suono di campane a stormo, deve esser esposto il SS. in tutte le chiese per implorar la salute di Roma.

La famiglia dei Cisterciensi è stata espulsa da S. Bernardo, e convertito in casa di pena; i frati andranno in S. Croce in Gerusalemme. Ed il manicomio poi alla Longara è passato alla Villa di Frascati, già dei Gesuiti. Il Decreto deplora, che gli alienati viveano in siti insalubri, e godevano della salubrità dell' aria, quei che facevano perdere il senno ai più savi, e abbrutivano il popolo
I Ministri oratori del popolo han dato oggi i primi ricordi al popolo.
Oggi pel Ministro dell'Interno, il Sostituto De Angelis ha scritto a tutti i Presidi, onde mandino armi ed armati a Roma.
Freeborn ha scritto oggi a Palmerston, che i Romani tengono 15 mila uomini in armi. Ha poi chiamato presso di sé tutto il Corpo Consolare, per conoscere, se richiesta la loro mediazione, si sarebbero offerti tutti per risparmiare il sangue e tutti convennero.
L'Assemblea quest'oggi si è adunata all'una p. al Quirinale, presso il Triumvirato, e non alla Cancelleria. Tutti i bidelli ed uscieri erano di guardia ed armati di fucile. Nelle stanze annesse vi erano parimenti tre cassoni di fucili e munizioni, che furono distribuite anche ai Deputati.
Cominciato l'attacco alle 11 a. m. la Civica era sulle mura del Vaticano presso le Fornaci, e sul bastione di S. Pietro. La linea era sulla piazza di S. Pietro, epperò i Romani ferivano e non erano feriti. Il B. Galletti, che tradì i francesi, al momento opportuno uscì dalla Porta S. Pancrazio, e fatti prigionieri i francesi, tra gli applausi furon menati in città. Tra i 200 prigionieri eravi un cappellano francese, che preso per gesuita ebbe tutti i maltrattamenti del mondo. Mons: Luquet francese, Vescovo di Esebon, che trovavasi in Roma, spinto da carità, andò in ajuto dei
francesi feriti e moribondi. Fu arrestato, malmenato, e condotto nelle camere di Avezzana fa anche minacciato di pugnale sotto gli occhi dello stesso Ministro. Parimenti gli Abati De Merode, e Waclemont, Belgi, si offrirono il 29 di andare al campo francese, ma si oppose Mazzini, ed il 30, dopo la pugna, poteron poi compiere i loro pietosi offici.

I cadaveri dei Romani morti furon buttati nel campo francese a putrefarsi, ciocchè fu fatto anche negli altri scontri, e dopo le 7, finito il fuoco d'ambe le parti, si uscì dalle mura per spogliare e frugare sui cadaveri dei francesi.
Un oste fuori porla Cavalleggeri teneva alcuni francesi spedati. I Romani nel perlustrarla vennero alle mani, ma superiori di numero, ne uccisero uno e tre fecero prigionieri. L'oste fu arrestato.
Per l'attacco di oggi, i Romani hanno sofferto una perdita di ottanta. Dell'artiglieria morirono cinque, fra quali un tenente ed altri uffiziali, tre Dragoni, quattro Carabinieri, dieci emigrati napolitani, sette bersaglieri, vari tiragliori, sessanta di Garibaldi, e più un settanta di vari altri corpi approssimativamente.
La città è agitata, e la Civica va pattugliando.
Oudinot, scioccamente, fidando sulle menzogne dettegli il 26 e 27 da G. Galletti, e dal triumvirato, avea creduto una reazione al solo mostrarsi colle armi al braccio, e con pochi pezzi di campagna, totalmente ignaro della parte debole da attaccarsi, di tutto sprovvisto, fino di carte e piante esatte e di cannocchiali. E non è tutto: la massima indecisione regnò nei consigli di Oudinot. Nel partir da Tolone Oudinot disse all'Armata, che andava in Italia per impedire l'intervento straniero, e forse anche per battersi cogli Austriaci. Giunto a Civitavecchia fa annunziare che veniva a combattere l'anarchia, e risparmiare all'Italia i mali dell'invasione. Sbarcato, congiunge sulla piazza le due bandiere francese e italiana in un fascio, e permette che il battaglione Manara vada a Roma. Rusconi, Montècchi, e Pescantini ricevono da Oudinot, a Civitavecchia, le stesse assicurazioni, che non si trattava di restaurazione papale. Intanto mette Civitavecchia in istato di assedio. Sequestra seimila fucili venuti da Francia. Fa prigione il Preside Mannucci. Disarma il Battaglione Nelara. S'impadronisce dei forti. Pone sentinelle alla stamperia. Vieta ogni proclama della Repubblica Romana, Il 26 mettendosi in marcia manda sotto fascia a Rusconi altro proclama, in cui ripete, non voler imporre ai Romani alcun governo contrario ai loro voti. Gl'inviati a Roma mentre negoziano con Campana, Mamiani, Galletti, e i triumviri, ripetono gli stessi sensi, ingannano, e sono ingannati. Finalmente Oudinot sperando nell'interna reazione, in altro proclama all'armata dice, che essa va a Roma come liberatrice della maggioranza, che non vi sarà bisogno di tirar un colpo, e che basterà mostrarsi per essere accolti e acclamati; e s'incamina spensieratamente, senza avvedersi che il Triumvirato dal canto suo, lungo la strada che da Civitavecchia mena a Roma, per un tratto oltre le due miglia, fece piantar di tratto in tratto dei pali, su quali a grosse lettere , rammentava ai francesi l'articolo quinto della Costituzione francese !!!. Forse se davano la scalata, sarebbero entrati benché con gravissime perdite, ma erano in troppo scarso numero, di tutto sforniti, e lottanti contro un nemico ben difeso e coperto. Oudinot dopo la disfatta, confessò, che non aspettava da Romani tanta mala fede, e nell'entrare in Roma, in Luglio, a coprir la sua imperdonabile disfatta, andava dicendo, di aver voluto il 30 conoscer solo lo spirito della truppa e del popolo ! Torniamo ora al nostro Diario.

Alcuni finanzieri armati, nella scorsa notte, si recarono al Convento della Minerva, ne cercarono quel parroco, P. Pellicciala, e condotto a S. Callisto, caserma dei finanzieri, fu fucilato. Questa sera poi il parroco della Madonna del Rosario a Monte Mario, P. Sghirla, fu sorpreso da altri finanzieri, e dopo avergli rubato tutto, lo condussero verso la Camilluccia, e per ordine di un loro uffiziale, fatto mettere in ginocchio, fu fucilato, gettando poi il cadavere in una vigna. Nella stessa notte si procedette all'arresto del Curato e Sottocurato di S. Onofrio, e del Curato di S. Lorenzo fuori le mura, dei quali non si ebbe mai più notizia.
Oggi il P. Gavazzi, Cappellano maggiore, ha scritto ai questori dell'Assemblea, ordinando da parte del Triumvirato, che siano trasportati materassi, e biancherie all'ambulanza centrale della Trinità dei Pellegrini.

Ciò di cui si parla da tutti, è la manovra di Garibaldi nell'attacco contro i francesi, che comandava con un fischio. Dicesi che egli e Bartolomeo Galletti siano feriti. I Romani riparati dietro le mura, alla cui sommità erano arrivati mercè un lungo palco dalla parte dei giardini del Papa, tiravano, e si appiattavano. I francesi per I' opposto erano feriti e morti senza poter vedere o colpire i feritori. Nuovo modo di guerreggiare.
Sul far della sera essendo i francesi privi di uffiziali sanitari, tenendo sicuro l'ingresso, li chiesero ai Romani. Fu risposto, che non solo li avrebbero, ma che potevano affidare alla Repubblica romana i feriti, per esser meglio curati negli spedali, protestando, che sarebbero riguardati come fratelli. L'invito fu accettato, e stamane con varie diligenze furono trasportati in città.

Ma mentre che giacevano negli spedali, molti, e anche i prigionieri feriti del 20° si videro circondati da donne di mala fama, che con seduzioni, e male arti, e prostituendosi vergognosamente, tentavano di farli ribelli alla propria bandiera, o per lo meno, che ritornati ai loro corpi, servissero da apostoli di corruzione coi loro compagni.

Dicesi che al Colonnello ucciso fosse stato trovato l'ordine del giorno di Oudinot relativo alla occupazione di Roma.

Diario della rivoluzione di Roma dal 1 Novembre 1848 al 31 luglio 1849 - Luigi Lancellotti (marchese.) - Napoli 1862