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16 - La Repubblica Romana del 1849

Padre Ugo Bassi

Padre Ugo Bassi

Padre Ugo Bassi

I bolognesi erano allora fedeli giurati a due notevoli uomini di chiesa, entrambi dell' ordine dei Barnabiti — Gavazzi e Ugo Bassi. Il Gavazzi era nativo della città ; il Bassi del distretto : tutti e due erano stati profondamente scossi dai mali dell'Italia e dalle colpe della Chiesa alla quale appartenevano : tutti e due usavano la loro eloquenza oratoria non soltanto a invitare i peccatori alla penitenza e gli italiani al sacrifìcio patriottico, ma anche a denunciare i mali di Roma con tanto calore da soddisfarne tutti i nemici tradizionali. Ma fra i due uomini vi era differenza di carattere, se non d'opinione. Ugo Bassi era un santo, ben noto come tale ai colerosi di Palermo un pezzo prima che la sua carriera politica cominciasse, e ben degno di esser 1'eroe del bel poema storico e religioso di Mrs. Hamilton King. Ma nel padre Gavazzi vi era insieme con una buona dose di forza e sincerità, una certa vena di volgarità; spentosi il barlume di libertà italiana del '49, egli intraprese dei tours nel mondo Anglo-Sassone, a guisa di stella teatrale, e durante la campagna contro 1' « aggressione papale », che i nostri nonni si godevano allora, egli allestì al pubblico inglese ben pepati manicaretti. Tuttavia questa non è che una questione di gusti e il Gavazzi rimane un vero patriotta e un entusiasta sincero.
Questi due membri della Chiesa militante e ribelle si erano accaparrata Bologna nella Pasqua del 1 848, predicando la crociata ai giovani perchè si armassero per la prima guerra di Lombardia. Era stata una scena memorabile, perchè il luogo, gli adunati, l'occasione, e se non tutti e due, almeno uno dei predicatori, non erano indegni di chiamare alla riscossa i migliori sentimenti di quella stessa razza d' italiani che il Savonarola aveva sferzati a furia non meno breve, di entusiasmo morale e politico. I bolognesi si erano adunati sulla piazza della loro città, circondata dai simboli imponenti della sua passata grandezza : il Municipio medievale da una parte, dall' altra F ampia facciata di san Petronio non mai condotta a termine dal dì che la generazione capace di tali splendide sculture si era spenta. Quella Pasqua, la prima delle speranze d' Italia, in quella Piazza spaziosa (dove oggi sorge in bronzo Vittorio Emanuele e i piccioni si posano intorno a stormi sulla sella e sulla criniera del cavallo come se il Re Galantuomo li portasse al mercato), il popolo di Bologna si era raccolto tacito ad ascoltare.
Dalla gradinata di san Petronio, il Gavazzi e il Bassi avevano predicato commovendo la folla fino al parossismo, con sentimenti senza dubbio passeggieri e sensazionali in gran parte, ma in molta anche profondi e duraturi. Gli uomini avevano offerto la vita, le madri i figli, e quelli che non potevano andare alla guerra, le loro possessioni.
Mezz'anno di sconforto era passato e i soldati e i predicatori della crociata eran tornati sconfitti. Pure nell'autunno 1848, il Gavazzi era ancora il re senza corona di Bologna, così che il Rossi non appena assunto al potere, determinò di schiacciarlo. Fece venire il suo amico il generale Zucchi, vecchio soldato di Napoleone, e lo incaricò di andare a Bologna a farla finita con i democratici.

…. Dalla fine del gennaio alla metà dell'aprile, i Garibaldini rimasero di stazione a Rieti, città di confine, faccia a faccia con l'esercito borbonico. Quivi la Legione crebbe in numero, da 500 a 1000 uomini circa, e fu finalmente disciplinata, organizzata e equipaggiata. Non pochi alterchi sorsero fra i Garibaldini e la Guardia Nazionale di questa città i cui abitanti non erano tutti animati dagli stessi sentimenti verso la Legione; ma nel complesso questo reggimento era il più popolare di tutti presso il partito liberale della Repubblica, perché rappresentava in forma concreta l' idea nazionale e democratica. « L'Italia è qui nel nostro campo, l'Italia è Garibaldi, e siamo noi », aveva detto Ugo Bassi, mandato dal Mazzini a funzionare come cappellano di Garibaldi.
A Rieti, al primo vedersi, si strinse fra Ugo Bassi e Garibaldi una forte e bella amicizia. Da allora sino al martirio del frate, essi furono sempre insieme, in battaglia, in marcia, al bivacco. Garibaldi persuase il Bassi a cambiare la tonaca con la camicia rossa dei suoi ufficiali di stato maggiore e in quel costume egli continuò il suo apostolato a gran soddisfazione dei Legionari. I sottufficiali e i soldati semplici non indossarono la camicia che verso la fine dell'assedio di Roma, ma ora portavano per uniforme una tunica sciolta di un blu cupo, un cappotto verde e il cappello alla calabrese con la tesa spiovente e spesso ornato di piume di struzzo nere : e in questa foggia brigantesca resa famosa dal palcoscenico, romantica e magnifica, di gran lunga preferibile al piccolo e antiestetico chepì, essi compirono le loro gesta guerresche del 1849.

…. il 7 maggio Garibaldi si acquartierò in Palestrina che, appollaiata sul ciglio dei colli Sabini in mezzo alle rovine della sua antica grandezza, offriva una posizione adatta a stuzzicare il fianco destro del nemico accampato sui colli Albani là di faccia. Per due giorni, vari distaccamenti dai trenta ai sessanta uomini furon mandati fuori di Palestrina a perlustrare la pianura e i monti boscosi fra Valmontone e Frascati. In queste spedizioncelle le truppe irregolari spiegarono vigore, destrezza e coraggio non inferiori a quelli dei Bersaglieri lombardi. Una volta un drappello accompagnato dall' infaticabile Ugo Bassi a cavallo, con la sua camicia rossa, sostenne presso Monte Porzio un grave scontro con un considerevole corpo borbonico che si avanzava su Palestrina al comando del Generale Winspeare : gli scarsi Garibaldini furono respinti, ma il nemico aveva ricevuto una tale batosta che si ritirò su Frascati O. In un'altra scaramuccia, Ugo Bassi spronò il cavallo incontro al nemico e fermo sotto una pioggia di palle, lo arringò sulla perfidia di chi si arma contro il proprio paese.

…. Una volta cominciato il fuoco delle batterie da breccia (il 13 giugno), Garibaldi non spese più l'intera giornata nel Padiglione, ma passò costantemente la ronda, visitando i posti colpiti dal fuoco più vivo, riattizzando l'entusiasmo ora con una parola di simpatia personale, ora restando immobile come statua fra i compagni prostati ai suoi piedi quando una bomba scoppiava in mezzo al suo gruppo. Pareva sprezzasse la morte perché la sapeva per lunga esperienza impotente a ledere l'uomo del destino prima che la sua ora fosse suonata ; mentre Ugo Bassi, ugualmente impavido, ma con spirito diverso, cercava la morte come amica liberatrice dalla riimposizione della schiavitù e dalla rovina di speranze troppo care per rassegnarsi a sopravvivere ad esse. L' Hoffstetter ci dice quanta ansietà costasse il Bassi a Garibaldi :
« Non so dirti quanto sono inquieto per lui », mi disse un giorno il Generale, « egli cerca la morte ». Alla prima occhiata si poteva riconoscere l'entusiasta nel Bassi ; il suo occhio mite e la fronte spaziosa, l'onda fluente dei capelli e della barba, il vestito strano (la camicia rossa e il cappello da prete), il suo linguaggio ispirato e il suo disprezzo della morte, tutto in lui ci stupiva. Nessun'altra stretta di mano mi faceva tanto bene quanto la sua. Nutriva un attaccamento appassionato per il Generale, e una volta mi disse :
« Nulla mi renderebbe più felice che morire per Garibaldi »

Ricordi di un Garibaldino

Padre Ugo Bassi

Le legioni approdavano a Ravenna il giorno 15 dicembre 1848, ed il Bassi mosse tosto verso la tomba che rinserra le ossa del grande Alighieri. Molta folla di gente correva dietro a' suoi passi mossi dal desiderio di conoscere questo genio di eloquenza, e di carità. Giunto innanzi al piccolo tempietto s'inginocchiò il Bassi, baciando la sacra pietra; e come lo spirito arcano dell'Alighieri ivi coabitasse, e tremende parole gli mormorasse all'orecchio, sorge ad un tratto collo sguardo inspirato, e come dalla tomba, e non dall'anima sua venisse la parola, cominciò la solenne orazione in cui la corruzione, l'empietà e gli abusi della corte Romana si fece a deplorare. Mai non ebbe seggio più nobile il Bassi e più adatto che quello che or occupava, mai non pronunciò parole più degne ed acconcie. Questa si può riguardare come la prima predica che il Bassi facesse emancipato da tutte le illusioni e dalla fede nei Regi e nel Papa.
Dove fremeva l'ombra di Dante non si avrebbe impunemente parlato ancora in onore di un papa, io credo che il fantasma del Ghibillino Poeta sarebbe sorto a pronunciare quei terribili versi della Divina Commedia:

Non fu la sposa di Cristo allevata
Del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
Per esser ad acquisto d'oro usata;

Ma per acquisto d'esto viver lieto
E Sisto e Pio e Callisto ed Urbano
Sparser lo sangue dopo molto fleto.

Non fu nostra intenzion ch'a destra mano
D'i nostri successor parte sedesse,
Parte dall'altra, del popol cristiano;

Nè che le chiavi, che mi fur concesse
Divenisser segnacolo in vessillo,
Che contra i battezzati combattesse;

Né ch'io fossi figura di sigillo
A' privilegi venduti e mendaci,
Ond' io sovente arrosso e disfavillo.

In veste di pastor lupi rapaci
Si veggion di quassù per tutti i paschi.
O difesa di Dio, perchè pur giaci?

Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
s'apparecchian di bere: o buon principio,
a che vil fine convien che tu caschi!

Ma l'alta provedenza, che con Scipio
difese a Roma la gloria del mondo,
soccorrà tosto, sì com' io concipio;

Dante, Parad. Cant. 27.

Io credo veramente che per un istante lo spirito dell'Alighieri si trasfondesse nella mente fervida dell'Oratore; vi dissipasse le ultime tenebre, le ultime incertezze, e sull'urna di Dante toccasse egli nuda e vergine la realtà. Il Bassi dal leale e franco popolo Ravennate ricevé quasi onori divini.

…. Lettera del P. Bassi alla Madre, descrivendo come fu fatto prigioniero dai francesi
In tutta fretta dal campo di Palestrina 8 Maggio 1849.
Mammà
Ecco vere notizie di me, perché temo non ne siano corse delle false e dolorose per lei e per tutti i miei cari. Il giorno che si combatteva a Roma contro i francesi (mentre io intento al mio dovere e incoraggiando i soldati correva a cavallo per la collina) venne morta di più colpi di fucile la cara mia cavallina, che cadde in ginocchio: e così rimase ancor dopo eh' ebbe reso il magnanimo suo spirito. A me non venne tocco un capello, benché traversassi un campo larghissimo a piedi per dove guizzavano mille folgori de' nemici. Dopo due ore non volendo abbandonare certo ferito dentro la villa Panfili, essendo quel posto abbandonato dai nostri e già entrando i francesi, io,che poteva prima ritirarmi cogli altri, nol volli fare: però mi presentai ai francesi con mirabile coraggio e presenza di spirito: in prima mi si voleva uccidere: ma poi avendo parlato io all'ufficiale, egli gridò di non tirare sopra di me. Allora io gli chiesi pietà non per me, che era un uomo d' onore, e soldato della Patria, ma per il ferito compagno. L' ufficiale mi disse di arrendermi, ed io gli dimandai parola d'onore che avrebbero i francesi prestato assistenza al ferito; a tal patto mi sarei arreso: e poiché l'ufficiale mi diè tale parola, rimasi in mano di loro. Dai soldati ricevetti parecchi insulti, come a brigante ecc. Anche riconobbero che io era colui che correa a cavallo per la collina incoraggiando i nostri: e io loro il confermai.
Dal Generale fui accolto con qualche riguardo: la notte fui messo in mezzo a' Gendarmi. Senza mantello dormii sopra l'erba e la rugiada. Mangiarono : non mi offersero neppure un tozzo di pane. La mattina mi diedero lettera per il Governo di Roma, che la portassi io stesso, e io promisi sulla parola d'onore di riportare la risposta; e così feci. La riportai io stesso la sera facendo ben quindici miglia a piedi. La risposta era contraria a quello che volevano i francesi, poiché noi volevamo più tosto la guerra con essi, che la loro protezione, la quale sarebbe contra la nostra dignità. Pure ammirarono la mia fede, e mi trattarono con gentilezza. Parlammo tutta la notte cogli ufficiali, e io parlai quella notte in modo forse non indegno della mia Patria. La mattina fui rimandato, e sono libero e sano. Garibaldi mi ha donato un cavallo dieci volte più bello. Povera Ferina! le ho tolto una ciocca di suoi crini, e l'ho pianta! è morta da onorata. Ora siamo in volta: viviamo da veri soldati della Patria é della Gloria: cerchiamo il pericolo, abitiamo alla campagna, dormiamo al sereno.
Sto bene. Addio.
Chi ama di scrivermi; a Roma. Addio, addio, addio
Viva Italia, e Roma cuore d'Italia! Viva Garibaldi nuovo Salvatore di Roma; Roma salverà Italia!

MEMORIE DI UGO BASSI - APOSTOLO DEL VANGELO - MARTIRE DELL'INDIPENDENZA ITALIANA
COMPILATE DA L. GUALTIERI - Bologna 1861

The Disciples (1878) - Ugo Bassi's Sermons. - By Harriet Eleanor Hamilton-King

NOW I heard
Fra Ugo Bassi preach. For though in Rome
He held no public ministry this year,
On Sundays in the hospital he took
His turn in preaching, at the service held
Where five long chambers, lined with suffering folk,
Converged, and in the midst an altar stood,
By which on feast-days stood the priest, and spoke,
And I remember how, one day in March,
When all the air was thrilling with the spring,
And even the sick people in their beds
Felt, though they could not see it, he stood there;
Looking down all the lines of weary life,
Still for a little under the sweet voice,
And spoke this sermon to them, tenderly,
As it was written down by one who heard:
"I am the True Vine," said our Lord, and Ye,
"My Brethren, are the Branches;" and that Vine,
Then first uplifted in its place, and hung
With its first purple grapes, since then has grown
Until its green leaves gladden half the world,
And from its countless clusters rivers flow
For healing of the nations, and its boughs
Innumerable stretch through all the earth,
Ever increasing, ever each entwined
With each, all living from the Central Heart.
And you and I, my brethren, live and grow,
Branches of that immortal human Stem.

Let us consider now this life of the Vine,
Whereof we are partakers: we shall see
Its way is not of pleasure nor of ease.
It groweth not like the wild trailing weeds
Whither it willeth, flowering here and there;
Or lifting up proud blossoms to the sun,
Kissed by the butterflies, and glad for life,

And glorious in their beautiful array;
Or running into lovely labyrinths
Of many forms and many fantasies,
Rejoicing in its own luxuriant life.

The Flower of the Vine is but a little thing,
The least part of its life;óyou scarce could tell
It ever had a flower; the fruit begins
Almost before the flower has had its day.
And as it grows, it is not free to heaven,
But tied to a stake; and if its arms stretch out,
It is but crosswise, also forced and bound;
And so it draws out of the hard hill-side,
Fixed in its own place, its own food of life;
And quickens with it, breaking forth in bud,
Joyous and green, and exquisite of form,
Wreathed lightly into tendril, leaf, and bloom.
Yea, the grace of the green vine makes all the land
Lovely in spring-time; and it still grows on
Faster, in lavishness of its own life;
Till the fair shoots begin to wind and wave
In the blue air, and feel how sweet it is.
But so they leave it not: the husbandman
Comes early, with the pruning-hooks and shears,
And strips it bare of all its innocent pride,
And wandering garlands, and cuts deep and sure,
Unsparing for its tenderness and joy.
And in its loss and pain it wasteth not;
But yields itself with unabated life,
More perfect under the despoiling hand.
The bleeding limbs are hardened into wood;
The thinned-out bunches ripen into fruit
More full and precious, to the purple prime

And still, the more it grows, the straitlier bound
Are all its branches; and as rounds the fruit,
And the heart's crimson comes to show in it,
And it advances to its hour,óits leaves
Begin to droop and wither in the sun;
But still the life-blood flows, and does not fail,
All into faithfulness, all into form.

Then comes the vintage, for the days are ripe,
And surely now in its perfected bloom,
It may rejoice a little in its crown,
Though it bend low beneath the weight of it,
Wrought out of the long striving of its heart.
But ah! the hands are ready to tear down
The treasures of the grapes; the feet are there
To tread them in the winepress, gathered in;
Until the blood-red rivers of the wine
Run over, and the land is full of joy.
But the vine standeth stripped and desolate,
Having given all; and now its own dark time
Is come, and no man payeth back to it
The comfort and the glory of its gift;
But rather, now most merciless, all pain
And loss are piled together, as its days
Decline, and the spring sap has ceased to flow
Now is it cut back to the very stem;
Despoiled, disfigured, left a leafless stock,
Alone through all the dark days that shall come.
And all the winter-time the wine gives joy
To those who else were dismal in the cold;
But the vine standeth out amid the frost;
And after all, hath only this grace left,
That it endures in long, lone steadfastness
The winter through:óand next year blooms again;
Not bitter for the torment undergone,
Not barren for the fulness yielded up;
As fair and fruitful towards the sacrifice,
As if no touch had ever come to it,
But the soft airs of heaven and dews of earth;ó
And so fulfils itself in love once more.

And now, what more shall I say? Do I need her
To draw the lesson of this life; or say
More than these few words, following up the text:ó
The Vine from every living limb bleeds wine;
Is it the poorer for that spirit shed?
The drunkard and the wanton drink thereof;
Are they the richer for that gift's excess?
Measure thy life by loss instead of gain;
Not by the wine drunk, but the wine poured forth;
For love's strength standeth in love's sacrifice;
And whoso suffers most hath most to giveÖ.

The Disciples (1878)
Ugo Bassi's SermonsóII.
By Harriet Eleanor Hamilton-King (1840ñ1920)

THE SCULPTOR, with his Psyche's wings half-hewn,
May close his eyes in weariness, and wake
To meet the white cold clay of his ideal
Flushed into beating life, and singing down
The ways of Paradise. The husbandman
May leave the golden fruitage of his groves
Ungarnered, and upon the Tree of Life
Will find a richer harvest waiting him.
The soldier dying thinks upon his bride,
And knows his arms shall never clasp her more,
Until he first the face of his unborn child
Behold in heaven: for each and all of life,
And every phase of action, love, and joy,
There is fulfilment only otherwhere.ó

But if, impatient, thou let slip thy cross,
Thou wilt not find it in this world again,
Nor in another; here, and here alone
Is given thee to suffer for God's sake.
In other worlds we shall more perfectly
Serve Him and love Him, praise Him, work for Him,
Grow near and nearer Him with all delight;
But then we shall not any more be called
To suffer, which is our appointment here.
Canst thou not suffer then one hour,óor two?
If He should call thee from thy cross to-day,
Saying, It is finished!óthat hard cross of thine
From which thou prayest for deliverance,
Thinkest thou not some passion of regret
Would overcome thee? Thou wouldst say, "So soon!
Let me go back, and suffer yet awhile
More patiently;óI have not yet praised God."
And He might answer to thee,ó"Never more.
All pain is done with." Whensoe'er it comes,
That summons that we look for, it will seem
Soon, yea too soon. Let us take heed in time
That God may now be glorified in us;
And while we suffer, let us set our souls
To suffer perfectly; since this alone,
The suffering, which is this world's special grace,
May here be perfected and left behind.

óBut in obedience and humility;ó
Waiting on God's hand, not forestalling it.
Seek not to snatch presumptuously the palm
By self-election; poison not thy wine
With bitter herbs if He has made it sweet;
Nor rob God's treasuries because the key
Is easy to be turned by mortal hands.
The gifts of birth, death, genius, suffering,
Are all for His hand only to bestow.
Receive thy portion, and be satisfied.
Who crowns himself a king is not the more
Royal; nor he who mars himself with stripes
The more partaker of the Cross of Christ.

But if Himself He come to thee, and stand
Beside thee, gazing down on thee with eyes
That smile, and suffer; that will smite thy heart,
With their own pity, to a passionate peace;
And reach to thee Himself the Holy Cup,
(With all its wreathen stems of passion-flowers
And quivering sparkles of the ruby stars),
Pallid and royal, saying "Drink with Me;"
Wilt thou refuse? Nay, not for Paradise!
The pale brow will compel thee, the pure hands
Will minister unto thee; thou shalt take
Of that communion through the solemn depths
Of the dark waters of thine agony,
With heart that praises Him, that yearns to Him
The closer through that hour. Hold fast His hand,
Though the nails pierce thine too! take only care
Lest one drop of the sacramental wine
Be spilled, of that which ever shall unite
Thee, soul and body to thy living Lord!

Therefore gird up thyself, and come, to stand
Unflinching under the unfaltering hand,
That waits to prove thee to the uttermost.
It were not hard to suffer by His hand,
If thou couldst see His face;óbut in the dark!
That is the one last trial:óbe it so.
Christ was forsaken, so must thou be too:
How couldst thou suffer but in seeming, else?
Thou wilt not see the face nor feel the hand,
Only the cruel crushing of the feet,
When through the bitter night the Lord comes down
To tread the winepress.óNot by sight, but faith,
Endure, endure,óbe faithful to the end!

Is it then verily so hard to take
With willing heart, and utter faithfulness?
What better wouldst thou have when all was done?
If any now were bidden rise and come
To either, would he pause to choose between
The rose-warm kisses of a waiting bride
In a shut silken chamber,óor the thrill
Of the bared limbs, bound fast for martyrdom?