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22 - La Repubblica Romana del 1849

3 giugno 1849: La battaglia di Porta San Pancrazio parte 5

L'angolo della morte. Ciò che vedevano i francesi dalla Villa Corsini nel giugno 1849.
L'angolo della morte. Ciò che vedevano i francesi dalla Villa Corsini nel giugno 1849.

Il 3 giugno.

Il generale Oudinot non volle ratificare la convenzione già firmata e guarentita da Lessepa.

In una sua lettera ai Triumviri, che veniva pubblicata il 2 giugno a sera, egli diceva avere il signor di Lesseps oltrepassato i conferitegli poteri, opporsi l'è proprie istruzioni a conchiudere tale armistizio; doversi adunque ritenere tolta la momentanea sospension d'armi concessa per le trattative, e libere le truppe di ricominciare le ostilità. " Seulement, pour donnera nos nationaux " continuava la lettera, " qui vou- " draient quitter Rome, et sur la domande de " monsieur le Ghancellier de l'Ambassade de " France, la possibilité de le faire avec facilité, "je diffère l'attaque de la Place jusqu'à lundi " matin au moina. " A questo rispondeva Lesseps esser lui solo giudice dell'estensione de' suoi poteri ; farsi nuovamente mallevadore della convenzione conchiusa, ad onta che il generale Oudinot avesse l'ardire di opporvisi ; correre a Parigi per farla ratificare.

Alla lettura di questi strani documenti restammo atterriti. I nostri divisamenti andavano di bel nuovo in fumo. Ancora un giorno e i Francesi sarebber tornati all'attacco. Noi ci preparammo in un .triste silenzio a questa novella lotta, sperando sempre in Lesseps, nel Governo, e nella Nazione francese.

Il 3 mattina i nostri avamposti a Villa Pamfili e a Villa Corsini fuor di Porta S. Pancrazio, troppo nuovi alle insidie della guerra, riposando sulla parola del Generale francese, stavansi addormentati senza quasi veruna militare cautela, quando vidersi in sull'alba circondati da 2 battaglioni francesi, e dopo una lunga ed accanita resistenza altro non poterono che mettere abbasso le armi. Il nemico seppe insignorirsi così senza spargimento di sangue, ma approfittando d'un vergognoso equivoco, d'una posizione importante da cui poté battere a tutt'agio le mura e la porta. Oudinot aveva promesso di non attaccare la piazza ; aveva presi intanto gli avamposti che la difendevano. Vedi cavalleresca lealtà del Generale francese!

Alle 6 del mattino il cannone che da più d'un mese taceva, cominciò a tuonare dalle mura. La legione Garibaldi e le compagnie del battaglione Bersaglieri bolognesi, che non erano state fatte prigioni, uscirono ad attaccare vivamente i Francesi ohe si rafforzavano nelle mal conquistate posizioni. Ma ne comprendevano essi l'importanza, e rinfrancavano lor genti con soccorsi e ricambio di truppa, mentre appuntavano ai fianchi due cannoni, e barricavano le strade adiacenti.

Al primo colpo di cannone il generale avea dato il segnale per la città, e il reggimento nostro era corso alle armi, maravigliato e un po' mal contento in sulle prime di non aver potuto godere del promesso giorno di riposo, che sarebbe stato il terzo da che era in Romagna. Ma il rimbombo dei colpi, il clamore della città e quell'atmosfera inebbriante che si respira nel di del pericolo, fece ricomparire su tutti i volti la pensosa serenità che precede nei coraggiosi i momenti supremi. In pochi momenti i soldati erano in rango; gli ufficiali passeggiavano sorridendo; i frizzi, le facezie soldatesche correvano per le file; Manara dappertutto a incoraggire, ad animare a render più caldi gli animi infervorati.

Attendemmo due ore ordini sul posto. I colpi rincalzavan', e l'impazienza nostra cresceva. Finalmente si grida il guard-a-voi! Tutti sono al lor posto; e in mezzo al silenzio più imponente i due battaglioni al passo di carica s'avviano verso la lontana porta di S. Pancrazio. Dovettimo attraversare gran parte della città e quasi sempre di corsa. Il popolo nel vedere questo Corpo che si affrettava lietamente al pericolo, alzava frenetici applausi. Arrivammo a 9 ore alla porta colla musica in testa, serrati in bellissimo ordine, senza che un solo bersagliere avesse mancato all'appello.

Per ben comprendere lo strano combattimento che ebbe luogo in quel di, riporterò qui il Bollettino del Generale Garibaldi.

"... Dalla Porta S. Pancrazio parte una strada che conduce direttamente al Vascello (a 250 passi), poi la strada si divide. Il ramo principale discende a destra lungo il giardino della Villa Corsini, circondato da alte muraglie, e va e congiungersi colla grande strada di Civitavecchia.

" Un'altra, fiancheggiata da siepi, conduce direttamente alla Villa Corsini, che è a 300 passi dalla Villa Vascello. E il terzo cammino gira a sinistra e si prolunga come la prima strada, lungo l'alta muraglia del giardino di Villa Corsini. " La Villa Vascello è un grande e massiccio

fabbricato a tre piani, circondato da giardino e da mura. Innanzi la Villa (a 50 passi) havvi una piccola casetta dalla quale si può far fuoco contro le finestre della Villa Corsini.

" Sul cammino di sinistra (100 passi) oltre il punto di separazione delle strade vi sono due piccole casette, l'una dietro il giardino stesso della Villa Corsini, l'altra 20 passi più avanti a sinistra della strada.

" La Villa Corsini, posta sulla prominenza del terreno, lo domina tutto all'intorno. Ella è circondata dal giardino ed ha alte mura. La posizione della Villa è assai forte, tanto più che volendola attaccare senza far precedere qualche preparativo di approccio, conviene, passando pel cancello che si trova a pie del giardino, sostenere il fuoco concentrato, che il nemico difeso e coperto dalle siepi, dai vasi, o dentro la Villa stessa, fa su quel punto al quale le mura del giardino vanno congiungendosi ad angolo acuto.

" Il terreno è dappertutto molto accidentato, e oltre la Villa Corsini, riesce molto favorevole al nemico, dappoiché abbassandosi ed essendo cosparso di boscaglie e attraversato da strade profonde, gli permette di concentrarvi le sue riserve al sicuro dei nostri fuochi, quando il cannone lo obblighi ad abbandonare la casa.

" Il primo attacco intrapreso dalla Legione Italiana fu contro la posizione Corsini e casino Quattro Venti (1), già abbandonata dai nostri, perchè sorpresi, traditi, e soperchiati dal gran numero dei nemici. L'attacco fu alla baionetta senza un solo tiro. La Legione sostenne per circa tre quarti d'ora il peso dei nemici: ebbe morti i colonnelli Daverio e Masina, il comandante Peralta, e feriti la maggior parte degli uffiziali.

" In quel momento arrivarono i bersaglieri Manara, che spintisi subito di nuovo nel giardino, caricarono vivamente il nemico fin sotto le mura della Villa. Là caddero il capitano Dandolo e molti soldati, e furono feriti molti uffiziali e soldati. Ma da quel momento le case di sinistra erano nostre. Il nemico aveva arrestato la sua marcia progressiva, ed il Vascello fortemente oocupato vomitava su di lui un fuoco micidiale.

(1) II Bollettino ha sbagliato nei nomi. Villa Corsini si chiama anche Villa Quattro Venti per la sua posizione. A destra pur trovasi la Villa Valentini, che il Bollettino chiama Quattro Venti, e più indietro Villa Panfili.

" I bravi nostri artiglieri sconcertarono ben presto il nemico nella Villa Corsini.

" I bersaglieri Manara dai casini di sinistra, la legione Italiana dal Vascello, fecero ritirare dal giardino e dalle siepi i tiragliatori francesi. D'ambe le parti s'impegnò un fuoco vivissimo.

" Non mai il nemico poté, quantunque accresciuto di numero e protetto da due pezzi d'artiglieria far perdere ai nostri le posizioni con tanto valore mantenute.

" L'artiglieria fulminò Villa Corsini a segno che il nemico dovette fuggirsene a gran corsa dopo avervi posto il fuoco.

" Intanto i cannoni del bastione di destra ed i nostri bersaglieri, spinti innanzi al Vascello, facevano sloggiare con molto ardire il nemico che stava nella Villa Valentini ed occupava molte case circonvicine, da cui faceva, ma inutilmente, un grandissimo fuoco.

" A sinistra verso il campo francese vennero pure spedite due compagnie dei bersaglieri Manara, che andarono molto avanti a inquietare il nemico nascosto nelle vigne.

" Tutto il giorno durò il combattimento accanitissimo sempre con vantaggio dei nostri, che poterono anche una seconda volta (Bersaglieri Manara e Legione Italiana) caricare il nemico fin oltre Villa Corsini.

" Verso sera capitarono eziandio alcune compagnie del 3" Reggimento di linea a rafforzare i nostri nella casa detta il Vascello, e la Legione Medici a rilevare i bersaglieri Manara nei casini di sinistra.

" Il cannone ridusse pressoché in cenere con tiri meravigliosamente diretti (debita lode al bravo tenente-colonnello Lodovico Calandrelli) la Villa Corsini e Valentini.

" Il nemico fu battuto su tutti i punti. I nostri, e specialmente i Bersaglieri Manara e Legione Italiana andarono più volte a caricare petto a petto il nemico.

" La prima compagnia dei Bersaglieri Manara spintasi nella Villa Valentini vi fece molti prigionieri francesi.

" La Legione Italiana andò più volte fin sotto la Villa Valentini.

"A sera la Legione Medici caricò entro le vigne a sinistra il nemico molto arditamente. La notte sopravvenne, lasciando nostro il campo di battaglia, il nemico ammirato del nostro valore, ed i nostri desiderosi di riprendere, come fecero, nel mattino seguente, la battaglia cosi valorosamente combattuta il giorno prima.

" Gli uffiziali tutti, e specialmente dello Stato Maggiore del Generale, della Legione Italiana e dei Bersaglieri Manara, mostrarono immenso coraggio, e si resero degni di ben meritati elogi.

" Nominatamente poi gli ufficiali superiori e subalterni che io voglio distinti, sono questi che vanno ricordati perché martiri e morti da prodi; "

Colonnello Daverio

Colonnello Masina

Colonnello Pollini

Maggiore Ramorino —

Aiutante maggiore Peralta

Tenente Bonnet

Tenente Cavalieri Emanuele

Sottotenente Grassi

Capitano Dandolo dei Bersaglieri Manara

T. Scarani

Capitano David

T. Sarete del 3° reggimento

T. Cazzaniga idem.

" Il Comandante la Divisione.

" G. Garibaldi. "

Garibaldi nel combattimento del giorno 3 si chiarì tanto inesperto Generale di Divisione, quanto nelle scaramuccie e marcie contro i Napoletani s'era mostrato abile ed avveduto Capobanda. Senza alcun piano ben conosciuto e maturato, egli slanciava or l'una or l'altra compagnia al fuoco, come gli suggeriva il pericolo del momento, senza misurare le forze, senza prevedere la resistenza, infine assolutamente incapace di far manovrare le masse che solo decidono d'un fatto d'arme.

Alle 9 del mattino i Francesi occupavano tutte le ville che circondano e dominano la porta San Pancrazio. La Legione Italiana dopo aver fatti sforzi incredibili e disordinati, dopo aver lasciato sul campo quasi tutti i suoi ufficiali, che più ohe attendere al loro ministero cedevano agli slanci d'un coraggio eroico e combattevano come soldati, aveva dovuto ritirarsi fin dentro al Vascello cedendo allo sforzo prepotente ed ordinato del nemico che si avanzava giù pel viale. Arrivavano allora i 600 bersaglieri Lombardi, gente addestrata del paro alle manovre della catena ed alle mosse di linea. Se Garibaldi, formatili in colonna con davanti mezza Compagnia in tiragliatori, li avesse spinti all'attacco di Villa Corsini, la posizione sarebbe stata tolta dopo breve combattimento. Padroni di quella potevamo con forti distaccamenti impadronirci degli adiacenti casini, fortificarvici, e la notte ci avrebbe lasciato oltre l'onore, anche il vantaggio della giornata.

Ma Garibaldi al contrario, fedele al suo metodo, teneva in sulle prime tre Compagnie di riserva entro le mura, la sola 1ª gittava contro il nemico fortissimo di numero e di posizione, mentre mandava il secondo Battaglione a sinistra a scaramucciare inutilmente fra i vigneti, dove nulla potè fare d'importante in tutto quel giorno.

La prima Compagnia, benché sola, mentre la Legione Italiana cedeva su tutti i punti, corse risolutamente contro al nemico che stava già presso al Vascello, e preceduta da Manara (che fu quel di sempre alla testa di tutte le truppe che montavano all'attacco, mostrandosi degno della fama acquistata), lo costrinse con una fuga precipitosa a rinchiudersi entro Villa Corsini. Arrivò fin sullo spianato, e se dietro quei coraggiosi si fossero avanzate in massa le altre compagnie.

Villa Corsini era nostra. Ma se si considera che la prima, come le altre compagnie, per lo marcie e pei patimenti era ridotta a poco più di 60 uomini, e che di questi 25 erano già a terra, si comprenderà agevolmente che quei pochi, non sostenuti da nessuna forza, dovettero arrestarsi e retrocedere dopo un inutile slancio di disperato coraggio.

E questa è la storia di tutta la giornata.

Dopo sbandata e decimata la prima, Garibaldi mandava la seconda sola, poi la quarta nemmen tutta unita, ma 20 a 20 sempre coll'ordine di caricare alla baionetta il nemico fin entro la Villa. Ogni Compagnia fece nobilmente il suo dovere ; ma tutte, perché adoperate isolatamente e successivamente, dovettero perdere quello ohe aveano guadagnato. E quando la sera il tenente Alessandro Mangiagalli, che in quel giorno come sempre si rese veramente ammirabile pel valore il più strano e il più fortunato, occupò con pochi dei più risoluti di tutte le Compagnie Villa Corsini e Villa Valentini, avendo uccisi sul posto, dopo una disperata difesa, più di 30 Francesi e altrettanti fattine prigioni, corse a domandar rinforzi a Garibaldi, n'ebbe in risposta: " Io non ho più un soldato, guardate se voi ne trovate ". Che ne aveva egli fatto in nome di Dio di questi soldati? Chi qua, chi là, tutti alla sparpagliata, compiendo fatti eroici ma parziali, che nulla decidevano dell'esito totale del combattimento ! . . . La sera, dodici dei nostri occupavano Villa Valentini; al primo presentarsi del nemico ed all'incalzare della mitraglia, dovettero abbandonarla, frementi di avere speso inutilmente il sangue ed il coraggio, dove nessun ordine, nessuna riserva sapeva tutelare i Bersaglieri, cui solo ufficio è iniziare e proteggere il combattimento.

Tre volte furon prese e riperdute le posizioni.

La sera lasciò i Francesi ammirati del nemico che avevano a fronte, ma padroni ancora di quasi tutto ciò che occupavano la mattina. Ma io ho a raccontare fatti e disgrazie particolari, e per questo mi è d'uopo tornare indietro un passo e ripigliar la triste narrazione più in alto.

Poco dopo arrivati alla Porta, mio fratello mi era seduto vicino e dividevamo un pezzo di pane, quando ricevette l'ordine di far uscire la sua compagnia. Si alzò di botto, mi strinse la mano, e, snudata la sciabola, si slanciò alla testa de' suoi. Arrivata al cancello la compagnia, prese a sinistra par un sentiero attraverso le vigne, di corsa, in buon ordine, senza perder tempo a scaricar il fucile, si avventò fin sullo spianato che circonda Villa Corsini. La grandine delle palle facevasi ad ogni momento più fitta e ad ogni passo la compagnia diveniva più piccola pel gran numero dei colpiti che cadevano in silenzio ; gli altri serravano i ranghi e continuavano incoraggiati sempre da mio fratello che innanzi a tutti, colle parole infuocate e col magnanimo esempio, insegnava come si dovesse esporre generosamente la vita. Tutto a un tratto si vide sbucare da un lato del palazzo una compagnia francese con alla testa un ufficiale, il quale colla sciabola faceva segni amichevoli, e arrivato più d'appresso gridò in italiano: " Siamo amici! " Mio fratello fece cessare il fuoco che alla vista del nemico era scoppiato vivissimo. Sì forte era in noi tutti la fede nell'onore e nelle simpatie dei Francesi che allora credettero tutti che quell'ufficiale venisse a consegnarsi, non volendo rivolgere le sue armi contro di noi. Quando fu a trenta passi, l'ufficiale si fece da parte, e una tremenda scarica gettò a terra un terzo della compagnia. Mio fratello aveva passato il petto da parte a parte; il giovane sottotenente Mancini ebbe forato una coscia, e due soldati che si affrettarono a sostenerlo, caddero alla lor volta, mentre Mancini aveva trapassato da un'altra parte il braccio. Il tenente Silva veniva ferito in una mano, il sottotenente Colombo riceveva un colpo nella bocca che gli esciva dalla guancia. I superstiti si arretrarono impauriti. Il solo Morosini restò presso al moribondo amico, fatto bersaglio ai colpi che lo lasciavano sempre illeso. Il fuoco, dopo breve intervallo, si impegnò vivissimo, e due soldati spintisi innanzi presero in braccio il moriente capitano, che moveva le labbra in atto di pregare. Nel penoso tragitto ei rendè l'anima a Dio.

Mio fratello non contava ancora 22 anni; gracile della persona, egli aveva un'anima cosi bella, un criterio si sano e una cosi ammirabile costanza e santità di principii, che a quanti lo conoscevano era oggetto di stima e di affetto vivissimo.

La 4ª compagnia restava intanto ancor di riserva ed io con essa, in preda alle angoscio della inquietezza. Tutti i miei cari erano al fuoco, io solo ancora al coperto. La miseranda processione dei feriti e dei morti che venivano portati dentro su barelle di tela, cominciava a farsi fitta e dolorosa, perché erano allora i nostri che ne facevano le spese. Ad ogni ferito che vedevo portarsi da lungi, io tremava che fosse un viso troppo caro per me. Passò prima, ferito nel petto, il mio capitano Rozat, il .quale, mal sapendo moderare l'impeto generoso, aveva lasciato la compagnia per accorrere solo con uno stutzen, di cui sapeva servirsi ammirabilmente. Poi veniva portato Lodovico Mancini, giovane sottotenente della compagnia di mio fratello, che aveva una coscia ed un braccio trapassati. Fra le contorsioni che gli strappava il dolore non seppe che dirmi:" Tuo fratello "... e si arrestò come impaurito. Domandai finalmente ad un bersagliere che conobbi della 2ª : " Che ne è del capitano? " " È. . . caduto adesso mortalmente ferito " mi rispose.

Io non potrei dire quello che provai a queste parole. Era la prima volta che l'idea di una morte così tremenda mi si affacciava netta e sicura alla mente atterrita. Un noncurante fatalismo ci faceva credere impossibile che uno di noi che ci amavamo tanto, avesse a lasciare gli altri: " O tutti o nessuno ", ecco l'espressione delle nostre inconcepibili speranze. Ma in quel momento, in che per la vista di tanto sangue, e di tante vite perdute mi si mostrava per la prima volta la guerra a sangue freddo in tutta la sua orribile realtà, l'idea di sopravvivere a chi rendevami cara e lieta la vita, mi fece rabbrividire. Io pensava: Forse mio fratello spira a dieci passi da me ; ed io non posso baciarlo prima che muoia ! Sarebbe stato male allontanarmi da' miei soldati già commossi a tanti lagrimevoli quadri. Percorreva in su e in giù la fronte della compagnia, mordendo disperatamente la canna d'una pistola per impedire alle lagrime che mi bollivano dentro di sgorgar troppo forti ad accrescere lo sgomento de' miei.

In quel momento d'ineffabile patimento, si avvicinò Garibaldi dicendo : " Avrei bisogno di 20 uomini risoluti e d'un ufficiale per una difficile impresa. " Io mi slanciai fuori e mi presentai, lieto di uscire finalmente da quello stato e di correre a soffocar nei pericoli l'angoscia che mi rendeva quasi pazzo.

" Andate, mi disse Garibaldi, con una ventina dei vostri più bravi a prendere alla baionetta Villa Corsini ". Mio malgrado, io restai attonito. Con 20 uomini correre all'attacco d'un palazzo, ohe due compagnie nostre, che tutta la Legione Garibaldi non avevano, dopo sforzi inauditi, saputo ancor conquistare! — Pensai che forse così mi ordinava, perchè tacendo da qualche minuto la moschetteria nemica volesse con questo mezzo vedere di ravvivarla o scoprire che accadesse di nuovo.

Questi pensieri mi corsero per la mente dappoi; allora non feci motto, ma designai chi mi doveva accompagnare. " Pochi colpi, e subito alla baionetta " mi disse Garibaldi. " Stia tranquillo, Generale, gli risposi, mi han forse ucciso il fratello e farò bene". Ciò detto corsi innanzi. Il mio amico S ', sottotenente nella stessa 4ª compagnia, vedendomi in uno stato di esaltazione difficile a descrivere e desideroso di divider meco il pericolo, mi raggiunse. Passai dinanzi al Vascello e vi corsi entro per chiedere a Manara un rinforzo, degli avanzi della 1ª compagnia.

Non sapeva cosa diavolo fare con soli 20 uomini. Ma non potei vedere il Colonnello, e mi decisi a fare ciò che mi era ordinato. Si apriva diritto davanti a me il lungo viale deserto che conduce alla Villa ; bersaglio per chi voleva salirlo al nemico appiattato nel giardino e dietro le finestre. Lo percorremmo alla corsa non senza lasciarci addietro più d'un caduto. Il piccolo gruppo si diradava. Arrivato fin quasi sotto il vestibolo, mi rivolsi per vedere quanti eravamo. Dodici soldati mi restavano, imperterriti, silenziosi, pronti a qualunque sforzo. Mi guardai intorno: eravamo soli. La mitraglia nostra ci fischiava nella schiena, la pioggia delle palle cadeva spaventosamente dalle socchiuse finestre.

Che fare con dodici uomini in un palazzo occupato da qualche centinaio di Francesi? Dovetti piegarmi a ciò che più numerose forze avean già fatto ; comandare il fuoco e in ritirata. A mezza strada, io e S….. fummo dalla medesima palla colpiti amendue nella coscia; ritornammo al Vascello in mezza dozzina, malconci, senza che il coraggio veramente strano di quei pochi avesse riuscito a null'altro che a mostrare ai Francesi che anche gl'Italiani sanno battersi temerariamente. Portato all'ambulanza, domandai di mio fratello.

Mi assicurarono tutti esser desso stato ferito leggermente, ma non averlo potuto trasportare da una cascina in cui era stato deposto.

Mandai soldati ed infermieri a cercarlo : aspettai più di un'ora; finalmente non potendo più tenermi, mi feci forza ed escii io stesso zoppicando a cercarlo per la campagna e nelle case.

Durò due ore la ricerca infruttuosa ; e furono ore di quelle che pesano come un incubo su tutta la vita d'un uomo. Ogni cadavere che vedeva per terra, io mi affrettava palpitante ad osservarlo: passai a pochi passi da quello di mio fratello, ma un amico fu in tempo di celarlo. Io non poteva più sostenermi. Finalmente Manara da un casino allora preso ai Francesi mi fé' cenno di salire.

Tutti gli altri si allontanarono perchè non si sentivan la forza di assistere alia lagrimevole scena. " Non correre a cercar tuo fratello, mi disse quel povero mio amico stringendomi la mano, non sei più in tempo : ti farò io da fratello ". Io caddi boccone per terra indebolito dalla ferita mal curata, dalle angoscio e dal dolore della notizia.

Del 1° battaglione nostro tre sole compagnie presero parte alla fazione, essendo la 3ª di guardia alle mura. Queste tre compagnie ebbero a contare 96 uomini fuori di combattimento, fra cui 9 ufficiali.

In quel giorno i nostri soldati si portarono in un modo così ammirabile che il non farne parola sarebbe imperdonabile ingiustizia. Mantenuti per 10 ore sotto il fuoco nemico, vedendosi ad ogni momento cadere numerosissimi i compagni e gli ufficiali, essi continuarono a combattere sempre col più freddo coraggio. Si spinsero più di dieci volte ad attaccare il nemico potentissimo per la posizione e pel numero; feriti leggermente, correano all'ambulanza a bendarsi, poi tornavano. Moltissimi in tal modo ebbersi due o più ferite.

Il sergente-furiere Monfrini, giovinetto di 18 anni, aveva da un colpo di baionetta rotta la mano. Pochi minuti dopo ricompariva nelle file» " Che vieni a far qui? gli domandò Manara. Non servi a nulla, ferito come sei ; vattene " "Colonnello, rispose il giovane, mi lasci qui; alla peggio servirò a far numero. " In un attacco ei faceva numero diffatti fra i più avanzati, e colpito la seconda volta nella testa, cadde e spirò.

Il tenente Bronzetti, saputo che una sua ordinanza, a cui portava singolare affezione, era caduto morto a Villa Corsini, presi con se quattro uomini risoluti, si spinse di notte fin negli avamposti nemici e ne levò il cadavere, cui die' pietosa sepoltura.

Il tenente Alessandro Mangiagalli, scagliatosi con pochi soldati in Villa Valentini e rinforzato poi dal bravo capitano Ferrari, ebbe a sostenere la più tremenda resistenza, e a combattere per le camere e sulle scale, ove i fucili non servivano a nulla. Ebbe rotta nel calare un fendente la sciabola e dovette difendersi colla mezza lama rimasta, finché, uccisi molti nemici e fatti numerosi prigionieri, restò la Villa dei nostri. Il soldato Dalla Longa milanese, vistosi cadere allato il caporale Fiorani ferito a morte, mentre dall'irrompente numero dei nemici venivano i nostri rincacciati, non volendo lasciar il moribondo amico senza soccorso, se lo prese in ispalla, e mentre lentamente ritraevasi a salvamento, colpito nel petto, cadde morto vicino al compagno.

I Volontari ed i Bersaglieri Lombardi

ANNOTAZIONI STORICHE - EMILIO DANDOLO - SOCIETÀ EDITRICE DANTE ALIGHIERI - ALBRIGHI, SEGATI & C. - 1917

GARIBALDI E I BERSAGLIERI NELLA GIORNATA DEL 3 GIUGNO.

Quando si batterono a Palestrina al principio di maggio, i Bersaglieri consistevano di un battaglione di circa 600 uomini. Al loro ritorno a Roma fra la battaglia di Palestrina e quella di Velletri, un altro battaglione di circa 350 riuscì a unirsi al primo, avendo secretamente salpato dalla Spezia, la prima sotto il Ferrari, la seconda sotto Enrico Dandolo, la terza sotto il Massi, la quarta sotto il Rozzat.

Il 3 giugno queste quattro compagnie del primo battaglione, contavano un complesso di 600 uomini, meno le lievi perdite subite nelle campagne di Palestrina e Velletri.

Rispetto al primo attacco fatto da questo battaglione sulla Corsini, vi sono delle discrepanze fra i due ragguagli dell'Hoffstetter e di Emilio Dandolo. II Dandolo, afferma che la prima compagnia fu mandata da lui stesso alla carica della Corsini, e che, respinta la prima, la seconda compagnia (quella di Enrico Dandolo) fu mandata sola per una seconda carica (pagg. 239-240). Ma l'Hoffstetter (che era presente mentre Emilio Dandolo era ancora dentro le mura) non lascia alcun dubbio sul fatto che la prima compagnia, della quale egli stesso faceva parte in quel momento, e la seconda (di Enrico Dandolo), sostennero insieme la prima carica capitanate dal Manara, questa essendo la carica nella quale fu ucciso Enrico Dandolo (Hoffstetter, 117-121). L'Hoffstetter afferma anche che la compagnia del Rozzat era con le suddette, ma questa è cosa più dubbia. II Rozzat stesso vi era infatti, ma non certo con tutti, anzi forse con nessun uomo della sua compagnia (la quarta), poiché Emilio Dandolo (242) afferma che il Rozzat si avanzò solo senza la sua compagnia, e lui stesso (Emilio Dandolo) che era nella compagnia del Rozzat fu indubbiamente lasciato indietro durante la prima carica.

Riassumendo, il primo attacco dei Bersaglieri sulla Corsini, fu fatto da un corpo considerevole, cioè dalla prima e seconda e fors'anche da parte della quarta compagnia del primo battaglione. Vale a dire, questa carica fu fatta da un complesso di circa 300 uomini e non da piccoli drappelli come dice Emilio Dandolo (pag. 236-237). Soltanto, l'attacco era prematuro perché la Villa non era stata sottoposta a un fuoco abbastanza prolungato di cannoni e di moschetti. L' Hoffstetter (118), getta sul Manara la responsabilità di un attacco innanzi tempo, ma non si può discolpare interamente Garibaldi che era sul posto.

L' Hoffstetter e il Dandolo ci danno, fra tutti e due, in resoconto ammirevole delle operazioni dei Bersaglieri nella giornata del 3 giugno. Sfortunatamente non possiamo dire altrettanto delle cariche non meno eroiche della Legione garibaldina per cui dove il Dandolo e l' Hoffsfetter dissentono, bisogna attenersi alla testimonianza di quello dei due ch'ebbe parte nell'evento in questione. Essi rimasero separati tutta la giornata eccettuato il momento della scena tragica in casa Giacometti quando il Manara informò definitivamente l'Emilio Dandolo della morte del fratello ; e la corrispondenza che esiste fra il ragguaglio dell'uno e dell'altro sul luogo e sulle circostanze di questa scena alla quale entrambi furono presenti, accresce validità alle informazioni di ciascuno dei due per quei dettagli che uno solo di essi ebbe a vedere.

Vi sono due errori di dettaglio nel lungo resoconto della giornata datoci dall'Hoffstetter. I Bersaglieri non arrivarono sulla scena « poco dopo le quattro » (pag. 108), bensì circa quattro ore più tardi : e in verità l'asserzione stessa dell' Hoffstetter, che essi erano stati tenuti in attesa per ben due ore nel Foro, bell'e armati, fa sembrare probabile che si tratti d' un errore di stampa. In secondo luogo egli erra menzionando fra i feriti della prima carica l' Emilio Dandolo (pag. 119) che era allora dentro le mura, e fu poi ferito nella carica descritta da lui stesso (Dandolo, 245).

Può darsi che l'Hoffstetter si attribuisca troppo il merito di aver veduto sul posto tutto ciò che si sarebbe dovuto fare e non fu fatto da Garibaldi e dal Manara; ma questo a parte, egli è, a mio parere, un testimone ammirevole la cui narrazione non è sempre stata trattata con sufficiente considerazione dagli storici.

GEORGE MACAULAY TREVELYAN - GARIBALDI E LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA - TRADUZIONE DI EMMA BICE DOBELLI - BOLOGNA - NICOLA ZANICHELLI - MCMIX