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29 - La Repubblica Romana del 1849

3 luglio: l'entrata dei francesi a Roma

La partenza di Garibaldi e le sue truppe da San Giovanni in Laterano
La partenza di Garibaldi e le sue truppe da San Giovanni in Laterano

Il 3 luglio fecero ingresso i Francesi nell'eterna città, e per dare un ragguaglio esatto della loro entrata non posso fare che trascrivere la relazione pubblicata dal Monitore romano il giorno stesso, parola per parola:

« Ore 9 a. m. Qualche pattuglia di giandarmeria, ed altra di cavalleria francese, entra in città. Il popolo non se ne cura, o mostra sul viso il dispetto.

» Ore 10 a. m. Si vede qualque uffiziale di stato-maggiore dirigersi all'ambasciata di Francia. Continua la stessa attitudine sino alle 5 m. Due battaglioni di truppa francese entrano in Roma , e prendono diversi posti, quasi tutti al passo di carica , e bajonetta calata senza che ostacolo di sorta lor si opponga da alcuno, essendo quei posti sguarniti. Il popolo leva qualche urlo sempre incalzante : Morte a Pio IX. Viva la Rerpubblica romana. Via gli stranieri.

» Ore 5 p. m. Traversa il corso una batteria della nostra artiglieria, che si ritira al quartiere. Applausi fragorosi; le donne dalle finestre sventolano i fazzoletti, ed applaudiscono i nostri prodi giovani. In mezzo a Piazza Colonna è una scena la più imponente. Sulla piazza gremita di popolo si grida : Viva la Repubblica romana. Viva la nostra artiglieria. Morte agli stranieri; cappelli in alto, applausi; al chiudersi della marcia una voce dice : Via tutti. La piazza rimane vuota. I Francesi da sopra il loggiato della posta veggono tutto, e si mostrano stupiti.

» Ore 6 p. m. Entrano le truppe francesi con Oudinot e stato maggiore. Le vie solitarie, le finestre tutte chiuse; la marcia procede molto scomposta, molti cavalieri cadono da cavallo. All'entrare di Oudinot nel corso la folla del popolo, che là è molta, grida tra fischi i più strepitosi : Morte a Pio IX. Morte ai preti. Viva la Repubblica romana. Viva la povera Italia. Morte al cardinale Oudinot. Alcune compagnie francesi si spiegano e si avanzano a passo di carica i bersaglieri. Gli urli continuano: Via gli stranieri. Morte ai croati della Francia. Morte ai soldati del papa. Oudinot giunto al caffè delle belle arti si ferma e fa strappare la bandiera italiana dalla scorta. Giunto a Piazza Colonna, la folla è immensa, alcuni del seguito, pare esortino Oudinot di arrestarsi, e fan segno ad un picchetto della scorta di venire a far largo; ma Oudinot si avanza, sembra che metta sotto qualcuno, cerca egli stesso sperdere la folla caricandola ; le grida sono immense.

» Ore 7. Un numeroso assembramento prende la bandiera del caffè nuovo, e tra le solite grida si avanza pel corso sino a Piazza Colonna. Un distaccamento francese carica con molto ardore alla bajonetta il popolo inerme; gli uffìziali tirano piattonate, dieci o dodici soldati s'impossessano della bandiera. La folla retrocede fra i soliti gridi.

Nessuna bottega si vede aperta. Al venir della sera la città è molto oscura, in qualunque caffè entri un Francese tutti si alzano e l'abbandonano. ,

Si passeggia liberamente, tranne in alcuni punti, come alla Trinità dei Monti, ed al Foro Trajano ove sono picchetti francesi che impediscono il passaggio.

Roma è deserta !!! Ed i maestosi edificii della città eterna,

bastano per atterrire il Francese. La sola banda militare del lo leggero, provò suonare , ma un timor panico s'impadronisce di essa immediatamente e della colonna che marciava con passi incertissimi. La musica cessa, tutti al passo di carica guadagnano Piazza Colonna, senza che anima viva fosse comparsa.

L'annata francese sembrava perseguitata dal rimorso. Come l'assassino atterrito del proprio misfatto, che trema sulla vittima spirante, che anche vinta lo guarda con disprezzo e l'insulta.

I preti, quest'infamissima casta che pesa così crudelmente sul popolo romano, veruna molestia aveano sofferto durante la Repubblica. Un'armata di 30 mila Francesi viene per proteggerli, e bene? il primo, che il giorno 3 sortendo dalla sua tana, pronunzia l'abborrito nome di Pio IX, è massacrato dal popolo. I Francesi in Roma , il pugnale principia a lavorare. Era l'ordine che si ristabiliva.

Ben lungi dal voler fare l'apologia dell'assassinio, io mi credo in dovere prendere la difesa del più gran popolo del Mondo quale è il Romano. Se un Atleta dopo lunga lotta vince un'uomo ed entra senza ragione e di forza nella sua casa, l'uomo vinto, sicuro della sua inferiorità, che vede crudelmente tiranneggiare le sue più care affezioni, è esso nel dritto di pugnalare l'Atleta? io credo di si. Questo dritto è quello stesso che ha il viaggiatore di pugnalare il brigante, il cittadino il ladro di strada.

Molti soldati francesi cadevano sotto il pugnale dei cittadini; giacché la popolazione inasprita, vedeva un nemico in ogni soldato. Non erano questi assassini. Il Francese era assalito di fronte, pugnale contro sciabola, pugnale contro bajonetta, uno contro uno.

II giorno il generale in capo Roselli scrisse al generale Oudinot, onde mandare ad effetto l'accordo per la partenza dell'armata, che ansiosa ne attendeva il momento, per più non vedere l'odiosa presenza del nemico. Oudinot non si degna rispondere. Il giorno seguente 4 luglio. un capitano di stato-maggiore, scortato da un plotone di cavalleria, si presenta al generale Roselli, e dichiara, che l'armata poteva partire, ma sarebbero rimasti in Roma,

il 4°, 2°, 3° reggimenti di linea, un reggimento di cavalleria, i carabinieri, e tutto il materiale d'artiglieria.

Il Generale francese, sempre avea detto di voler bensì occupare la città militarmente, ma che pel momento non vi sarebbe stato alcun cambiamento politico. Lo stesso generale che, per maggiormente ingannare, e nascondere le proprie intenzioni, avea sempre conservato a Civita-Vecchia la bandiera italiana, proclama sciolta l'assemblea , e decaduto il governo. E nel tempo stesso un battaglione invadeva a viva forza la sala dei rappresentanti del popolo.

…..In un paese privo di tutti gli elementi, mancante di danaro, di armi, di materiale di guerra e di capacità militari, un'armata sorge ad un tratto figlia del solo patriottismo. Circondata da nemici, essa non vacilla un momento. I Francesi sono messi in completa fuga il giorno 30 aprile. I Napoletani volgono le spalle a Zagarolo e a Velletri. Un assedio lungo e penoso è da essa sostenuto. Non desiste dalla difesa che per ordine dell'Assemblea, e finalmente di sua propria mano si distrugge, al morire della Repubblica, come l'amante sul corpo dell'amata. E bene, questa

armata romana, che avea ben dritto a non esser lesa nell'onore, è oltraggiata dal vile Oudinot, che per soli ottocento rinnegati che si danno ad esso, con impareggiabile impudenza, affigge per le strade un proclama, in cui l'onorato guerriero della Repubblica avea l'onta di leggere : V armata romana ha fraternizzato, ed è divenuta alleata della francese !!

In Roma il generale Rostolan assume il governo; un uffiziale superiore, le funzioni di prefetto di polizia. Le povere teste generalizie si veggono bene imbarazzate a condurre la macchina governativa ; cercano da per tutto ajuto, ma non trovano intorno che il vuoto e l'isolamento il più assoluto. Ed era ben tempo che i loro protetti, liberati dalla fazione, sorgessero; ma niuno li avvicinava. Il generale Rartolucci è invitato a comandare l'armata romana, ed esso risponde con assoluto rifiuto. Il generale dei carabinieri Galletti è invitato ad assumere il ministero dell'interno, e l'integerrimo cittadino risponde: Io non servo che i governi costituiti, e le leggi; fin ora non veggo né leggi, né governo, bisogna quindi indicarmi quale governo debbo servire, a quali leggi debbo sottomettermi, ed allora vi risponderò. Il solo Municipio resta in piedi, nobilissima parte della caduta Repubblica; ma esso resta per proteggere i cittadini, esso resta per far argine ai soprusi ed alle soverchierie del nemico, e fra i tanti proclami di cui sono imbrattate le mura di Roma, ed ove non si leggono che menzogne ed infamie, proclami bruttati d'immondizie dai Romani, uno se ne vede candido e rispettato; è il Municipio che parla al popolo. Numerosa la gente lo circonda per leggerlo, ed il cuore, affranto e disgustato dal bassissimo linguaggio francese, si rinfranca alquanto alla maschia e paterna voce della libertà ; e la parola del Municipio sembra l'eco rimasto del passato governo, che ben presto doveva estinguersi come tutto ciò che era nobile e grande. Il governatore di Roma esordisce con un proclama, ove al solito si dichiara abbattuta la

fazione, e ristabilito l'ordine; ma intanto (forse per semplice precauzione) dichiara Roma in stato di assedio, ordina il disarmo della guardia nazionale e dei cittadini tutti, ed alle 9 della sera la circolazione è proibita. Dicasi lo stesso dei caffè chiusi, della stampa manomessa , dei Circoli soppressi.

Il Pincio, che domina Roma, è occupato militarmente; alla Piazza del Popolo due cannoni infilano la lunga via del Corso, la truppa è disposta sempre come per rispingere un'insurrezione. La sera la ritirata è scortata da un battaglione in colonna, che percorre le vie principali, e le altre sono perlustrate da numerose pattuglie di cavalleria e fanteria. Il battaglione che parte da Piazza Colonna e percorre il Corso, è preceduto da una linea di bersaglieri a distanze marcate, i quali, occupando la larghezza tutta della strada, cercano con la baionetta incrociata sgombrarla dalla folla. Il popolo fremente cammina a passo lento, le bajonette francesi gli toccano i fianchi, ed obbliga la colonna tutta a moderare il passo. Il disarmo, lo stato d'assedio, la disposizione delle truppe, l'isolamento in cui sono i Francesi, sono prove assai evidenti per mostrare all'impudente Oudinot chiara la sua menzogna nel dirsi ben ricevuto in Roma. Ma ciò non è tutto.

Restava ancora sull'obelisco di piazza del popolo il berretto frigio, che il cittadino mirava come una dolce memoria. Il Francese dichiara abbatterlo con le altre insegne repubblicane come emblemi del terrore, e col favor delle tenebre, con massimo silenzio, un distaccamento di pompieri, scortato da un battaglione, eseguisce la sentenza. Il solo berretto che dall'alto signoreggiava l'immensa città, atterriva il nemico; esso non ardiva stenderci la mano che nascosto nel bujo e circondato da una selva di baionette.

Sbucavano intanto dalle loro tane pochi satelliti gregoriani, gente che all'Austria ed a Pio IX sembrò troppo perfida in epoche precedenti. Essi sono accolti dai Francesi come loro angioli tutelari. Un Caroselli, un Ferrini, un Moreschi, ed altri pessimi uomini infamati in tutta Roma, sono impiegati principali nell'ufficio di polizia.

Col berretto alla cima dell'obelisco , Roma era grande e tranquilla. Gli armati che percorrevano la città erano solamente quelli destinati a combattere lo straniero. Mai un disordine turbava la quiete di un'onesto cittadino. Le prigioni erano vuote, lo attesti lo stesso Corcelles, se le sue labbra sono capaci di pronunziare la verità una volta sola. Egli che personalmente circondato da birri, andò per arrestare il T. Colonnello Galvagni nella propria dimora, dica quali prigionieri rinvenne per cause politiche? nessuno. Sparisce il berretto chiamato dal Francese segno del terrore, e cosa diventa Roma? Il pugnale lavora nelle strade, la città sempre fra una selva di bajonette, i cittadini disarmati. Le prigioni riboccano di arrestati, il cittadino non è più sicuro nel suo domicilio; l'inimicizia di un Caroselli, o di un De Rossi, basta per strapparlo dal seno della famiglia e gettarlo in un carcere. Il generale Rostolan passeggia intanto gravemente col suo statomaggiore i sontuosi saloni del palazzoTorlonia, ed affetta il tuono dall'aristocrazia leggittimista, di cui imita l'orgoglio, ma non è capace imitarne le grazie e la politezza, retaggio di una classe superiore al certo per nobiltà di pensare alla spregevole aristocrazia della moneta che governa la Francia.

Il cortile del palazzo Torlonia, giacché il governatore non sa neanche riceverle nell'appartamento, è pieno di mogli che chiedono dei mariti, di madri che chiedono il figlio, di sorelle il fratello, e le domande di tutto non si riducono che ad una sola, perché lo avete arrestatoi Inutilmente queste infelici reclamano giustizia; la loro voce non arriva neanche all'orecchio dello straniero , che invisibile a tutti si rendo.

Passerò alla citazione di alcuni fatti acciò servano di termometro per giudicare i rimanenti.

Il farmacista Rolli Giuseppe , mentre una sera è per chiudere il magazzino, si vede circondato da numerosi carabinieri. Gli viene assegnata una latrina per carcere, ed una minutissima perquisizione è fatta nella casa: nulla si rinviene. Il Rolli è tradotto al Castel S.-Angelo senza mai conoscere la causa di questa violenza. Passano molti giorni in tale incertezza ; finalmente sa che

la sua colpa gravissima era di aver permesso durante la Repubblica di parlare di libertà ai cittadini riuniti nella sua farmacia. Ma intanto nessun giudice di sorta si presenta al prigioniero, che soffre danni al suo fisico, al suo morale, ed ai propri abbandonati interessi, essendo rimasta la sua casa in balìa dei gendarmi.

L'ospedale delle croniche, istituzione caritatevole, era a S. Giovanni, luogo di aria pessima. Il governo della Repubblica lo avea trasferito in S. Sisto, occupando una piccola parte di queill'immenso locale, monistero di suore aristocratiche. Le suore ricorrono al generale Oudinot ( il contatto delle povere malate lor recava danno), ed Oudinot ordina che in soli 15 giorni l'ospedale debba trasferirsi a S. Giovanni, locale che , occupato dalle truppe durante la Repubblica , neanche due mesi bastavano per renderlo solamente abitabile dalle ammalate. Il do Ito re Gentile, che non si occupa d'altro che di medicina, né mai si è mischiato in affari politici, perché si suppone che possa opinare diversamente, e disapprovare una tale disposizione, vede la sua casa, la notte, invasa da una numerosa pattuglia francese, resta tre giorni in una latrina , è tradotto quindi in Gastel-S-Angelo e messo in segreta, ove invano attende di conoscere la causa del suo arresto.

Un Biaggio e sua moglie, chiusi in prigione, per aver servito come portieri a Mazzini, allorché abitava alla strada dei duo Macelli.

Lenzi avvocato, strappato dal seno di sua famiglia , chiuso in carcere, perché avea, durante la Repubblica, parlato liberalmente nei caffè.

Oreste avvocato Raggi, difensore uffizioso dei poveri carcerati, senza titolo, senza ordine di alcun'autorità, è tradotto in carcere e vi resta lungamente senza neanche conoscerne la ragione.

I fratelli Castellani, aurei giovani, uno dei quali monco del braccio destro, l'altro appena di anni 19, sono strappati alle braccia delle famiglie e tradotti in un carcere ove lungo tempo gemono , ignorando la causa di così arbitrarie misure.

E moltissime pagine potrei riempire di simili arresti illegali ed arbitrari. Finalmente il giorno lo luglio il cannone annunzia al popolo, che principia di nuovo a pesare su di lui il tirannico

ed infame governo chiericale. Lo stemma papalino, sprezzato dal popolo, sventola sulle torri di Castel-S-Angelo, maledetto da quei prigionieri che passeggiano nel forte, primi a provare il peso della tirannia.

La truppa è sotto le armi ; Oudinot ascolta la messa in S. Pietro, ed ivi su quei visi sacerdotali vede per la prima volta un sogghigno amico. E il sogghigno e l'amicizia di due assassini sulle spoglie della vittima. Il popolo accorre come sarebbe accorso al supplizio di un condannato; una trentina di mascalzoni gridano: Viva Pio IX, voce che i Francesi forse pagarono coll'oro. La folla mormora; freme ed agghiaccia il cuore dei vili prezzolati Un'armata francese di trentamila uomini, la cui magnifica organizzazione, la cui lodevolissima ed ammirabile disciplina la rende giustamente la prima armata del mondo; quest'armata , accolta dalla simpatia dei popoli, avrebbe aggiunto brillanti vittorie agli allori francesi. Ma quest'armata, strumento di vilissimo governo, è confidata a vilissimi capi. Il soldato francese è obbligato, egli repubblicano, a punire chi grida viva la repubblica; il soldato francese si vede odiato da un popolo col quale

simpatizza. Esso sparge il suo sangue senza guardare alla causa; difetlo di quella disciplina tanto lodevole in sé , ma funestissima se messa a servizio d'una causa ingiusta.

Quindi, a forza di menzogne e d'inganno , il Francese ottiene durante il tempo che aspettava rinforzi, l'inazione del Governo della Repubblica , impadronendosi delle migliori posizioni, prima di assalirci con nuovo tradimento il 3 Giugno. Principia I'assedio, e resta un mese con la trincea aperta sotto le mura di una città, che mancava del sufficiente numero di artiglieri, di artiglieria, di truppa; di una città la cui cinta era debolissima , e senza le masse occorrenti di terra; priva di fossato, priva di opere esterne, priva di fiancheggiamenti. Bombarda la città e lo nega. Lascia in Civita-Vecchia la bandiera italiana, fa credere di volere nei primi momenti rispettare il governo , e presenta un'ultimatum il cui 2° articolo era così concepito:

La Franca ne conteste pas aux populations romaines le droit de se prononcer librement sur la forme de leur gouvernement.

La Francia non contende alle popolazioni romane il diritto di pronunciarsi liberamente sulla forma del loro governo.

Intanto entra a Roma, scioglie l'Assemblea, e restituisce il dominio assoluto dei preti.

Il prezzo di tanti inganni, di tante bassezze, è il disprezzo del popolo. I suoi editti sono bruttati di schifose materie, il Francese non vede che volti ostili, che ira , ed incontra anche la morte.

Invece, i già triumviri Mazzini e Saffi passeggiano Roma tutta fra la folla dei cittadini. Non trovano che strette di mani amiche, sospiri per future speranze, ammirazione generale.

Il giusto è più grande nella sua caduta che nel suo potere. Oh! voi che diceste che erano i capi di una fazione, che governavano col terrore, ora che questa fazione è disciolta, perché non v'è uno che insulti a questi tiranni?

Il soldato comprende che trovandosi al servizio di un tristissimo governo, è condannato ed essere qualche volta uomo senza principi, un'automa obbligatoa compiere imprese ingiuste, l'esito delle quali gli è imposto dall'onore delle armi; ma che un Generale in Capo debba mentire, scendere ad un mezzo si vile, è un'esempio unico nei fasti della Storia. Per la prima volta la menzogna, retaggio della diplomazia, è stata adoperata dal guerriero.

In questa impresa la Francia ha guadagnato perfino il disprezzo dell'Austria, e in Italia ha perduto affatto la simpatia e l'influenza morale che voleva conservarsi.

Rapido cenno sugli ultimi avvenimenti di Roma, dalla salita della breccia al dì 15 luglio 1849 - Carlo Pisacane - Losanna - Scocietà Editrice L'Unione - 1849

3 Luglio 1849

Il giorno 3 Luglio alle ore 4 pomeridiane l'esercito francese faceva il suo ingresso nella città soggiogata. Tutte le vie erano deserte, chiuse le imposte e le porte, un tetro silenzio regnava dappertutto. In affacciarsi a Piazza del Popolo, i reggimenti francesi che s'attendevano forse alle acclamazioni ed alle feste del popolo ritornato a libertà^ s'arrestarono stupefatti all'aspetto di quella città, si minacciosa ancora nel suo silenzio. Fu dato ordine che si mettessero i cappellozzi sui fucili, e, preceduti da forte vanguardia, al passo di carica entrarono 12 mila uomini. — Nel medesimo momento la costituzione della repubblica romana veniva con gran pompa pubblicata dal Campidoglio, in presenza di tutta l'Assemblea e di gran folla di popolo.

Ma l'Assemblea che fece pompa di spartana fierezza nel rifiutare le trattative, e ad imitazione degli antichi Senatori, volle aspettare ne' suoi seggi la decisione delle sorti della patria caduta, avrebbe fatto meglio a non dimenticare quali doveri la stringessero verso i suoi difensori, ai quali non veniva così concessa veruna garanzia, e che restavano senza alcuna malleveria alla discrezione del vincitore. E particolari riguardi meritavano i superstiti Lombardi, a cui tutta Italia restava chiusa, e che domandavano ansiosamente che mai sarebbe avvenuto di loro.

Manara solito a tutelarne i diritti con caldissima sollecitudine, non era più; gli altri a cui incumbeva dopo lai il nobile incarico, o mal pratici, o male animati, provvedevano più agl'interessi privati che ai pubblici. — Una somma ragguardevole venne dal Governo destinata a sovvenzione degli ufficiali e soldati ; un'altra doveva trovarsi nella cassa del reggimento ; l'una e l'altra nella massima parte scomparvero lasciando così quei miserrimi esuli privi d'ogni soccorso. Alcuni nomi vennero additati alle imprecazioni di quei derelitti : io non vo' qui ripeterli, perché non ho diritto d'infamare nessuno, se non con certezza d'essere giusto ; ma ho speranza che un giorno verranno gettati alla vendetta della legge e al vitupero universale.

Il giorno 4 venne il Corpo dei Bersaglieri disciolto insieme agli altri. Quei miseri esuli scacciati da Roma, condannati a viver di carità per le vie di Civitavecchia, furono dalla disperazione costretti ad arruolarsi per l'Africa, o a riconsegnarsi agli Austriaci, meglio amando il bastone che la fame ed il disonore.

Così finirono i Bersaglieri lombardi, raro esempio di disciplina, di coraggio e di sventura : benedetti sempre dalle popolazioni ch'ebbero contatto con loro, rispettati dai nemici nella pugna e dopo, lasciati dopo tanti pericoli e tante fatiche nel più nefando abbandono, furono uditi più volte i superstiti invidiare la sorte dei tanti, che con una morte onorata sul campo avevano saputo sfuggire a quell'accanimento della fortuna, che li sparse raminghi e miserabili sulla faccia del mondo.

Dopo aver compiuto tutti i tristi doveri di soldato e di amico, io abbandonai solo e piangendo quella città in cui due mesi prima eravamo tutti entrati fra gli evviva e le speranze più belle. Rifiutato a Genova, sbarcato a Marsiglia, io rividi finalmente il mio povero paese e le famiglie de' miei compagni morti. Solo mi sostiene, nella sconsolata vita che mi avanza, la ferma fiducia che Iddio non vorrà inutilmente gettato tanto sangue e rovinate tante esistenze e che le preghiere di quei martiri che sono lassù, ridoneranno una volta a questa Italia nostra sventurata, senno, dignità e concordia, condizioni indispensabili ad ottenere un meno infausto avvenire…..

I Volontari ed i Bersaglieri Lombardi

ANNOTAZIONI STORICHE - EMILIO DANDOLO - SOCIETÀ EDITRICE DANTE ALIGHIERI - ALBRIGHI, SEGATI & C. - 1917

3 Luglio 1849

Le truppe francesi dovevano fare il loro ingresso il 3 luglio. Poco rimaneva a fare a Garibaldi per TI e il 2, eccetto affrettare la propria partenza. Si diceva che ognuno aveva libertà di scelta di andare con il Generale o di rimanere, ma gli ufficiali della maggior parte dei reggimenti ex-papali, facevano pressione per trattenere quelli che erano al loro comando, e molti, compresi alcuni della Legione stessa di Garibaldi, furono tenuti a forza in Castel Sant'Angelo, contro il desiderio del loro capo . I cuori erano tutti in subbuglio in Roma ; madri, mogli, amanti s'arrabbattavano a distogliere i loro uomini da una spedizione che non aveva una meta di salvezza verso cui avanzare, ne un punto d'appoggio su cui ritirarsi. I motivi che inducevano circa 4,000 italiani ad intraprendere la più azzardosa e romantica di tutte le marcie di Garibaldi, variavano assai fra di loro. Molti andavano per evitare le prigioni papali, alcuni pochi speravano di far bottino, altri non cercavano che procurarsi scorta e compagnia nel loro viaggio di ritorno a casa nelle Provincie ; chi era spinto da furore per i mali della sua patria e divideva la determinazione del duce di non ceder mai le armi allo straniero sul suolo italiano ; chi nutriva la speranza illusoria che si potesse ancor riuscire a qualcosa. Molti altri però eran pronti a seguire Garibaldi ciecamente fino alla fine del mondo senza reclamar vittoria, purché fosse loro concesso di divider con lui la vita e la morte.

Fu per amore di Garibaldi che lo svizzero Hoffstetter si privò di bel nuovo della felicità di ritornare alla libertà e alla pace delle sue Alpi, e rischiò un'altra volta la vita per un paese che non era il suo, in un'impresa che egli sapeva disperata La notte del 1° luglio, la vigilia della partenza, egli pranzò con il Generale e sua moglie. Anita aveva ormai messo bene in chiaro che malgrado le fervide preghiere e rimostranze di suo marito , lo avrebbe accompagnato nella marcia. « Era una donna di circa ventotto anni — osservò l'Hoffstetter — di carnagione molto scura e lineamenti interessanti ; snella e delicata della persona. A prima vista si riconosceva l'amazzone in lei. Quella sera durante il pranzo a cui il Generale mi aveva invitato, ebbi agio di notare tutta la tenerezza e l'attenzione con cui egli trattava sua moglie » .

Il giorno seguente Garibaldi assembrò a ora fissa i soldati che si erano offerti di unirsi a lui. II luogo fissato per l'incontro era la Piazza di San Pietro, la più grande della città, giacente air ombra della chiesa e del palazzo più famosi del mondo. Era gremita di migliaia e migliaia di cittadini , venuti a dire addio ai loro eroi ; la spazio immenso tracciato dai giganteschi pilastri della colonnata semicircolare pareva lastricato di visi umani ; la folla si pigiava fin sulle porte stesse del Vaticano. Nel mezzo stavano le truppe, quasi incapaci di tenersi ferme al posto, del tutto incapaci di mantener le file in quell'oceano oscillante di donne e di uomini, che con gesticolazioni violente cercavano esprimere tutto il conflitto dei sentimenti cui erano in preda. Garibaldi non era ancora arrivato e tutta l'attenzione si concentrava sui volontari che si accingevano a condividere la sua marcia. Le madri cercavano di strappar via i loro figliuoli ; ragazzi di diciassette o diciotto anni si scioglievano a forza dalle famiglie e si mescolavano alle file nascondendosi fra esse . Tutto ad un tratto, si sentì dal Borgo un lungo muggito di evviva ; tutti gli occhi si rivolsero all'angusto sbocco della strada, dove uno sventolar di cappelli e di fazzoletti nell'aria dava segno che egli arrivava.

« Nel bel mezzo della calca ondeggiante che si riversava da Via del Borgo sulla Piazza vedemmo apparire (dice il Koelman), il pennacchio nero di Garibaldi ; non era circondato dal suo Stato Maggiore che, disperso qua e là faceva sforzi per raccogliersi, ma da cittadini e donne che lo assalivano da tutte le parti. Lentamente e a stento, riuscì a farsi strada fino all'obelisco che sorge nel centro della Piazza ; allora si fermò, girò il cavallo, e quando i suoi ufficiaH gli si furono raccolti intorno, fece cenno di cessare le acclamazioni. Un altro evviva doppiamente poderoso, poi una calma di morte su tutta la Piazza ».

Nel silenzio che seguì quella tempesta, la voce sonora e penetrante di lui si diffuse fino all'orlo estremo dell'enorme calca .

« La fortuna che oggi ci tradì, ci arriderà domani. Io esco da Roma : chi vuol continuare la guerra contro lo straniero venga con me. Non offro ne paga, ne quartiere, ne provvigioni ; offro fame, sete, marcie forzate, battaglie e morte. Chi ha il nome d'Italia non sulle labbra soltanto ma nel cuore, mi segua ». « Fame, sete, marcie forzate, battaglie e morte », tale l'offerta, non altra.

Detto questo e indicato il Laterano come luogo di convegno per la partenza della sera, si allontanò sempre a cavallo, lentamente come era venuto, fra la folla frenetica e singhiozzante. Su quella marea di faccie alzate, convulse dalla disperazione del cuore, la sua sorgeva calma e composta, tipo perfetto di statuaria bellezza greca, illuminata da quell'espressione semplice a serena di fortezza e di fede per cui gli fu possibile guidare le moltitudini deboli dei mortali, come se egli fosse l'unico discendente di qualcuna delle razze divine favoleggiate in antico.

Verso le sei del dopo pranzo un'altra adunanza più piccola, più grave e più pratica fu tenuta al Laterano. Garibaldi e le sue truppe vi erano giunti attraversando il Ponte Sant'Angelo e passando davanti alle predilette rovine del Foro e del Colosseo che ben pochi dovevano rivedere. Il piazzale intorno al Laterano dove ora si faceva l'arruolamento, così vicino come era alla Porta delle antiche mura degli Imperatori e in piena vista della campagna e dei colli Albani laggiù in fondo, costituiva la paite di Roma più specialmente connessa per associazione d'idee, all'antichità e alla potenza e al terrore dei Papi medievali i cui manes respingevano ancora una volta verso il castigo e la morte, i figliuoli di una generazione ribelle. Ivi sorgeva pur sempre il Palazzo Laterano, residenza dei Papi dal tempo di Costantino alla cattività in Avignone, durante i dieci secoli della loro massima potenza; da esso avevano dettato la legge ai Re d'Europa e steso lo scettro sulle remotissime regioni dell'Inghilterra e della Germania. Ivi sorgeva anche il Triclinio di Leone III, strano monumento che con i suoi mosaici sciorinava agli occhi dei democratici Garibaldini, figure di Papi e di Imperatori prostrati insieme a ricevere dalla potenza divina le insegne del loro diritto di dominio sul mondo, — la vecchia teoria millenaria della cristianità medievale che perfino al suo declinare era più forte di quei ribelli . E vi era pure la basilica di San Giovanni in Laterano « omnium urbis et orbis ecclesiarum mater et caput », sulla cui facciata torreggiavano in fila imponente le statue colossali pur sempre annunzianti Roma air orizzonte, vescovi e dottori dell'antica Chiesa, sporgentisi giganteschi a maledire gli eretici, —- figure non di amore ma di terrore, protendenti le braccia minacciose ad ammonir l'uomo che egli non sarà mai libero.

Così il piccolo esercito d'armati si radunò in mezzo agli incanti del terreno nemico e aspettò fino all'imbrunire l'ordine di marciare. Vi era Ciceruacchio, bonaccione e allegro come sempre, in abito borghese e a cavallo al fianco del suo figliuolo minore, un ragazzo tredicenne . Vi era il frate Ugo Bassi con la sua camicia rossa e il crocifisso : portava nella sua borsa di cuoio alla cintola il poema religioso a cui attendeva allora ; i capelli lunghi gli cadevano sulle spalle ; cavalcava un focoso cavallo inglese che Garibaldi gli aveva dato perché non si dipartisse mai dal suo fianco . E vi venne Anita scortata dal Vecchi , montata a cavallo in abiti maschili, la divisa della Legione, che indossava per la sua ultima campagna. Nell'insieme quattromila uomini circa erano pronti a partire, quasi tutti dei reggimenti volontari , notevoli fra gli altri i Legionari in massima parte presenti e un centinaio o più di Bersaglieri lombardi. Pochi lancieri del Masina superstiti del 30 giugno e parecchie centinaia di dragoni del Papa, di cui alcuni erano scappati dalle stalle dove gli ufficiali li avevano chiusi sotto chiave , formavano la cavalleria, piccola forza ma valentissima nelle esplorazioni, come si dimostrò alla prova. Anche questa volta una gran folla di amici era venuta a salutarli. Alcuni stavano in piedi nelle carrozze, altri si arrampicavano a vicenda sulle spalle per dare un'occhiata alla triste rivista. Finalmente, non prima delle otto, fu dato l'ordine di marciare e le truppe cominciarono a sfilare a poco a poco in ordine sotto l'arco dell'antica Porta, mentre l'addio dei rimasti riecheggiava alle loro spalle seguendoli giù per la strada già densa di ombre .

Una volta svanita la retroguardia della colonna e spentesi le ultime voci nelle tenebre, i più se ne tornarono a casa oppressi dal senso che i Garibaldini di cui erano venuti a vedere la partenza avevano fatto la scelta migliore. Essi erano liberi e sarebbero morti presto. Ma in Roma il prete, la spia e lo straniero restavano soli padroni e davanti ad essi tutti dovevano tremare per lunghi anni a venire. Ancora prima che le autorità papali fossero rinstallate, i comparativamente indifferenti guardiani francesi le cui truppe fecero il loro male accetto ingresso il 3 luglio, iniziarono il vecchio sistema di delazione e di cattura sebbene con magri risultati sul principio. Il generale Rostolan, nominato governatore militare della città vinta, « istituì — ci informa il suo compatriotta e nostro contemporaneo M. Bittard des Portes — un'inchiesta a carico dei rivoluzionari più severamente compromessi. I più scapparono, grazie alla complicità degli agenti consolari dell'Inghilterra e degli Stati Uniti, che ci erano sempre stati nemici e che sotto la salvaguardia dei loro passaporti, aiutarono i capi principali della Rivoluzione a varcare le linee francesi ed evitare il Consiglio di Guerra » (*).

(*) Bittard des Portes, 423. I francesi tentarono di perquisire la casa del Console americano Brown, ma egli andò loro incontro sulle scale, con la spada in una mano e la bandiera americana nell'altra. Nelson Gay, N. A. 16 febbraio 1 907, pag. 66 1 -662. - L'Italia e gli Stati Uniti.

Ancora oggi gli storici clericali partecipano all'indignazione allora vociata a tutti i venti, contro I'agente consolare inglese Freeborn che infatti aveva distribuito parecchie centinaia d'ordini di passo, grazie ad un'interpretazione molto lata dei suoi privilegi diplomatici. Lo stesso Palmerston si senti obbligato di riprenderlo per il suo nobile abuso . Ma il fatto che nell'ora più truce dell'Italia, molti dei suoi figli migliori furon salvi dalle galere papali per l'opera foss'anche non autorizzata del rappresentante dell'Inghilterra, fu uno dei primi anelli di quella lunga catena di eventi che ora cominciano ad avvincere i due paesi l'uno all'altro. Né malgrado i suoi scrittori clericali, la Francia d'oggi giorno considera l'Inghilterra con sensi ostili, a causa della sua amicizia per l'Italia e per la libertà.

Per alcuni giorni il Mazzini girò nelle strade di Roma come cittadino privato, sfidando la vendetta del popolo su cui a sentire i suoi nemici, egli aveva esercitato un'odiosa tirannia. I francesi sapendo quanto fosse amato non osavano arrestarlo, sebbene le loro ricerche per arrestare gli altri capi fossero sventate. Dopo una settimana circa fuggì anche lui, riprendendo la strada dell'Inghilterra dove rimase per la maggior parte della sua lunga e triste vita. « L'Italia è la mia patria », diceva, « ma r Inghilterra è il mio nido, se pur ne ho uno ». Prima di morire il profeta aveva imparato ad amare le nebbie e la opacità stessa dell'atmosfera londinese, dove sembra che i dolori e le fallacie umane gli apparissero più attutiti e sopportabili che non in mezzo al delinearsi netto e spietato dei contorni sotto il cielo italiano. Il Papato ristorato sotto la direzione dell'Antonelli, non seguiva più la politica mezzo liberale dei primi anni di Pio IX, ma il vecchio regime clericale dei papi precedenti. Ogni vestigio di Governo rappresentativo, ogni traccia d'istituzioni salvaguardanti persone e proprietà contro il potere assoluto, spazzati via ; la stampa liberale di nuovo ridotta al silenzio ; le spie laiche e ecclesiastiche squinzagliate ancora una volta ; le prigioni e le galere rimpinzate di quelli che avevan servito la Repubblica; gli ordini d'esilio rinnovati numerosi. Alcune di queste vittime, come il Ripari che fu imprigionato, eransi rese colpevoli di curare i feriti ; altre appartenevano al partito moderato a cui i francesi avevano preteso di offrire appoggio con il loro intervento. Quelle classi stesse che si erano lino allora mantenute relativamente fedeli al vecchio ordine, si disgustarono presto dei governanti. Il Farini, che da moderato inflessibile era stato amaramente ostile alla Repubblica mazziniana, scriveva così al Gladstone nel dicembre del 1852:

« Il Governo, è come per lo passato, prettamente clericale, imperocché il solo Cardinale Segretario di Stato è vero ministro ; cardinali e prelati prevalgono, se non di numero, d'autorità nel Consiglio di Stato e nella Consulta di Finanze ; cardinali e prelati governano le Provincie; i soli chierici possono governare supremamente l'amministrazione, r istruzione, la beneficenza, la diplomazia, la giustizia, la censura, la polizia. La finanza rovinata ; poverissimi i commerci ed i traffici ; il contrabbando risorto ; ristaurate tutte le immunità, tutte le giurisdizioni dei chierici ; tasse e taglie a ribocco, senza regola e senza misura ; ne pubblica né privata sicurezza ; ne strade ferrate, ne telegrafi; gli studi negletti; non uno spiro di libertà, non una speranza di tranquillo vivere ; due eserciti stranieri ; lo stato d'assedio permanente ; vendette atroci, sette frementi ; scontento universale. Questo oggi il Governo del Papa (*).

Questo regime non differenziava essenzialmente da quello di Gregorio XVI se non in quanto si manteneva con l'aiuto delle baionette straniere perfino in Roma stessa; già reliquia veneranda per quanto corrosa, del passato della nazione, non era ormai più che tirannia riimposta colla forza sulle rovine e di un Governo libero e delle speranze di tutto un popolo.

(*) Farini, IV. 328, ediz. ital., e. s., IV. 307.

GEORGE MACAULAY TREVELYAN - GARIBALDI E LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA - TRADUZIONE DI EMMA BICE DOBELLI - BOLOGNA - NICOLA ZANICHELLI - MCMIX