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24 - La Repubblica Romana del 1849

L'assedio di Roma parte 2

Piano d'attacco francese ai bastioni delle mura aureliane nei pressi di Porta San Pancrazio.
Piano d'attacco francese ai bastioni delle mura aureliane nei pressi di Porta San Pancrazio.

Dopo ripetuti attacchi di forze sempre in aumento e soverchianti, malgrado l'eroica resistenza sostenuta dalla Legione Romana reduce dal Veneto della quale faceva parte il tenente Giacinto Bruzzesi che pel suo valore si meritava la medaglia d'oro al valore, malgrado il valore spiegato dal battaglione universitario e da altri valorosi. Anche ai Monti Parioli i nostri venivano sopraffatti. Tra questi fu ferito il colonnello Romano Silvestri mentre combatteva eroicamente con al fianco tre figli, uno dei quali rimase pure ferito. Questo patriota che Roma ricorda con onore, fu uno dei più perseguitati dal governo pontificio; esiliato nel 1821 e nel 31, doveva subire la stessa sorte nel 1849.

Nel 1848 comandò il 1º reggimento volontari romani che tanto si fece onore combattendo a Cornuda ed a Mestre; ebbe poi il comando dell'Estuario e quindi passò capo di Stato Maggiore col generale Pepe. Combattendo sotto Velletri le truppe borboniche, ebbe ucciso il cavallo; dopo la ritirata delle truppe Napolitane venne nominato comandante di quella zona. Nel 1860 egli stesso accompagnava i sui tre figli al campo a combattere per l'unità della patria. Onore alla sua memoria.

I francesi eransi fortemente stabiliti con l'intera Divisione Guepiller anche nella Via Flaminia da dove per 28 giorni fulminavano il Pincio, bombardavano la città, senza essere mai riusciti a sloggiare i nostri dai Monti Parioli; fra i difensori vi era anche un battaglione degli studenti che teneva con grande valore la Villa Poniatowschi, sebbene bersagliato senza tregua dal nemico che della Villa Polverosi al di là del ponte Milvio aveva fatto una formidabile posizione offensiva e difensiva.

L'11 di giugno nelle ore pomeridiane il battaglione comandato dal valoroso capitano Golinelli sostenuto dalla Legione romana volle con supremo ardimento tentare di sloggiare il nemico dalla Villa: con slancio da veterani i bravi studenti si precipitarono impavidi all'attacco, sostenendo un accanito combattimento per più ore, ma la grandine delle palle nemiche alfine ne arresta lo slancio, balenano i bravi giovani, cadono numerosi e sono obbligati a ritirarsi; ultimi a farlo furono i fratelli Francesco ed Alessandro Archibugi di Ancona, che combattendo da veri eroi caddero entrambi mortalmente feriti; rimasti sul campo, vennero fatti prigionieri e condotti a Civitavecchia ove vi lasciarono la vita.

Il combattimento di quel giorno sostenuto con slancio ammirevole, costò al piccolo battaglione oltre quaranta feriti gravemente, primi fra i quali il capitano Gollinelli, il tenente Ronchini, il Cattaneo, il Pietrasanta, il Silvagni, il Finzi.

Il fatto d'armi meritò di essere messo all'ordine del giorno nel quale venne segnalato in modo speciale il battaglione degli studenti meritevole di grandi encomi.

La mattina del 13 i francesi smascherarono tutte le loro batterie e con trenta bocche da fuoco batterono per sette giorni e sette notti i bastioni sesto e settimo, e la sera del 21 vi aprirono in tre punti la breccia; non restava più agli assedianti che di salirla; e difatti la notte del 21 al 22, taciturni, tentarono l'assalto; il battaglione del reggimento «Unione» che vi stava di guardia, si lasciò sorprendere e volse in fuga, e gli assalitori solleciti a trarre profitto dal panico, furono padroni, senza combattimento, delle mura di Roma.

Presa la breccia, Mazzini propone che ne sia tentata la ripresa la notte stessa. Si mandò a chiamare Garibaldi, ma questi dichiarò ineseguibile l'impresa. Mazzini scrisse a Manara perché persuadesse Garibaldi, ma questi non mutò divisamento.

Disse essere suo convincimento che l'assalto notturno alla breccia, con truppe stanche, orbate dei loro migliori ufficiali, sarebbe inevitabilmente fallito e che ormai la sola provvida e urgente risoluzione da prendersi era quella di riparare dietro una nuova linea, che egli aveva già ideato e proposto.

Perduta la breccia, e la fiducia di conquistarla, ai Romani non restava fuori di Roma che il Vascello. Solo ma formidabile sempre; e dentro Roma restava il tratto dei bastioni da Porta S. Pancrazio a Porta Angelica, e come seconda difesa, la linea tracciata dagli avanzi della Mura Aureliana, sostenuta al centro dalle batterie del Pino, ad occidente dal bastione ottavo e dalla Villa Spada, ad oriente dai Conventi di San Calisto e di San Cosimato, sulle falde dell'Aventino.

Ed era appunto intorno a queste posizioni che stava per rinnovarsi la lotta.

I francesi, dopo di essersi gagliardamente trincerati nella breccia conquistata, avevano costruito una terza parallela dalla quale bersagliavano le posizioni nemiche facendo piovere nella città una tempesta di bombe che spesso andava a cadere, danneggiandoli, sui monumenti più famosi dell'antica romana grandezza.

Garibaldi affidava al valore dei Legionari del Medici la ripresa di Villa Barberini; in questa impresa ebbe fracassato un braccio il Capitano Gorini, il corpo forato da diciotto ferite l'Induno Girolamo, la spalla forata da una baionettata il giovinetto valorosissimo Cadolini, e non lasciarono al nemico che un monte di rovine; armarono di nuovi pezzi le batterie del Pino, afforzarono Villa Spada, tempestarono di colpi bene aggiustati le batterie nemiche, e sopportarono con costanza invitta i disagi dei lavori notturni, i guasti del bombardamento, i vuoti della morte.

Tutti fecero eroismi sorretti dalla coscienza d'un alto dovere.

Il Medici, fatta del Vascello una fortezza, con un manipolo di prodi la difese con sovrumana energia di piano in piano, di pietra in pietra. Bersagliato notte e giorno da Villa Corsini, tormentato senza posa dalle carabine dei famosi Cacciatori d'Africa, ridotto in frantumi in gran parte l'edificio che gli serviva di asilo e di rocca, nulla valeva a scrollare la sua impassibile fermezza. Squarciato il secondo piano scese al primo; crollato anche il primo, passò al piano terreno; diroccato questo pure, s'accampò all'aperto; ma non cedette un sasso della sua ruina e la rese immortale.

E i difensori delle batterie fecero pure miracoli--e innanzi tutti i cannonieri--inferiori per l'armi, mal coperti da terrapieni improvvisati, costretti a combattere con pezzi da campagna contro pezzi d'assedio più di una volta fecero tacere le batterie nemiche; ne sconquassarono o ne demolirono le opere, strapparono per la giustezza dei tiri e l'intrepidezza della difesa grida d'ammirazione anche agli stessi nemici.

Un uomo compendiava in se tutti gli eroismi e pareva abbellire colla calma la morte dei suoi bravi e rendere fede al miracolo dell'invulnerabilità sua; Garibaldi! Lasciata Villa Spada si era fatta costruire una capanna di stuoie presso la batteria del Pino, la sua prediletta; e là, fra il rombo assordante delle bombe francesi, passava i giorni e le notti nell'osservare tutte le mosse del nemico, dirigendo il fuoco della batteria, spacciando i suoi ordini ad ogni parte del campo, e trovando modo di dormire tranquillamente come in casa sua.

Ma l'ultima ora fatalmente s'appressava; dal 27 al 29 sette batterie francesi, avevano fulminato tutte le posizioni romane, e malgrado la virtù e l'eroismo dei difensori avevano fatto di esse mucchi di rottami.

Al mattino del 29, il Casino Savorelli era distrutto, la Porta S. Pancrazio sfiancata, il bastione nono e la Villa Spada gravemente danneggiati, la batteria del Pino sconquassata, e infine il bastione ottavo, punto principale di mira dell'assediante, ridotto in macerie, e la quarta breccia aperta nei suoi fianchi. Bisognava impedire che il nemico ne approfittasse e vi si organizzò una fiera resistenza.

Ricordi di un garibaldino

Giugno 1849

1 Giugno

Il generale Oudinot respinge la convenzione segnata dal plenipotenziario Francese, e la dichiara contraria allo spirito della spedizione. Il generale e l'inviato vengono ad aperta rottura. Lesseps scrive al Triumvirato che la convenzione dovrà essere mantenuta, e parte immediatamente per Parigi affine di appoggiarla presso il Governo.

Il generale della Repubblica Romana scrive al generale Oudinot, reclamando a tenore dell'accordo conchiuso un armistizio di giorni quindici, finché giunga la risposta. Il generale francese non accorda che tre giorni durante i quali s'obbliga formalmente a non prendere l'offensiva. Secondo questa disposizione l'armistizio doveva durare almeno fino al 4 di giugno.

2 giugno

Il generale Oudinot attacca proditoriamente gli avamposti romani, sicuri sotto la fede dell'armistizio. Un'ora dopo mezzanotte Villa Pamfili è circondata: il battaglione Mellara ode rispondersi dal nemico: noi siamo amici: viva la Repubblica Romana: e s'accorge troppo tardi della perfidia dei falsi fratelli. Una parte rimangono prigioni: gli altri si battono in ritirata soprafatti dal numero, e danno l'allarme ai prossimi appostamenti.

3 giugno Ultimo Quarto ore 4 min. 25 mattina

L'alba rischiarò il tradimento francese e la vendetta Romana.

Oggi incomincia la terribile lotta che non doveva terminare se non colla caduta di Roma, e coll'eterno disonore della Francia.

I francesi occupata la Villa Pamfili nel modo sopra indicato, si avanzarono grossi e compatti fino alle mura.

Ma le legioni Romane, riavute dalla breve sorpresa , si apprestano a riguadagnare il terreno perduto. La battaglia comincia terribile nello spazio, e nelle case seminate tra la Villa suddetta, e la Porta di S. Pancrazio. Sorgeva nel mezzo un forte ed ampio; edificio, chiamato il casinò de' Quattro Venti.

Esso era caduto in poter de' francesi che dalle finestre e dal tetto fulminavano i Romani, colle palle acuminate delle lor carabine.

Garibaldi dà ordine al colonnello Masina, di riprendere quel posto importante. Il Masina era già ferito in una spalla: ma non faceva motto, tanto era l'ardore e la indignazione di quell'eroe. Ricevuto l'ordine dal generale, egli si volge allo stato maggiore che lo circonda, gridando: andiamo noi! andiamo noi! ripetono gli altri ad una voce, e senza più si slanciano a tutta corsa contro il periglioso casino, sotto una fitta grandine di palle che li bersagliano da ogni parte.

Il troppo animoso Masina cade mortalmente ferito sotto le fatali mura. Gli altri più irritati che scoraggiati da quella perdita s'apprestano a vendicarlo. Qui avvenne cosa che sembrerà favolosa a chi non l'abbia veduta. Un'ampia scala metteva al primo piano di quel Casino, già tutto occupato dai bersaglieri nemici. I cavalieri romani spingono i cavalli per i gradini, e già riescono nella sala. Sorpresa, atterriti i francesi dall'improvviso assalto, gittano l'armi, e si lanciano dalle finestre. Molti rimangono prigionieri ì non pochi cadono sotto il fulminare delle spade romane.

Ma questa incredibile audacia non fu coronata dal successo che meritava. La riserva francese prevenne la infanteria romana, e circondò nuovamente il Casino. Quei valorosi stavano sul punto di essere tagliati a pezzi, o fatti prigioni nel conquistato riparo. Fra l'un pericolo e l'altro, scelgono il primo, e s'aprono una via tra le spesse file degli assediatiti. Essi giungono in salvo: ma quasi tutti versano il sangue da più ferite: il più puro sangue italiano.

Daverio, Masina, Dandolo, Morosini non erano più! Mameli e Bixio erano gravemente feriti. — Tutta l'armata nemica non valeva queste preziose vittime, sacrificate per la più santa delle cause dai falsi repubblicani d'oltr'alpe!

Quattordici ore durò il combattimento. Garibaldi nel suo rapporto ai triumviri asserì: "non poter distinguere alcuno, giacché lutti s'erano mostrati egualmente degni di Roma." I francesi furono assalili nove volle alla baionetta: ed altrettante avean mostrate le reni a quegli italiani, che il generale Lamoricière avea detto alla bigoncia francese, "che non si battono!"

Oggimai queste parole resteranno come sono, una "stolta menzogna". Date all'Italia

una bandiera onorevole, e un capo degno di fiducia, e in due mesi sarà libera e indipendente.

4-5 giugno

Nuovi attacchi de' francesi: respinti da' Romani su tutti i punti.

6 giugno

I francesi tentano distrarre i Romani con finte mosse, per appuntare le loro batterie da breccia. Ogni giorno nuove battaglie: ma non per questo il popolo e le legioni romane rallentano i loro sforzi. Roma assediata formalmente, resiste come una fortezza di primo ordine.

7-8 giugno

Cadeva quest'oggi la festa del Corpusdomini. I francesi che aveano minacciato un nuovo attacco, fingono di rispettare la festa, e solo verso la sera cominciano a bombardar la città.

9-10-11-12 giugno

Nuove intimazioni di resa giungono al generale romano. Il generale Oudinot, con una

ipocrisia degna della causa che difendeva, compiange la sorte degli edifici romani che sarà costretto a minare! Dice in un proclama agli abitanti di Roma che le intenzioni della Francia sono state fraintese, e ch'egli viene a procurare il trionfo dell'ordine e della liberto. Offre 12 ore di tempo: scorse le quali darà "suo malgrado, l'attacco di forza."

13 giugno

Il generale romano, l'assemblea, il governo e il popolo tutto risposero unanimi: Viva la repubblica Romana: e morte agli ipocriti! Ecco la lettera de' triumviri:

"Noi non tradiremo mai le nostre promesse: noi abbiamo promesso difendere, eseguendo gli ordini dell'assemblea, il vessillo della repubblica, l'onor del paese, e la santità della capitale del mondo cristiano. Noi manterremo la nostra parola."

— Il generale francese approfitta dell'intervallo tra la lettera e la risposta, per assalire a Nettuno una fabbrica di munizioni da guerra, e mettere a pezzi le macchine appartenenti a una compagnia di privati. Nessun soldato romano le difendeva: contuttociò questo fatto fu riferito al governo francese, come una importante fazione militare, e inserita nel Monitore.

— A Parigi tutti i veri repubblicani si levano contro il ministero e l'assemblea, che insistono a violare l'articolo V della Costituzione, colla spedizione Romana.

Ledru Rollin, alla testa dei deputati più liberali, presenta un'accusa contro i ministri e contro il presidente della repubblica.

Egli dichiara, che esauriti tutti i mezzi parlamentari, si appellerà alla nazione in difesa dello statuto. Il popolo di Parigi corre le vie gridando: viva la repubblica romana. Ma il governo e la maggioranza dell'assemblea aveano preveduto questo movimento, e prese le più forti misure per comprimerlo. Il governo, disperando di poter vincere colla ragione, aspettava il popolo alla prova dell'armi, e poco mancò che non avesse luogo una orrenda carnificina come quella del giugno antecedente.

Dopo tre giorni, il partito dell'assolutismo trionfa. La rovina di Roma è decretata. La Francia, atterrita dal "cholera morbus" che avea già cominciato a mietere molte vittime, lasciò correre l'infame attentato, e chiuse gli occhi alle conseguenze che la logica del tempo saprà cavarne.

— La colonna del generale Arcioni, caccia valorosamente un corpo di truppa francese che s'era avanzata oltre al ponte Milvio.

Le bombe cominciano a piover più. fitte sopra Roma. Cinque di esse cadono sul Campidoglio, ed una ne scoppia dinanzi alla porta della Pinacoteca.

19 giugno

— A Roma continua il bombardamento. Alle due del multino oltre a 500 bombe caddero sopra un quartiere popolassimo della città.

Il generale francese scrive d'averlo fatto per suggestione di Gaeta, nella speranza che i cittadini atterriti e sorpresi, si avventassero contro i Triumviri e li massacrassero.

Il popolo invece dava sempre maggiori pruove di fiducia a' suoi magistrati, quanto erano più duri i sacrificii d'oro e di sangue che gli erano chiesti.

20 giugno

I Romani continuano a fortificarsi nella seconda linea, ad onta delle bombe e delle granate onde i francesi cercano molestarli.

Un avamposto del reggimento Unione sostiene valorosamente l'attacco improvviso di un corpo francese dieci volte maggiore. Lasciarono venire il nemico fin sotto alla porta , poi lanciandosi alla baionetta sopra di lui, ingaggiarono un lungo e accanito combattimento che terminò colla fuga precipitosa dei francesi e colla morte del loro capo.

21 giugno

Da mattina a sera le bombe e le palle francesi cadono su tutti i quartieri della città.

22 giugno

Le campane suonano a stormo. I nemici hanno atterrato un bastione laterale alla porla di San Pancrazio. Non pochi occupano il casino Barberini dentro le mura. Una mano di Lombardi lo difende ostinatamente, ma invano. Uno d'essi, il fratello del pittore Induno, riceve ventisette colpi di baionetta, senza darsi prigione. Riesce a salvarsi, e quasi per prodigio sopravvive alle sue ferite.

23 giugno

I Francesi assalgono le posizioni di Papa Giulio, Villa Poniatowschi, e Villa Borghese presso la Porta del Popolo. Le legioni Romane e il battaglione Universitario sostengono per più ore la lotta, e respingono completamente il nemico.

24 giugno Luna piena ore 2 min. 45 sera

l Francesi approfittando della breccia aperta, appuntano quattro pezzi di grossa artiglieria e cominciano a fulminar la città: ma i cannoni romani in poco d'ora smontano e riducono al silenzio la batteria nemica.

— I rappresentanti di tutti gli Stati esteri residenti in Homo, mandano un indirizzo collettivo al generale Oudinot, protestando in nome della civiltà e dell'umanità contro l'atroce bombardamento che avea costata la vita a molti innocenti, vecchi, donne e bambini, e avea distrutto e ruinato parecchi monumenti di Roma rispettati fino dai barbari. Il generale Oudinot risponde brutalmente, parte negando il fatto, parte adducendo le proprie istruzioni, che gli ordinano di usare ogni argomento di guerra per vincere la resistenza di Roma.

25 giugno

Colomba Antonietti di Fuligno, segui per due anni il marito, tenente nella linea romana, dividendo con lui le fatiche e i pericoli, le lunghe marcie, e il fuoco nemico.

Giovanetta d'anni 2l di cuore generoso e di sentimenti romani pugnò come uomo anzi come eroe nella battaglia di Velletri, degna del marito, degna del suo cugino il colonnello Luigi Masi.

Trovavasi presso le mura di S. Pancrazio, minacciate più fieramente dal cannone francese. Quivi mentre prestavasi co' più coraggiosi alle opere di difesa, una palla di cannone la colse nel fianco. Giunse le mani, volse gli occhi al ciclo e mori gridando: Viva l'Italia! novella Gildippe della Romana Epopea

26 giugno

Ogni giorno un attacco: ogni giorno un nuovo prodigio ili valore per parte delle milizie romane. Il francese assalisce per lo più nelle tenebre, per istancare il popolo e sottometterlo col terrore. La notte dal 26 al 27, vi fu assalto su tutta la linea; e su tutta la linea i Romani cacciarono l'assalitore.

27-28 giugno

Nuovi assalti al Vascello: nuove prodezze degli animosi che lo difendono.

I Francesi alternano il cannoneggiare, colle bombe e colle granate che piovono sempre più fitte e più ruinose sui monumenti romani.

29 giugno

— Roma, assalita da tutte le parti, è prossima a subire l'estremo passo. Le scolte, nell'ampiezza del circondario, non potendo essere regolarmente mutate, mal resistono alla stanchezza e al disagio. I Francesi sono padroni delle posizioni più formidabili. Transtevere è sul punto di essere invaso, e già si parla di abbandonarlo, per difendere la linea del Vaticano. Le legioni romane, le colonne ausiliarie di Manara, di Medici, di Garibaldi sono già vedovate de' più prodi ufficiali, o morti, o feriti. Resta la guerra del popolo, e le barricate. È certa la sconfitta: che può una sola città contro tutta l'Europa congiurata a' suoi danni? Ma Roma vuol cadere da forte, senza transazioni, e senza viltà.

Almanacco di Giano 1848-1849

STRUTTURA DELLA VILLA CORSINI

Ho detto che la Corsini era una casa a quattro piani e ho parlato del balcone in cima alla scalinata esterna come se fosse al secondo piano dal pianterreno, perché così era infatti dalla parte che guardava verso Roma.

L' Hoffstetter e altri scrittori la dicono una casa a tre piani con il balcone al primo, e tale era il suo aspetto ad occidente. Ma quanto alla sua facciata orientale rivolta verso Roma, il Werner la rappresenta con due piani tanto sotto che sopra il balcone (v. più sopra illustrazione a pag. 209). Questo punto è corroborato anche dallo schizzo del Decuppis (per cui vedi alla fine della Bibliografia, pag. 423, più sotto) e nell'illustrazione del Miraglia, 258. In questi disegni del Werner, del Decuppis e del Miraglia, presi subito dopo l'assedio, la scalinata e la facciata sono rappresentate come spazzate via dai cannoni italiani, scoprendo la disposizione interna della casa i cui quattro piani sono così resi visibili. A giudicare dal disegno del Kandler, il lato occidentale della Villa aveva soltanto tre piani (vale a dire uno solo sotto il balcone).

Quanto alla mia osservazione che dalla facciata verso Roma gli assalitori non potevano entrare nella parte superiore della Villa se non arrampicandosi sulla scalinata esterna, essa è derivata da tutti i ragguagli dettagliati degli attacchi del 3 giugno, e specialmente dall' Hoffstetter, 121, linee 21-24. L' illustrazione a pag. 195 più sopra (Illustrated London News), mostra, a dir vero, un portone a pianterreno fra le due branche della scala, ma pare che questo non comunicasse con i piani superiori, non conducendo che a guisa di androne traversemte la parte inferiore della casa, nel giardino Pamflli.

E tale è anche l'impressione che si riceve dalla riproduzione del lato occidentale (Pamfìli) della Corsini, nel panorama all'acqua forte del Kandler.

GEORGE MACAULAY TREVELYAN

GARIBALDI E LA DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA

TRADUZIONE DI EMMA BICE DOBELLI

BOLOGNA - NICOLA ZANICHELLI - MCMIX

Giugno 1849

Il 14 15 e 16 continuò la pioggia delle bombe e fu notato con incredibile barbarie che i Romani tiravano fino sull'ospedale dei francesi protetto da una bandiera per segnale. Dei francesi ogni pezzo ha quasi tirato trenta colpi al giorno e per non riscaldare i pezzi ogni otto minuti fu tirato un colpo. Molte racchette caddero in Trastevere come anche palle di diverso calibro. Altri projettili caddero al palazzo Spada piazza Farnese ed una racchetta cadde ad una finestra murata dentro l'atrio del palazzo della Cancelleria ed altra a Tor dei specchi. Una palla prese la facciata di S. Pantaleo e tre o quattro racchette e palle presero il palazzo Braschi ma con poco danno degli edifizi con nessuno degl'individui. Una palla poi di grosso calibro cadde sulla Chiesa di S. Andrea della Valle: il Farmacista Peretti la prese, e vi fece scrivere "Pio Nono ai suoi amatissimi figli."

Diario della rivoluzione di Roma

Il Vascello

Si stringe la cintura di ferro, e di fuoco intorno a Roma, il nemico indefesso durante la notte scava pozzi per le mine, edifica, e munisce piazze di armi, drizzata una trincea compie la quarta parallela, poi imprende un cammino il quale passando rasente alla casa Giacometti avrebbe messo capo sopra la via, che mena a San Pancrazio; dalla parte nostra si agitavano come naufrago in mezzo all'Oceano, che non vuole e deve morire, tuttavia impediscono la costruzione delle Batterie dodicesima, e decimaterza; e alla mattina del 26 scassinano anco la undicesima, sicché i Francesi non poterono avvantaggiarsi che con le Batterie seconda, e decima, la quale più di ogni altra prese a fulminare il Vascello, nè senza ragione, che quinci si menava incredibile strage dei Francesi; il nostro Medici il quale non pure si difendeva, ma andava escogitando senza requie un qualche trovato per fare uno sdrucio dei solenni nello esercito avversario esplorò le catacombe, e l'acquedotto Paolo donde avvisava spingersi fin sotto la villa Corsini, e colà con mine, e fuochi artificiati sobbissare il ridotto in uno alla Batteria decima; ora o di tanto si accorgessero, o come credo piuttosto, i Francesi avvertiti diedero la via alle acque, che irrompendo ruinarono ogni apparecchio soffocando tre lavoranti, e se più ce n'era più ce ne rimanevano. Da capo la rabbia francese si volta contro al Vascello; stupendo ad un punto e orribile a vedersi lo stato in cui si trovava ridotto; del piano superiore non avanza traccia, dello inferiore il muro di fronte ruinato lasciava vedere negli spazi più interni le colonne, le statue, le stanze elegantissime; insomma presentava la figura, che gli Architetti chiamano spaccato.—Molti possono per impeto superare il Medici, veruno, io penso, per costanza, e tranquilla severità: di che mi piace riportare uno esempio: in cotesto giorno non ci fu riposo: notte e dì i soldati ebbero a vegliare ed a combattere; ora parendo a parecchi cotesto comando duro, uno di loro più rotto ardiva presentarsi al Medici mentre ei beveva una tazza di caffè e dirgli ch'egli non intendeva recisamente montare la guardia. «Ed io, rispose il Medici senza guardarlo in faccia ed accostandosi la tazza alle labbra—ti farò fucilare.» Batti, e ribatti ecco con altissimo scroscio casca il Vascello, schizzano violentemente legni tronchi, marmi rotti, e una nuvola di polvere chiude intorno la ruina; il peso immane rompe le volte del terreno, ed ormai del superbo palazzo non avanza altro che un monte di macerie; fino dallo interno di Roma fu udito il fracasso; venti dei nostri sepolti sotto le ruine persero la vita; e non pertanto il Medici non si decise mica ad abbandonare cotesto mucchio di sassi: noi lo vedremo su quelli maravigliare con nuovi gesti di valore il nemico, che i muri poteva vincere, i petti no.

Lo assedio di Roma

Il Vascello

Già altrove dicemmo il Vascello essere un forte edificio a tre piani con giardino recinto di mura. Questo edificio con poche altre case colà intorno formavano un posto esterno e come direbbesi modernamente avanzato: lo guardavano la Legione Medici e centocinquanta soldati del 3° reggimento di fanteria: soccorsi la notte da qualche mano d'uomini ora del reggimento Unione, ora degli Studenti, ora de' Finanzieri ed ora della Legione Arcioni. Comandava quel presidio Giacomo Medici lombardo egregio e valoroso uomo quanto altri mai. Aveva egli fatta aprire una trincea la quale dal Vascello metteva assai innanzi fino alla casa Giacometti discosta non oltre cinquanta metri dal ridotto di Villa Corsini. I Romani benché circondati dalle trincee francesi mantennero quella casa e in tanta vicinità inquietavano coi loro fuochi e vessavano continuamente il nemico, il quale in questa notte del 20 al 21 profittando d'una densa nebbia procacciò di scacciameli. Bue colonne di granatieri a traverso le vigne dovevano piombare inosservate per due lati diversi sulla casa. La custodivano trentacinque uomini del reggimento Unione. I Francesi benché usassero ogni diligenza per sorprendere i nostri, pur non poterono tra quelle vigne tanto cautamente avanzare che non li udisse la nostra sentinella che vigilava dall'alto. Questa senza dare l'allarme discese ad avvertirne l'officiale il quale ordinò ai suoi non sparassero che quando il nemico fosse giunte innanzi alla casa; dopo il primo colpo lo mettessero alla baionetta.il primo a comparire fu un capitano con quattro zappatori che conducea seco, ma tra gli inciampi delle vigne ritardate le colonne, egli a voce alta chiamò i suoi e coi primi venuti si spinse dentro. Fatta una scarica dalle finestre, i Romani corsero contro il nemico alla baionetta, ed i Francesi dopo poca resistenza fuggirono e si rintanarono nelle trincee lasciando un capitano morto accanto a due granatieri ed un zappatore ed alcuni feriti. Un sergente moribondo disse essere state due compagnie del 3° quelle che vennero all'assalto.

Il Medici volle e seppe mantenere questa posizione esterna, ma vedendosi continuamente molestato dal nemico, pensò a rendergli assai funesta l'occupazione del Vascello se mai pervenisse a scacciamelo. Sotto i pilastri degli angoli aveva disposto le mine, e tonelli di polvere qua e là nelle mura da mandare in aria l'edificio.

Memorie storiche sull'intervento francese in Roma nel 1849 - Federico Torre - Torino 1851

Il Vascello

Occupate con notturna sorpresa le breccie, stretti da tutte le parti nella città, ai Romani non rimaneva al di fuori di essa che il Vascello,fortissimo edifizio legato con una catena di posti armati alla porta San Pancrazio. I Francesi, entrati nelle breccie, pensarono a volgere contro quell'ultimo baluardo esterno della libertà romana i loro sforzi, e ordinarono l'assalto di quell'edifizio. L'intrepido Medici colla sua invitta legione lo guardavano, e sostennero il cozzo nemico come antichi veterani. Quei giovani, la maggior parte di distinte famiglie, volarono come ad una festa incontro ai Francesi, avendo già sostenuto da molti giorni tutte le privazioni di cibo e di riposo a cui quella loro situazione li condannava. Avvezzi agli agi della vita, essi quegli agi tutti aveano dimenticati; raccolti in nn pensiero supremo, animati da un affetto unico, quello di dare la vita per la loro terra. I Francesi montarono tre volte all'assalto alla baionetta di quel luogo sì valorosamente difeso, e tre volte il terribile Medici li ebbe dinanzi a sé sgominati. Quella legione ch'ei guidava, impaziente di misurarsi cogli aggressori, rifiutava i vantaggi che quel forte sito le dava per uscirne e combattere corpo a corpo contro i soldati di Francia. Quegli scontri erano sanguinosi; molti Italiani, molti più Francesi ogni volta vi morivano; ma finiti essi, erano sempre col ritirarsi di questi, colla vittoria di quelli. In uno di quegli scontri fu ferito il prode capitano Gorini, giovane egregio, che alla maggior dolcezza dei sentimenti accoppiava un valore che lo faceva da' suoi compagni adorare. Il pittore Induno ricevè in uno di quei cozzi venticinque colpi di baionetta, e non ne morì, e seguitò a lottare finché forza ebbe d'impugnare la spada. L'invitto Medici, dinanzi sempre a' suoi, guidava quelle sanguinose pugne, dalle quali i Francesi, dopo tre esperienze fallite, finirono per distogliersi, riputando impossibile il venire in quel modo a capo del loro divisamente.

Ma la forza del numero era per loro; per loro ancora tutti quei sussidii che l'arte dell'uccidere uomim ha saputo inventare. Continuando a quella maniera di

lotta nella quale erano stati tenuti sempre in rispetto da un pugno di bravi, essi ricorsero alla prepotenza della forza, contro della quale nessun valore potea più bastare. Sei cannoni furono da essi appuntati a duecento passi da quel terribile edifìzio, e, fatte le intimazioni perché i difensori si arrendessero, avendo il Medici risposto come la vecchia guardia a Waterloo, un fuoco micidiale incominciò contro quella casa, solcata e traforata dopo breve ora da migliaia di palle di cannone. Le mura ad ogni colpo oscillavano, la terra tremava sotto i piedi dei difensori del Vascello fra quelle terribili esplosioni; ma il loro eroismo durava, e coi moschetti essi continuavano a tener lontani quei più arditi fra i nemici, che si spingevano innanzi gridando agli assaliti di cedere. Essi erano sparsi per le stanze di quel crivellato edifìzio, si erano abbarrati dentro le porte, e dalle finestre continuavano a rispondere coi fucili alle esplosioni delle cannonate. I Francesi, ammirati di tanto valore, non sapevano rendersi capaci di quella resistenza, e un'ultima prova vollero fare prima di convertire in un cumulo di macerie quella dimora già tanto battuta, e che accennava ad ogni istante di crollare. Essi fecero avanzare due compagnie di bersaglieri per intimare la resa un'ultima volta; ma non un solo vi fu fra i difensori del Vascello che il pensiero esprimesse di alzare bandiera bianca. Ai Francesi avanzantisi fu data ultima risposta con una scarica di fucili che tolse in essi tutte le esitanze, e che più non li fé' pensare che a seppellir sotto le ruine di quella casa gli uomini che con tanta magnanimità vi si sostenevano. I colpi di cannone, sospesi per un momento, ricominciarono; ad ogni scarica allora una parte dell'edifizio cadeva; all'ultima che i Francesi avventarono, tutto l'edifizio si sfasciò, e, orribile a dirsi, un gran numero degli eroici compagni di Medici s'inabissò sotto le fumanti ruine prima sepolti che estinti. Medici e gli altri rimasti illesi serbarono in sì spaventosi momenti tutta la loro imperturbabilità; essi si fecero argine delle ruine e elei cadaveri dei compagni, e continuarono di là a flagellare il nemico che ancora esitava ad innoltrarsi, La notte pose fine a quella fazione, una delle più gloriose che la storia ricordi, e Medici e gli avanzi della sua legione dormirono anche per una notte su quel suolo che avevano con valore sì inaudito difeso contro un'intera armata.

La difesa del Vascello assicurò al nome di Medici una gloria che nulla potrà far impallidire; e quando il giorno dopo egli entrò in Roma, richiamato da quel cumulo di macerie in cui era divenuto impossibile di rimanere, il popolo lo acclamò con quell'entusiasmo che le opere degli eroi sanno nelle moltitudini eccitare.

La repubblica romana del 1849 - Rusconi

Indice Storia della Repubblica Romana

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