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28 - La Repubblica Romana del 1849

30 giugno parte 3

La zona di Villa Pamfili in un plastico in legno costruito dall'armata francese nel 1849-1852 e tuttora conservato al Musée des plantes et reliefs - Hotel National des Inavides - Parigi
La zona di Villa Pamfili in un plastico in legno costruito dall'armata francese nel 1849-1852 e tuttora conservato al Musée des plantes et reliefs - Hotel National des Inavides - Parigi

Terribilissimo fu il di 28. Le bombe non risparmiarono neppur i luoghi più santi. Gli ospedali neppur furono risparmiati. Nell'ambulanza dei Pellegrini , in una sala di feriti , narra Bertani, vidi . squarciato da enorme palla di cannone sprofondare il pavimento, traendo seco la soffitta; o in mezzo al fragore., alla ruina, al polverio, vidi ben quaranta feriti ad un tratto agitarsi cairponi, seminudi , immemori delle recise membra, strappandosi per ceca o forsennato istinto come impacci le bendo: dirompendo le fratture poco dianzi composte, e dalle riaperte ferite sprizzando con impeto il sangue, in pochi istanti poi lento ed esausto; e succedere in breve il rantolo dei morenti e il tremendo silenzio della morte; e in mezzo a quella orrida scena di nuovi dolori e d'improvvisi cadaveri, io, per la subitanea disperata impotenza di soccorrer tutti d'un tratto, rimasi muto, confuso, inerte, in faccia allo spietato destino che mi rapiva gli amici già salvi, e annientava ogni frutto delle mie cure e dell'affetto. E così composta é questa umanità, che, mentre io curvo e paziente mi affanno a rassettar le schegge d'un osso infranto

O a chiudere lo sbocco al sangue d'un membro reciso, a rattenere una vita che in un istante fugge, il mondo ammira e acclama più glorioso chi più rapidamente configge il ferro nelle altrui membra o sconquassa più compitamente d'un colpo di fu co uno stuolo di combattenti; e ancor più glorioso e avventurato chi per furente ambizione, o per indomabile superbia, o per vile interesse, decreta da lungi queste scene atroci. »

II Triumvirato; come l'assemblea, ben meritò dalla patria; provvedendo ai bisogni del popolo, assegnando ai tapini, le cui case erano fatte un mucchio di macerie,

I ricchi palagi che avevano un di ricettato l'ozio e l'egoismo, dividendo lo privazioni degli infimi cittadini, mostrò come in una Repubblica i supremi

uffici si colleghino soltanto a sacrifici supremi. L'inflessibilità poi colla quale, dopo le vane trattative del Lesseps, Mazzini aderì al suo programma, mostrò di qual fermezza incrollabile fosse dotato l'uomo che una stolta reazione ha designato come debole e oscillante davanti al pericolo.

I Municipi avevano fatto atto di adesione alla Repubblica; se ne escludi il piccolo moto insurrezionale dell'Ascolano del quale parlammo, che mostrò qualche velleità di rinnovarsi dopo l'entrata degli Austriaci, ma che fu dall'animoso Orsini, passato in Ascoli dopo la sua missione di Ancona, tenuto in rispetto finché gli eserciti nemici non ebbero occupato tutto il suolo della patria, non una bandiera si era innalzata in cinque mesi che durò la Repubblica in favore del Papa. Bologna, 'Ancona resistettero agli assedi tedeschi più assai che quelle città non si credessero in istato di poterlo fare ; l'Umbria, la Campagna romana, il Lazio, percorsi da Spagnuoli e Napoletani, tennero fermi nell'antica devozione al principio repubblicano; e né blandizie d'emissari pontifici, né tirannide di conquistatori valsero a farle vacillare. Tutto il paese fu unanime, fu compatto in protestare contro il giogo che quattro eserciti volevano imporgli.

Una festa cittadina volle aver pur Roma repubblicana. Alla vigilia dell'ultima battaglia, il 29, la cupola di San Pietro venne illuminata, e il popolo trasse alla piazza del Vaticano , per contemplare quello spettacolo tradizionale tanto da lui amato. Taceva

per un istante il fragore delle battaglie, e avresti detto che si fosse diffusa nella città quella calma che precede l'uragano. Una quiete morta pesava; gli animi, avvezzi da tanto tempo a non avere un istante di riposo, si abbandonavano, come trasognati, a quell'ora di pace che tanto contrastava colle agitazioni anteriori. Compreso da un sentimento arcano della vicina ruina , il popolo guardava quell'illuminazione come se celebrato si tosse con essa una festa funebre, e quello fosse stato l'altare davanti al quale si compievano le esequie di un' intera popolazione. La terra taceva, un sordo rombo si udiva soltanto per l'aere; fra il ciclo e la terra brillavano quei lumi, segno di letizia un tempo, segno allora di morte, intorno a cui i vapori della notte si venivano condensando, stendendo un velo su di essi che li rendeva fiochi e oscillanti come fuochi fatui. Il popolo che assisteva a quel cambiamento ne traeva tristi presagi e errava silenzioso intorno al vasto tempio.

Quella melanconica festa fu breve; quella calma era gravida di tempesta, e la tempesta scoppiò. Un fragore impetuoso di cannonate ruppe in un subito il silenzio dell'aere, una pioggia che cadeva a torrenti venne ad aggiungere il furore del ciclo a quello degli uomini. Il grido che i Francesi davano l'assalto echeggiò per tutta Roma, e le strade furono piene di gente che correva ad occupare i posti pericolosi, a difendere quegli ultimi baluardi che ancora restavano. La "generale" batteva in ogni via; il grido "alle mura! alle mura!" risuonava da tutte le parti: al cupo silenzio di poche oro prima succedeva un fragore immenso di bombe esplodenti, di artiglierie tuonami, di grida di entusiasmo e di furore; era giunta l'ora della suprema battaglia, e Roma l'accettava col coraggio che aveva in tutto quel memorabile assedio addimostrato.

I Francesi avevano aperte parecchie brecce nel recinto Aureliano, e favoriti dalle tenebre, approfittando della pioggia, si erano avventati ad occuparle, spingendosi fino a pochi passi dalla villa Spada, difesa dal Manara; la battaglia si impegnò su tutta la linea; le scariche dei fucili si alternarono con quelle delle artiglierie. I Francesi furono respinti dalle brecce con prodigi inauditi di valore; due volte venuti all'assalto furono due volte ripulsati. Garibaldi colla spada sguainata conduceva quelle cariche, intuonando un inno di guerra; le sue milizie gli andavano dietro alzando gridi di entusiasmo. Per due ore si combatté sulle brecce del recinto Aureliano. senza che i Francesi potessero ottenerne mai uno stabile possesso; la terra si coperse da entrambi i Iati di cadaveri seri/.a che avesse fine quella lotta micidiale.

Ma i Francesi occupavano già tutti i bastioni, e il fuoco delle loro artiglierie diveniva ad ogni momento più terribile. Molti cannoni dei Romani invece erano stati smontati, molti altri di cui diveniva impossibile la difesa erano stati inchiodali dagli artiglieri stessi, morti quasi tutti in quella notte sui loro pezzi. Le file dei Francesi si ingrossavano ad ogni momento, e al lampo dello scariche dei fucili e dolio artiglierie si vedevano sopraggiungere correndo in grosse colonne. I Romani, respinti un momento, si concentravano a villa Savorelli, e di là era suonato l'assalto un'ultima volta contro il nemico irrompente. Colla fiducia dei primi giorni tutti si slanciarono di di uovo all'assalto, e quello sforzo fu sì disperato che i Francesi dovettero di nuovo arretrarsi su tutti i punti fino al di là della seconda linea che avevano occupala. Si combatteva in terra; in cielo pure pareva inferocire la guerra; la pioggia incessante intirizziva il sangue nelle vene dei combattenti, le tenebre erano squarciale ad ogni istante da lampi conseguiti da scoppi orribili di tuono; la parabola luminosa delle bombe accresceva il terrore di quell'ira che il ciclo addimostrava; l'aria era tutta piena di fuochi minacciosi, nella terra non s'udivano che i gemiti dei morenti.

Villa Spada era pur stata circondata; Manara vi sì era rinchiuso dentro coi suoi, asserragliandone le porte e facendo un fuoco terribile dalle finestre. Le palle di cannone abbattevano i muri di quella casa, come abbattuto avevano il Vascello, senza che Manara, non minore all'eroico Medici, pensasse a rallentarne la difesa. I morti, sotto a quelle crollanti macerie o colpiti dalle palle francesi mentre si affacciavano alle finestre, erano già molti; ogni stanza era piena di sangue e di cadaveri. Manara animava colle parole e coll'esempio i suoi compagni, additava

i luoghi dove quella difesa diveniva più necessaria, si esponeva nei luoghi più pericolosi, e la sua fermezza valse a render fervida la difesa , a tener in freno gli aggressori finché arrivasse qualche soccorso. E Garibaldi giungeva provvidamente con varie colonne dei suoi. Stringendo fra i denti il coltello (nuova arma da quei fieri uomini imaginata), caricando alla baionetta, i nostri giunsero petto a petto dei Francesi, e impugnato il coltello cominciarono una maniera di guerra che fece tremare gli aggressori. Questi si arretrarono sbigottiti davanti a tanto coraggio, e il presidio della villa poté uscire 'a salvamento. In questa lotta fu ferito Manara, mentre stava da una finestra guardando col cannocchiale ove appuntassero alcuni Francesi un cannone. Rientrati nel campo, tutelato dalle artiglierie, si tornò allora alla prima maniera di combattere, dove i Francesi .avevano tutto il vantaggio del numero, delle armi e di quegli altri argomenti delle milizie che ai Romani mancavano. Le artiglierie francesi erano ormai sole a tirare; perché le romane più non esistevano, o erano state trascinate in luoghi ove di poco nocumento riuscivano ai nemici. Nullameno, sebbene ad armi tanto sproporzionate si lottasse, i Romani seguitavano a difendere le investite brecce, sebbene ad ogni nuova scarica delle artiglierie francesi, intere compagnie ne cadessero di que' prodi.

Il giorno spuntava su quella scena di desolazione e di furore, e rischiarava i due campi pieni di morti e di moribondi. Un sentimento di orrore invase Lutti i petti, allo scorgere a quella luce quante perdite si fossero già fatte; ma non fu abbi tirato per questo il pensiero ili difendere Roma fino che un uomo restasse. Era già da 8 ore che si combatteva, e la stanchezza cominciava a farsi terribilmente sentire in special modo fra i Romani, che non avevano mezzo di rinnovare le loro milizie, che tutte in quel giorno memorabile vollero combattere. Per quanto gira la linea del recinto Aureliano, da per tutto con eguale valore si pugnava; Roselli, Garibaldi, i prodi colonnelli Galletti, Pasi, Masi, Ghilardi, Manara e Medici, quei due fulmini di guerra, il generale Galletti, il colonnello Fabrizi, tutti gli altri ufficiali superiori combatterono in persona in quel giorno riempiendo le parti di semplici soldati.

La battaglia durava; battaglia di cannoni e di moschetti da un lato, di moschetti e di daghe dall'altro. Le seconde brecce non furono occupate dai Francesi che dopo 12 ore di terribile zuffa, e quando già una gran parte dei loro era caduta in olocausto di quella sanguinosa vittoria. La punta del recinto Aureliano, presa e ripresa, rimase alfine in possesso dei Francesi. Gli ordini allora si ruppero in tutta la linea degli Italiani, e invece di una battaglia non furono [più che cento battaglie combattute con diverse sorti, qua e là in gruppi staccati, micidiali tutte, perché il furore della guerra era salilo a quel punto in cui non v' é che da vincere o da soccombere. Oppressi dalla fatica e dalla mancanza del cibo da tante ore, inzuppati dall'uragano che aveva imperversato la notte, trafitti nell'anima per la perdita di tali compagni, di tanti fratelli, di tanti amici, i militi generosi che lottavano pur Roma pur vollero sostenere fin all'ultimo istante l'onore della eterna città.

I Romani, esauriti tutti gli sforzi per ripigliare quella posizione, dovettero ripiegarsi, ricorrendo col pensiero a quella guerra delle barricate , che era diventata ormai sola possibile per Roma. Essi corsero ad occupare i primi sbocchi delle vie per le quali i Francesi sarebbero dovuti passare; ma questi, che avevano veduto quali nemici avessero a fronte, non pensarono ad approfittare del vantaggio ottenuto, e solo attesero ad assicurarlo trincerandosi fortemente nelle posi/ioni conquistate.

In conseguenza della ferita morì, fra «li altri, in quel dì glorioso Manara, il giovine lombardo, l'eroe delle cinque giornate di Milano, che soldato in tutta la guerra dell'indipendenza, agli alletti di marito e di padre aveva anteposti quelli dell'Italia e della libertà; morì Emilio Morosini di Milano, fanciullo di 18anni, splendore de! corpo dei Bersaglieri di cui faceva parte, né mai sangue più puro ili quello fu versato per l'indipendenza di nessuna terra. Egli rese edificati i nemici stessi, nelle cui mani era caduto ferito, della fermezza e grandezza d'animo che l'eroe manifestò nel suo letto di morte. Un Veneto, corno narrammo, cadde primo per difesa di Roma; un Lombardo cadeva l'ultimo. Non per Roma cadevano quei Martiri, ma per l'Italia.

Le perdite fatte dai due campi furono immense; i Francesi dovettero deplorare come i Romani la morte di molti dei loro migliori ufficiali.

La battaglia del 30 giugno aveva determinate le sorti di Roma; i bastioni erano stati conquistati , tutte le alture erario venute in mano dei Francesi; essi potevano incenerire la città senza essere molestati nei loro trinceramenti. Dopo trenta giorni di assedio, gli assalitori ottenevano quel vantaggio che accompagna sempre quelle milizie, che imprendono ad espugnare una città, dove ogni più gran prodezza è costretta a soccombere davanti alle opere che l'arte della guerra ha saputo immaginare.

L'assemblea in quella mattina del giorno 30 stava radunata, e andava ascoltando la lettura dei bullettini che di tratto in tratto le venivano dal campo. IL) cupo silenzio regnava per la gran sala, interrotto solo talvolta da qualche grido di entusiasmo che il valore dei combattenti ili Roma strappava ai Deputati. Alla novella, che infine giunse, che i Francesi si erano impossessati della cinta del muro Aureliano, un profondo dolore si dipinse sul viso dei Rappresentanti, e nessuno ebbe, forza per un momento di rompere il terribile silenzio che da un'ora durava. Macini. che poco prima aveva radunato a consulta

tutti i capi dei corpi militari, giunse allora all'assemblea, e sali con calma alla tribuna. Egli cercò d'infondere speranze negli animi abbattuti; ma le sue parole venivano accolte dall'assemblea con nuovo silenzio. Chiamato Garibaldi, affinché esponesse la vera situazione di Roma , egli giunse colla tonaca, che sempre portava, intrisa di sangue, col viso acceso dal combattimento, in cui per dodici ore aveva preso parie, coperto di sudore e di polvere, oggetto di terrore poi nemici, di-entusiasmo pel popolo che lo riguardava in quei giorni come il suo genio tutelare. Chiamato a spiegarsi sulle condizioni in cui versava allora la patria, egli disse che la resistenza non poteva più continuarsi come innanzi, e che solo la città si sarebbe potuta difendere trasportando il popolo di Trastevere nel recinto di essa , facendo saltare tutti i ponti che erano sul fiume. Se a tal risoluzione si diveniva , egli soggiunsi- , bisognava dichiararlo tosto, per abbandonare subito quella parie di Roma die oltre il Tevere si estende, e invitare immediatamente il popolo che l'abitava a disertare le sue case e a ritrovarsi nell'altra parte della città. Per quanto estrema, per quanto terribile fosse la risoluzione che il generale sottoponeva all'assemblea, sebbene una metà di [{orna dovesse ridursi per essa in un mucchio di macerie, giacché il cannone avrebbe atterrati allora tutti gli edifizi che stavano al di là del fiume, pure la fermezza ed il coraggio dei Rappresentanti erano così inconcussi ch'essa fu presa in considerazione e venne con calore ventilata.

Ma il sacrifizio parve superiore allo scopo, e l'assemblea non vi aderì. Restava la resistenza delle barricate di via in via, o la partenza da Roma proposta da Mazzini. Garibaldi osservò che il primo dì quei due partiti si sarebbe inutilmente abbracciato, giacché i Francesi, in possesso delle alture, non si sarebbero avventurati per le vie di Roma a inutili conflitti, e seguitando il bombardamento avrebbero dopo poco costretto la città a capitolare. Osservò ancora che non bisognava esigere dagli uomini una virtù superiore alle loro forze; che Roma aveva fatto tutto quello che una eroica città può fare; ma che un inutile strazio, un crudele esperimento sarebbe stato quello di continuare ad assoggettarla alla pioggia di quei proiettili che avrebbero forse finito per ingenerare qualche grave tumulto in quella città tanto allora tranquilla e concorde. Egli opinò con Mazzini che il meglio fosse uscire da Roma, e su quest'ultimo partito si attennero le camere.

Dichiarata dall'assemblea vana ogni ulteriore resistenza , i Triumviri si dimettevano dal loro uffizio; e quella in loro vece eleggeva Mariani, Calandrelli e Saliceti; eppoi decretava pubbliche esequie ai forti caduti. E la dimane votava ad una voce la costituzione della Repubblica, la quale veniva letta dall'alto del Campidoglio innanzi ad un immenso popolo, a quel popolo che giurava che mai avrebbe con rassegnazione sopportato il giogo dei preti. E venne il giuro. A malgrado che Roma sia fatta dal Vaticano quartiere dei più stolti reazionari, a malgrado dei

numerosi, anziché soldati, assassini che quella Corte mantiene a danno d'ogni nobile aspirazione, a malgrado che il Bonaparte vi tenga tuttodì fortissimo nerbo de' suoi soldati, i Romani mai non chinarono il capo al mal governo; e col sangue e col sacrificio vanno ritemprando l'animo pel giorno in cui dovranno sorgere nuovamente, facendo giustizia del tanto soffrire. E quel giorno glorioso non é lontano; no, non può essere lontano. La lotta fra il dispotismo e la libertà in tutta Europa é scoppiata; col primo stanno eserciti poderosi, ma coll'altra stanno i popoli. La vittoria non può essere dubbia, non generale, non pronta. Caduto il colosso dai piedi d'argilla, ch'é il dispotismo, vedremo anco dileguarsi come polvere al vento la maledizione del papato in trono. Ne gioiranno le anime timorate di Dio non più funestate dallo scandalo d'una corte religiosa a parole, sempre malvagia in politica, eterna cagione della schiavitù d' Italia. — Si, Roma é destinata a risorgere. Dall'alto del Campidoglio le aquile nostre voleranno ancora una volta e diffonderanno nelle plaghe più remote il suo nome glorioso. Roma diverrà più grande di prima. Non più i popoli dell'altra Italia si chineranno malvolenti ed oppressi al suo giogo; non più le nefandezze pagane macchieranno il lustro della sua gloria; ma sorella delle altre città italiane, ma rinverginato il vero culto di Cristo, essa sarà il centro augustissimo nel quale riposeranno le nostre più-care speranze. E quest' opera santa sarà affrettata da quello stesso Pio IX, che alla tirannide del suo predecessore aggiunge anco la colpa di mentite promesse e di spergiurati amori nazionali. Pio IX che, dopo le tante stragi di Roma, dopo che le coscienze di tutti i buoni lo vorrebbero ritornato alla mitissima religione di Cristo, persiste sul trono], reo di stragi, di perfidie, di guerre e di reazioni contro la libertà, contro l'unità d' Italia , disonora il carattere che lo riveste, fa danni irreparabili alla cattolica fede, e rende ai popoli sì intollerando il suo servaggio che questi non ponno tardare a farsi uomini.

I Triumviri con un commovente discorso, volto agli Italiani delle province romane, si accommiatavano. I Rappresentanti del popolo, alla loro volta, cedevano protestando. Fu il Municipio, al quale era stato lasciato il tristo uffizio di venire a patti coll'aggressore, che inviò messi al generale del Bonaparte. Questi accolse i mandati cortesemente bensì, lodando puranche i Romani del loro valore ; ma rigettò, quantunque modestissime, le condizioni che richiedevano; e osava proporre patti che non guarentivano punto le vite e le sostanze dei cittadini. E que' messi non accettavano gl'indegni patti e si ritraevano dicendo: « Noi non vogliamo sottoscrivere la vergogna d' un popolo generoso. »

Roma e i suoi martiri

30 Giugno 1849

Durante la notte del ventotto al ventinove i Francesi tentarono sorprendere il Vascello o piuttosto le rovine di cotesto edifizio; ma dal Vascello si partì tale violento rimbecco, che dimostrò agli assalitori essere consiglio buono starsi lontano dal morente lione; venti di costoro caddero tra morti e feriti.

Prosegue la dolentissima storia, i Francesi su l'alba del 29 tempestano il Bastione nono; nell'ottavo, mercé la Batteria decimaquarta, lacerando ogni riparo, aprono la Breccia; le nostre artiglierie rispondono languide; palpiti di cuore, che accenna cessare; solo la Batteria dell'Aventino avventa fuoco come chi disperato della vittoria non vuole morire senza vendetta. Ora i Francesi si ammanniscono a salire la breccia, e bene si palesano previdenti ed arguti. Sei compagnie della divisione Rostolan comandate da un Lefebvre si dispongono a colonna di assalto principale; altre tre compagnie capitanate da Le Rouxeau stanno pronte alla riscossa: per esse gli ordini portavano, si avventassero; quanto più potessero s'inoltrassero; trecento zappatori, che tenevano dietro subito dessero mano a costruire ripari co' gabbioni, e con altri argomenti avvertendo però di lasciare lateralmente adito al ripiegarsi della colonna caso mai ella avesse incontrato qualche duro intoppo. Eravi altresì una terza colonna di assalto la quale guidava il Laforet, di cui il compito consisteva dare dentro di fianco, ed alle spalle al Bastione ottavo. Preposto a tutti il tenente colonnello Espinasse che si teneva in procinto con altra riserva: accompagnarono tutte le altre colonne assalitrici proporzionato corredo di zappatori; finalmente perché nulla mancasse di quanto nelle imprese guerresche suole accertarne l'esito felice furono commessi due assalti simultanei alle porte S. Paolo e del Popolo. Queste le apparecchiate offese, queste altre le difese: la batteria della Montagnola armata con tre cannoni volti allo sbocco della Breccia; quivi davanti ove arieno per necessità messo il piede i nemici, facendosi oltre, sparsero i nostri canne secche, e vasi di materie infiammabili per ispaventarli, e scottarli; in luogo riparato collocarono due sentinelle perché vigilassero, cinquanta lancieri della legione italiana capitanati dal Muller stavano lì dintorno schierati per difenderla con le lancie, cui rinforzarono con una compagnia di fanti. Al Bastione ottavo mandarono alcune compagnie della seconda legione di fanteria, ed una di bersaglieri lombardi; alla manca della batteria attelati altri bersaglieri, ed altre compagnie della legione italiana; il colonnello Pasi col sesto reggimento alla riscossa. La Villa Spada difendevano i Bersaglieri lombardi, e giù per la strada schierato un battaglione di legione italiana. Lo spazio tra la batteria del Pino e Porta Portese occupava il colonnello Morrocchetti, che teneva la riserva nella piazza di San Pietro Montorio. A dritta della porta San Pancrazio il colonnello Ghilardi con alquanta gente sparsa stava per simulacro di difesa, piuttostochè per difesa; il Medici sempre fra le sue ruine del vascello.

Scese la notte minacciosa, e non pertanto il governo volle, che secondo il consueto la cupola della basilica Vaticana s'illuminasse, nè manca chi il biasima come atto d'ipocrisia, e non è vero, imperciocchè mettendo in disparte ciò che nell'intimo nostro ognuno di noi possa credere o no, non fa buona prova l'uomo di stato che vada contropelo alla fede degli uomini: solo, mostrando assentirci bisogna vie via rimondarla del troppo, del vano, e del maligno, che c'innestarono i preti e soprattutto poi importava ed importa chiarire i popoli, che la religione non istà nelle zimarre sacerdotali, nè negli arnesi del culto: molto meno poi la è privativa dei preti. Cristo vive impresso nei cuori dei Cristiani, e risponde a tutti senza mestiere di mediatori; con Cristo voi vincerete Roma, a patto che non cessiate mai di chiarire come i sacerdoti prima lo ammazzarono, poi se ne servirono per paretaio. Intanto l'uragano, che nelle prime ore del vespero si ammassava scoppiò empiendo il cielo, e la terra di fracasso, di terrore, di acqua e di fuoco: il nemico alla rabbia degli elementi mescola la sua, ed il bagliore dei lampi congiura in suo pro; imperciocchè la luce sfolgorante di quelli impedisse la vista dei guizzi delle bombe, e togliesse per questo modo la facoltà di schermirsene a tempo: i soldati fastiditi fino alla morte dalla pioggia incessante, con le gambe fitte fino al ginocchio nel fango, si struggevano nello scoraggiamento; ai percossi non isfuggiva nè manco un sospiro, ché durare in cotesto stato pareva loro peggio, che morte, e forse era.—Su pei ricordi dei tempi trovo segnato con nota d'infamia il Carroni preposto alla custodia del Bastione ottavo come quello che rinvennero alla seconda vigilia avvolto nel suo mantello e addormentato; certo non correva stagione di sonnecchiare, ma davvero la stanchezza, la temperie, l'umido uggioso, e le altre tribolazioni sofferte prostravano i corpi, e le anime altresì.

Un'ora prima dello assalto principale il generale Guesviller partendosi a capo della sua divisione dal ponte Molle si avvicina alla villa Borghese dove si precipita contro le mura per isquarciarle e quinci penetrare in città; se riesce meglio, se no richiama l'attenzione, e le armi dell'assediato da questa parte e le menoma altrove; di vero fu respinto, ma per tenere sempre i Romani in sussulto piglia dai monti Parioli a grandinare giù su Roma bombe, granate, che pareva un'inferno, dall'altura di San Paolo non si adoperava diverso: il trarre dei cannoni assordante rintronava il terreno, molte le morti di creature innocenti, e grave il danno negli edifizi più incliti. La belva ustolava la preda.

Alle due e mezzo dopo la mezzanotte fu dato il segno del vero assalto, né lo cominciò la prima colonna, sibbene la terza condotta dal Laforet la quale baldanzosa nel presagio della vittoria, riposata, ed ebbra a mezzo si precipita contro il Bastione ottavo. Oh! perché non mi è dato confermare anch'io, che i Romani fermi, e audaci con furiosissimi tiri li tempestarono? Valga il vero, comunque amaro, i nostri fuggirono, ed erano bersaglieri; allo improvviso in mezzo ai lampi si vede comparire il Garibaldi, che brandendo la spada nuda, e cantando un'inno di guerra si scaglia contro il nemico, dietro a lui si aggruppano alcuni animosi, i fuggenti presi da maraviglia stanno. I Francesi primi entrati stramazzano per non rilevarsi mai più, ma gli altri sorvegnenti prorompono impetuosi, e dispersi, o spenti quanti si paravano loro davanti arrivano alla barricata di gabbioni costruita fuori del cancello di Villa Spada; qui pure si ravviva la virtù dei nostri, che visto l'Hoffstetter circondato dai nemici, e prossimo a rimanere ucciso fanno impeto, ed abbattuti parecchi a colpi di baionetta lo liberano; poi piegano da capo ruinando a Villa Spada: affaticandocisi gli uffiziali li riconfortano della battisoffiola, anzi vergognando si attelano per la strada, dove la prima linea inginocchiandosi, e le altre rimanendo in piedi bersagliano i nemici con quattro filari di moschetti. Qui di nuovo si mostra il Garibaldi, il quale alla domanda dell'Hoffstetter se dovesse occupare la Villa Spada, risponde arcigno: «è già fatto: voi, e Manara qui la difenderete, io corro a radunare i fuggitivi sul colle Pino, e mi pianto dietro la strada fino alla Villa Savorelli.» La colonna Laforet ributtata si ripiega sopra la batteria fuori del cancello, quanti trova ammazza, e procede con lo intento, e con la speranza di schiantare l'altra Batteria della Montagnola; lo seguita fin là anco una sezione della sua colonna, ch'ei spinse per altra via ad offesa del Bastione ottavo, dove impedita per meno reo avviso tolse a ritirarsi con solleciti passi.

Prima assai che i casi narrati si compissero, la prima colonna di assalto si arrampica sul sommo della Breccia, quivi cade il Lefebvre ferito, gli subentra Le Rouxeau: succede una zuffa corpo, a corpo, ma i nostri rimangono smagliati: i fuochi artificiali non partorirono veruno effetto, che fosse buono; leggo che un certo Mano Aldo inventasse non so che bocce piene di materie incendiarie; ignoro se le mettessero in opera, in ogni caso tornarono inutili, come andò a vuoto nella medesima notte il tentativo di buttare giù nel Tevere una barca di fuoco, che scendendo per la corrente incendiasse il ponte di Santa Passera, e ciò per la stupenda vigilanza del nemico. Vinta la prima resistenza i Francesi si affoltano contro la Batteria della Montagnola già assalita dai soldati del Laforet; tengono dietro a loro gli zappatori, che posta appena mano alla zappa balenano vedendo stramazzare giù trafitto da banda a banda il comandante del genio Dufort; ma è breve sosta, che subito surroga il caduto l'Aidaut. Intanto alla Montagnola si viene a battaglia manesca, e fu uno accapigliarsi promiscuo, rabbioso, atroce; tutto servì di arme, ed anco i morsi ci adoperarono, ora questi ora quelli romponsi, fuggono, respingono, urtansi, pestansi, ma i nostri sopraffatti cadono; cadono, ma dopo disperata difesa come gl'Italiani costumano, pei quali morta la speranza del vincere sopravvive quella del vendicarsi; gli artiglieri prima spararono, poi difesero, all'ultimo inchiodarono i cannoni; molti si avviticchiarono intorno ai medesimi come se fossero obietti di tenerezza; innanzi di porre la mano sur un cannone e' fu mestieri che fino l'ultimo artigliere ammazzassero. Narrasi dal generale Torre di un'artigliere, che difese il suo cannone con la sciabola, questa spezzatigli in mano diede di piglio allo scopatore e lo adoperò a mo' di clava, glielo strapparono, ed egli allora combattè a pugni, e a morsi; trafitto da mirabile quantità di ferite lo trasportarono esanime allo spedale della Trinità dei Pellegrini.

La storia rammenta eziandio con onore immortale della Patria nostra e di loro i tenenti Cesare Scarinzi di Lugo, e Tiburzi e Casini entrambi romani; questi messi in mezzo da una frotta di nemici preferirono la morte alla resa; l'ottenne il primo lacero da diciassette ferite, e fu raccolto sul campo stringente il troncone della sciabola infranta; l'altro non la poté conseguire, ma in quale stato lo portarono allo ospedale francese, lo dica per noi la Gazzetta medicale di Parigi del 2 Gennaio 1850 «aveva il cranio spaccato da dodici sciabolate, la coscia lacera con dieci baionettate; il braccio rotto in due parti; difese il suo cannone come lione la preda, e non ristette di combattere prima che il braccio non rispondesse alla volontà.»

Adesso occorre il lacrimabile caso di Emilio Morosini sembianza di angiolo, cuore di eroe, amore supremo della madre, che lo possedeva unico; annoverava diciotto anni appena, ma nei costumi, e nel dire così si mostrava modesto, che al suo cospetto anco i più scapestrati non si attentavano commettere cosa, o pronunziare parole, che fossero vili; rimosso dal Bastione 8 venne preposto con la compagnia Rosagutti, secondochè di già avvertimmo, alla difesa del Bastione primo; stando alle vedette ode rumore sospettoso, onde vie più si appressa ai cannoni della Batteria; qui giunto invece di ordinare sparassero, tolto seco un manipolo di gente camminò oltre a speculare, che fosse; pur troppo era il nemico salito sul bastione, e non da cotesto lato solo, bensì ancora dalla strada di comunicazione, donde ormai superata, prese a straziare i nostri; il giovane Morosini cadde colpito ad un punto di palla nei ventre, e da una baionettata nel petto; i nostri fecero mostra di non voler cedere, si venne alla prova delle armi e fu breve il conflitto dacchè i nemici con forze tre e quattro volte superiori gli oppressero; però se breve non senza sangue, quaranta ci caddero morti, e centoventi prigioni, gli altri scamparono con la fuga la vita. Quattro Bersaglieri lombardi non patirono lasciare abbandonato il prode giovanotto, ed acconciatolo come meglio potevano su due traverse correvano verso Villa Spada giovandosi della confusione e del buio; imbatteronsi nei Francesi, che da lungi gridarono chi fossero; risposero:—prigionieri.—Non vollero crederci, e bramosi di strage li circondarono; i Bersaglieri vinti da paura gittarono a terra il Morosini, tentando salvarsi: quanto a lui, ormai disperato della vita, si compiacque chiuderla con generoso fine, e assurto in piedi, stretta la spada continuò a combattere, finchè una seconda palla nel ventre lo stramazzò a terra da capo. I Francesi sboglientiti dall'ebbrezza del sangue appena contemplato quello angelico giovanotto ne sentirono pietà… infelice davvero la pietà, che si volge solo sopra ai caduti; ma in mancanza di meglio, alla sciagurata stirpe dell'uomo teniamo conto anco di questa. Morì il primo luglio dopo trenta ore di agonia; maraviglia e compianto degli stessi nemici, i quali con tanto affetto lo udivano rammaricarsi pei suoi cari, e con tanto amore raccomandarsi a Dio padre di misericordia. Emilio Dandolo amico fedele della sventura udito appena che il Morosini era caduto prigione, e forse sperandolo tuttora in vita, non potendo procacciarsi salvocondotto si pose alla ventura a cercarlo nel campo nemico, dove un pietoso gli concesse la entrata; occorso nel primo medico gli domandava, che ne fosse; gli rispose;—è morto!—Supplicava gli rendessero il cadavere, ma siccome lo avevano di già trasportato al cimitero, così spedirono avvisi per sospenderne la sepoltura. Ora mentre il Dandolo si trattiene a ragionare con gli ufficiali francesi, e da cotesti colloqui apprende com'essi la causa della guerra al tutto ignorassero, ecco sopraggiungere un capitano aiutante maggiore, che dando in escandescenze manda gli ufficiali in arresto, fuori del campo il Dandolo; pure avendo il giorno dopo ottenuto regolare permesso egli ritorna al campo dove gli bendano gli occhi, e per bene due ore lo fanno camminare sotto la sferza cocente del sole. Il povero Dandolo parla dell'angoscia patita da lui dovendo assistere ad ogni colpo di vanga che gli andava mano a mano scoprendo parte delle dilette sembianze lorde di terra, e di sangue;—e' fu codesto dolore, che noi pure sentiamo profondo, comecchè di reverbero, ed in grazia della tua buona natura noi rimettiamo alla tua memoria Emilio Dandolo le offese, che ci facesti, e ne perdoneremmo bene altre caso mai tu ce le avesse fatte. Più tardi l'Hoffstetter visitando la madre del Morosini gli narrò averle scritto l'Oudinot come il figliuol suo sopra il letto di morte avesse edificato ogni uomo con la costanza, e la generosità dell'animo suo; e ci dice com'esso ricercasse a parte a parte ogni minimo particolare del giovanotto eroe, e da ciò cavasse qualche conforto al cuore trafitto. Quando sul rompere la guerra con lo Austriaco le sorelle con infinita passione scongiuravano la madre a non lasciarlo partire, ella repulsò le importune dicendo: «lasciatemi offrire alla mia Patria quanto possiedo di più caro, l'unico figlio mio.» Ora la mesta donna soggiungeva: «piangere su i figli caduti da noi per la Patria è dolore… ma: non tutto dolore!» Anima sorella della rigida madre di Brasida, e di quella dei Gracchi intepidita però al calore della carità cristiana.

Fuori di Roma unico palmo, che ci rimanga di terra le ruine del Vascello; ma i Francesi inoltrandosi dalla breccia aperta a destra della porta San Pancrazio accennavano impossessarsene, chiudendo ogni via allo scampo del Medici: appena rompeva l'alba gli mandarono l'ordine della ritirata, allora egli si mosse, se non chè pareva troppo più agevole ordinarla, che farla; l'aere dintorno ingombrava foltissima nebbia, ma la via da tenersi dal destro lato, e dal manco occupavano i Francesi, che al rumore sportisi dai bastioni tiravano per quell'aere cieca moschettate in fiocca: proseguendo a quel modo, innanzi di arrivare alla porta sarebbero stati senza fallo uccisi tutti; venne in soccorso di loro la fortuna. Certo Giuseppe Rocca da Carpi, il quale da lungo tempo stanziato in Francia aveva appreso lo idioma francese per modo, che meglio non l'avrebbe parlato un naturale di cotesta contrada; pertanto disinvolto e franco costui si mise a urlare: «non fate fuoco, non fate fuoco, che siamo dei vostri.» I Francesi ristettero e fu ventura, che infelloniti contro i difensori del Vascello si erano vantati più volte, che se mai essi cadevano nelle loro mani, il pezzo più grosso aveva ad essere un'orecchio. Le ruine del Vascello vivranno nella memoria dei posteri di fama immortale, ma eziandio immortale durerà nel cuore degl'Italiani il compianto per tante morti che lo resero sacro; a quanto sommassero non potrei dire ma sicuramente i due terzi di quelli che difesero il Vasello ci rimasero. E nè manco ci bastano tempo, e notizie per rammentare tutti gli esempi di valore, di cui proprio ci fu profusione piuttostochè copia: continui quelli, che rilevate una ferita o due andavano a fasciarsi e tornavano a combattere, continui quelli, che dopo avere menato le mani per bene ventiquattro ore rifiutavano lo scambio. Quando all'urto delle palle nemiche sprofondò l'edificio seppellendo parecchi dei nostri, i superstiti non curanti il terribile sfolgorare dei Francesi, improvvidi delle nuove ruine, che avrebbono potuto cascare loro addosso si diedero a rovistare per le macerie, ed ebbero in sorte di restituire taluno, comecchè malconcio, alla vita, Certo dì fu visto un soldato traversando la spianata a sinistra della Casa bruciata cadere ferito; sovvenirlo, era perdersi con lui, chè le palle francesi spazzavano il luogo: ora uno dei fanti, che furono papalini colà presenti accennando il caduto ai Bersaglieri lombardi disse quasi beffando: «e voi non andrete a soccorrerlo?» In un bacchio baleno, una mano di giovani lombardi trovata una barella corrono al ferito, e ce lo adagiano sopra: egli pativa atroci dolori, onde essi ebbero a incedere piano, e soavi; talora eziandio fermaronsi. I Francesi si sbizzarrivano a balestrare moschettate le quali zufolavano intorno alla lor testa, e non di manco veruno di loro rimase ferito. Hassi a credere, che tale provvide Dio in mercede della opera pietosa? Piace e giova così.

Sarebbe iniquo negare, che tra i Francesi taluno avesse cuore gentile, e mente educata a civiltà, ma qui come altrove si confermò per prove, come in generale cotesto popolo sia barbaro, e feroce: e le guerre di Affrica lo hanno viepiù imbarbarito; costà le immani opere di Annibale il quale fece recidere i piedi ai prigionieri impotenti a seguitarlo rinnovarono; il soffocare col fumo i giudei nelle caverne onde la fama di Tito è aborrita, auspice il Pellissier, da capo fu praticato dai Francesi a danno dei Beduini: a Roma, e lo vedemmo, non solo bombardarono la città, e i luoghi sacri per religione di memorie, o per miracoli di arte, ma principale diletto essi posero a pigliare di mira la chiesa di San Pancrazio convertita in ospedale con manifesto spreto della bandiera nera inalberata in vetta al campanile per farli accorti quivi dentro giacere morti e feriti. Noi sempre provarono i Francesi feriti soccorrevoli; questi al contrario sempre acerbi contro i nostri, nonostante le lustre e i paroloni in contrario, e tu giudica o lettore se i Francesi possano vantarsi presidio di civiltà da quello, che seguita, e che da noi si ricava (recandolo nel sermone nostro) dalla Gazzetta medicale di Parigi t. 44. 3 nov. 1849. «Certo dì un uomo di alto affare venne per porgere conforto ai patimenti dei nostri feriti; caso volle ch'egli vedesse fra i nostri mescolati due italiani:»—«Or come esclamò egli, i nemici fra noi?»—«Scusate, riprese il dottore, sono tutti feriti»—«Sta bene, aiutante, soggiunse il generale, pigliate ricordo, e domani fateli sgombrare»—«Un poco più oltre costui notò parecchi giacenti senza camicie; (altri poi ne avevano delle eccellenti, e donde loro venissero lo sa il nostro amico Monier)» e da capo disse: «aiutante scrivete, e provvedansi subito camicie; sì miei bravi soldati voi tosto ne avrete.»—«Malgrado questi bei discorsi, il fatto sta, che i feriti italiani tremanti per febbre traendo dolorosissimi guai furono trasportati altrove, le camicie poi non si videro.» Di uffiziali che ostentaronsi amici, e tradita ogni legge non dico di umanità ma di guerra assassinarono a man salva fu detto, e fu detto altresì dello strazio crudele menato dei soccorritori ai feriti; io non incolpo il porre, ch'essi facevano i caschi in cima ai fucili sporgendoli dai parapetti delle trincee, perché i nostri ingannati li moschettassero, e scarico appena lo schioppo, saltare su a colpire l'incauto feritore; questi si considerano strattagemmi di guerra, e guai a cui ci si lascia prendere, ma sì gl'incolpo della salvatica soverchieria di schiantare l'antica polveriera di Tivoli nel giorno ventinove di giugno mentre poteva ormai reputarsi conchiuso l'assedio, ed ogni via per giungere a Roma occupata dai Francesi. Ecco come per loro fu condotta a compimento la magnanima impresa; il generale Sauvan con due battaglioni di fanti, venticinque cavalli, ed un drappello d'ingegneri condottosi a Tivoli intima al preside che atterri l'opificio; preside, magistratura, e guardia nazionale protestano contro l'animalesco comando, costui (e gli parve mostrarsi spartano) della protesta fece ricevuta in questi termini: «il sottoscritto generale dichiara essergli stata presentata dal Municipio di Tivoli una protesta contro la distruzione della polveriera: nonostante la protesta la fa atterrare.» Così un edifizio durato da secoli in breve ora cadde sovvertito dalle fondamenta, stupenda copia di polvere, salnitro, e zolfo gittarono nell'acqua, arsi gli arnesi, fracassate le macchine; e tutto questo non mica per amore di difesa, bensì per genio di barbarie; e' fu episodio degno della illustre epopea. Siccome io intendo fare con questo libro quello, che il Garibaldi operò, voglio dire, uscirmene di Roma prima che vi scendano i Francesi così io metto a questo luogo la offesa esecrabile commessa da costoro in onta alla memoria del Mellara, anzi in onta alla umanità, e questo ritraggo da certe lettere private di persona, che non so adesso, ma a quei tempi procedeva parzialissima al Papa. Il Mellara dopo patimenti ineffabili periva, molti, suoi compagni di arme si riunirono alla chiesa dei Santi Vincenzo, ed Anastasio per rendergli il tributo estremo delle esequie onorate; andarono vestiti dell'antica assisa, e con la nappa dei colori italiani: era anco intendimento loro pronunziare qualche lode su la bara del defunto, il quale tanto bene se l'era meritata in vita; di ciò informato il Rostolan accorse seguito da molta mano di milizie alla chiesa, a forza volle la sgombrassero i commilitoni del Mellara, tutto vietò eccetto la messa; e siccome il dì veniente i soliti amorevoli del Mellara disegnavano associarne il cadavere al pubblico cimiterio, anco questo impediva; comandava lo seppellissero in chiesa, ma prima che in grembo alla terra lo deponessero egli commise al becchino, che strappasse dal cappello al trapassato la insegna dei tre colori: tanto gl'Italiani chiudano nell'animo e lo ricordino il giorno di possibile vendetta; rammentino altresì che il Bano Jellachich, e il suo fratello colonnello entrambi croati, e capi di croati non mancarono mai di riverenza alla virtù tradita dalla fortuna……

Ora per tornare alla difesa del Vascello, io per me penso, che supporranno i difensori confortati in copia di cibi, e di bevande; ahimè! essi penuriavano di quello, che appena basta per sopperire alla vita; parecchi giorni sostentaronsi con grossi e neri pani che lì rimasti da lungo tempo si erano induriti così, che se ne servivano per origliere quando giacevano sul nudo pavimento a pigliare qualche riposo: essi mangiarono i loro guanciali, come i seguaci di Enea mangiarono le proprie mense.—Sembra altresì, che i Francesi intendessero conquidere i difensori non solo con la fame, col ferro, con le ruine, e col fuoco, ma ed anco con la pietà, e con l'aere pestilenziale, dacchè eglino non consentissero mai alcune ore di tregua per seppellire da una parte, e dall'altra i propri morti; durante tutto lo assedio pertanto essi giacquero a piè delle ruine spettacolo miserando e pericolo presentissimo di suscitare la morìa per l'Italia, e forse nella universa Europa; ed anco questo scrivi lettore italiano in conto della civiltà francese. Il corpo del capitano Ferrari morto nella giornata del tre Giugno per la inesorabile barbarie dei Francesi stette esposto alle intemperie, e agli oltraggi degli uccelli di rapina intero un mese.

Sorge il giorno trenta giugno, ultimo della difesa; chi stava sul Gianicolo vedeva la grande cupola vaticana in qua, ed in là tuttavia rischiarata dalle faci che avevano resistito allo imperversare della bufera, e che ora andavamo una dopo l'altra estinguendosi immagine dolorosa degli sforzi durati per difendere Roma. Non importa, si combatta sempre, le bandiere della libertà quando cascano nel sangue si rilevano più poderose, che mai, come Anteo quando percoteva la Terra sua madre; i nostri alla meglio raggruppansi e cominciano un trarre disperato di moschetti dalle Ville Savorelli e Spada; rimbeccavano con furia punto minore dalle nuove trincee i Francesi irresistibili perchè rincalzati da una fiumana di fuoco che turbinava dalle batterie dieci, undici, dodici, e tredici; e come se dei cannoni non ce ne fosse di avanzo, senza misura ci adoperavano i mortai. Le nostre batterie dall'Aventino, e dal Pino controbattevano languide, ultimi tratti dell'agonizzante; e poi di repente i Francesi per dare il colpo di grazia contro la Batteria dell'Aventino voltarono la seconda Batteria loro formidabile di artiglierie e di artiglieri. Per meglio conquidere i nostri schierati a destra della porta San Pancrazio i Francesi tentarono arrampicarsi sul portone di cotesta porta, e quinci salire su la breccia del Bastione nono aperta dalla Batteria decima; li respinse il Medici co' suoi, e col primo reggimento di linea, anzi taluno dei nostri s'inerpica ad occupare il frontone donde recava gli ultimi, non però i meno dolorosi danni al nemico, che infellonito colà avventa le armi, e le ire; ma per fulminare ch'ei faccia con le sue artiglierie veruno si rimuove, e con esempio memorabile tutti elessero perire sotto lo sfasciume della porta.

A Villa Spada un manipolo di soldati della legione italiana avendo scorto certi fanti francesi ripararsi verso il muro della corte si avventò su di quelli cacciandoli a furia; l'Hoffstetter preso animo dal caso, volle tentare se gli venisse fatto di ristabilirsi nella Batteria dinanzi casa, e chiese al Manara gli concedesse una cinquantina di uomini; gli furono dati, e di un salto tutti di accordo balzarono sul luogo indicato; colà l'Hoffstetter procedeva oltre con alquanti dei suoi, gli altri lasciava dietro al coperto per bersagliare i Francesi, appena però avesse incominciato ad assalire la Batteria, anche quelli corressero a rinforzarlo: si accostava temerario piuttostochè animoso, e vide essere quella impresa perduta, imperciocchè la Batteria comparisse tutto intorno munita di alti gabbioni presidiati in copia: nondimeno gli piacque continuare il combattimento lasciandosi in balìa di quel soffio di speranza, che mai non cessa: così durando da una parte e dall'altra vennero a mancare le munizioni ai nostri, per la quale cosa l'Hoffstetter rannicchiandosi più che poteva si recò per esse a Villa Spada; per via occorse in un giacente francese bello e robusto con una ferita al sommo del petto il quale se ne stava esposto al grandinare delle palle e non faceva, o non poteva movere atto per levarsi di là, l'Hoffstetter commiserandolo gli disse: «abbiate pazienza anco per un po', e manderò la barella a pigliarvi» ma quegli non disse motto; giunto sotto la Villa chiese la munizione, e il Manara con le sue medesime mani gliene gettò un sacco dalla finestra, se lo recava su le spalle mentre il Manara sempre dall'alto gli raccomandava ritirarsi, che la zuffa gli pareva senza costrutto; l'Hoffstetter gli rispondeva, ma quegli non replicò, per la quale cosa l'Hoffstetter andava pei fatti suoi, ma indi a breve tornato avendo conosciuto a prova la verità dello avvertimento del Manara ricercava di lui; ognuno evitava parlare, incollerito insiste, e allora in silenzio gli additano una stanza terrena; sopra la soglia gli occorre l'Appiani segretario del Manara lacrimoso, entra e mira un gruppo di gente insieme stipato, lo separa con empito, ed ecco gli sta dinanzi il Manara tutto sangue con gli occhi erranti per le tenebre della morte; gli si genuflette ai piedi, la mano gli bacia e la fronte già fredde; quegli lo ravvisa, e con piccola voce ansando sussurra: «sono ferito a morte; forse mi rimane a vivere un quarto d'ora» L'Hoffstetter lo consola, e propone trasportarlo all'ospedale, ma il Manara ricusa dicendo: «no… non m'inganno, sono morto, il trasporto crescerebbe gli spasimi… lasciate ch'io muoia qui dove ho combattuto.» Il Dandolo che pure si trovò presente al caso narra come poco prima, che la palla micidiale passasse il Manara da parte a parte egli nel seguitarlo rimanesse colpito di una palla di rimbalzo nel braccio destro, onde costui esclamò: «per Dio! tocca sempre a te? O che io non devo portare via nulla da Roma?» A lui il Manara cadendo raccomandò i suoi figli; da lui supplicò non essere abbandonato mai; dalla stanza chiusa lo trasportarono alla campagna aperta; allora desiderò si chiamasse il medico Bertani amico suo. Il Dandolo si piglia cura di riportarci che dietro le sue raccomandazioni il Manara si confessò, e si comunicò: pedanterie di guelfismo riscaldato in Lombardia, come se la vita del mortale eroe incontaminata avesse bisogno per amicarsi Dio di un Cappuccino mediatore, e il Padre delle misericordie non aspettasse cotesta anima bennata a braccia aperte; qual sacramento avrebbe mai potuto renderla più pura oltre la religione del martirio, e il battesimo di sangue? Il Manara raccomandava al Dandolo procurasse allevare i suoi figliuoli nell'amore della religione, e della patria; l'Hoffstetter di religione non parla, bensì gli mette in bocca queste parole: «consolate la mia povera moglie, e recatele il mio ultimo addio: educhi i nostri figli allo amore per la infelice nostra patria, ed appena sapranno reggerle, ponga loro nelle mani queste armi.» A me, e ad altri le parole dell'Hoffstetter compariranno più conformi al cuore dell'uomo; per pedanteria guelfa il Dandolo inteso a incastrarci la religione, omette la moglie; pare impossibile come e quanto la beghineria stupidisca il cuore; forse per lo sposo amante la cara e casta moglie, madre dei suoi figliuoli non è religione?

Innanzi, che per me si lasci la dolente storia non vo' mancare di referire qui un caso il quale troppo stupendamente dipinge gli uomini, e i tempi. L'Oudinot, dicono per raccomandazione di Massimo D'Azeglio, preso a un tratto di tenerezza pel Manara gli scrisse lettera per buona ventura giunta dopo che cotesto valoroso ebbe reso l'anima a Dio, e dico buona ventura perchè di certo avrebbe cagionato gravissima alterazione a quel nobile spirito. L'aperse il più anziano dei capo-battaglione dei Bersaglieri; in sostanza portava lo scritto: ammirare la prodezza e la disciplina dei Bersaglieri, più che tutto sentirsi compreso da inestimabile reverenza per lui Manara; pregarlo a non considerare la capitolazione proposta nè in parte, nè nello insieme riguardante lui; avere ordinato gli pagassero ottomila scudi per sopperire alle spese del ritorno a casa dei suoi Bersaglieri; in fondo di straforo, con animo più che volenteroso poi avrebbe visti i Bersaglieri rimanersi a Roma al soldo del nuovo governo; la insidia tendeva a dividere Manara dal Garibaldi sia che insieme si gittassero alla campagna, o rimanessero in città tentando la disperata guerra delle barricate, o scemarsi l'odio che sentiva aggravarglisi sul capo per la occupazione di Roma, ed anco per avvilire cotesti giovani non meno saldi nella propria fede politica, che prestanti nelle armi. Intorno al quale successo poche parole bastano, e sono queste, l'Oudinot mandando cotesta lettera si chiariva degno di poterne ricevere una pari, che le avrebbe fatto buon viso: venali tutti in Francia, non si sa perchè i suoi soldati soli arieno a conservarsi incorrotti.

Coteste ultime ore di combattimento ci diedero materia a lungo rammarico. Andrea Aghiar il fedelissimo moro del Garibaldi periva; mentre questi smanioso di continuare la battaglia monta a cavallo dietro la Villa Spada, e l'Aghiar gli tiene la staffa una palla lo investe e lo trapassa da una tempia all'altra. Pieno di mestizia fu il caso di Vincenzo Ugolini da Forlì, il quale gravemente ferito, giaceva della vita in forse, ma pure non disperavano affatto, quando (e certo per sollevarlo) gli menarono presso al letto due fanciullini, che rammentandogli i suoi figliuoletti lasciati a casa tale nodo di passione gli prese al cuore, che in breve ora in mezzo a fiere convulsioni spirò. Anco Giuseppe Verzelli da Bologna col capo rotto cadeva per non levarsi più, e morti in campo giacevano altresì Pietro Signorini, e il Bandi di Romagna. A cinquecento e più calcolano arrivassero i morti, e i feriti nel breve, e micidiale conflitto.

Verso mezzogiorno, chi la chiedesse ignoro, ma suppongo i Romani, si concedeva tregua per raccattare i morti, e i feriti, che ingombravano il terreno massime intorno al Bastione ottavo. Il Generale Garibaldi fidando di combattere tuttavia aveva disposto resistere da una terza linea, ed ordinò il modo col quale avesse a procedere la ritirata; l'ala destra contendendo il terreno palmo a palmo doveva lungo il Bastione di Santo Spirito ripiegarsi sopra il Castello Santo Angiolo, e quivi stare col ponte munito di difese avanti a se, egli sosterrebbe le Barricate, e i ponti di Trastevere.—Però la battaglia non si rinnovò più.

Lo assedio di Roma - Domenico Guerrazzi - Ed. Dante Alighieri - 1870