Colomba Antonietti Porzi e Angelo Brunetti detto Ciceruacchio
Colomba Antonietti.
Colomba, nata a Bastia nella provincia perugina il 19 ottobre 1826. visse gli anni della giovinezza a Foligno insieme alla sua numerosa famiglia occupata presso il forno municipale nella panificazione e nella produzione dolciaria. Accanto al forno era stanziato il Corpo di Guardia della guarnigione pontificia dove prestava servizio il cadetto conte Luigi Porzi di Imola. Si incontrarono e si innamorarono ma dovettero affrontare le resistenze di entrambe le famiglie che. per motivi diversi non vedevano di buon occhio la relazione tra due giovani di classi sociali diverse. I giovani non si diedero per vinti e si sposarono segretamente anche perché Luigi Porzi non aveva chiesto l'autorizzazione alle autorità militari secondo il regolamento. Purtroppo la notizia trapelò e l'ufficiale venne arrestato e recluso a Castel Sant'Angelo. Non fu impedito ai due giovani di vedersi anzi fu loro concesso di stare insieme dall'alba al tramonto.
Il periodo di prigionia contribuì a sviluppare nel giovane e in Colomba l'odio per l'oppressione e sentimenti che li avvicinarono alla causa dell'indipendenza nazionale, di cui danno testimonianza le lettere che la giovane scriveva alla sua famiglia.. Concluso il periodo di prigionia, allo scoppio della prima guerra di indipendenza, Porzi lasciò il servizio pontificio e corse volontario al nord con le truppe del generale Durando. Colomba, tagliati i bellissimi capelli neri, si vestì da soldato, si arruolò e combattè in Lombardia e in Veneto al fianco del marito. Per gli esiti infausti della guerra nel 1849 la legione Lombarda in cui militavano Luigi e Colomba dopo l'armistizio di Salasco divenne una formazione regolare dell'esercito sardo Piemontese, diventando il VI battaglione Bersaglieri che fu lasciato partire alla volta di Roma al comando di Luciano Manara per contribuire alla sua difesa. Il 19 maggio 1849 Luigi e Colomba parteciparono con Garibaldi alla battaglia di Velletri per fermare l'esercito borbonico di Ferdinando II.
All'alba dunque del 19 ecco Garibaldi che, arrivato in vista di Velletri con la legione italiana, col 3.° battaglione del 3.° reggimento di fanteria romana e con pochi cavalieri, spedisce un distaccamento con l'ordine di avanzare sotto le mura della città per conoscere i luoghi e le mosse del nemico, appostando metà della legione sui colli Latini di fronte al convento dei cappuccini occupato dagli svizzeri . Si preparano all'attacco e con Garibaldi già in sella, al suo moro Anghiar sbarrano a cavallo la strada "ma sono rovesciati tutti e rotolati nella polvere. I cavalli dei nemici e degli amici gli passar sopra, ma nel tremendo frangente un battaglione di ragazzi scivolando giù dalla china dei colli tira con tale precisione sui nemici che questi si fermano e fulminati da un'altra compagnia a sinistra, fuggono a precipizio.
Garibaldi si rialza impolverato e pesto, monta in sella, fa suonare la carica su tutta la linea, riprende il comando e riesce a sbaragliare la forza nemica, incalzando i fuggiaschi fino alla porta della città. Entrare però con pochi giovani soldati non era prudente nè possibile. Ma per fortuna Luciano Manara, che a due miglia di distanza aveva avvertito il fuoco, condusse di corsa i suoi bersaglieri che, sfidando i fulmini dell'artiglieria nemica, a suon di tromba, sfilarono sotto gli occhi del Generale, accolti da grida entusiastiche di Viva i nostri bersaglieri! a cui quelli rispondevano Evviva Garibaldi!. Luigi e Colomba erano tra questi valorosi bersaglieri. Colomba soprattutto dimostrò nel corso della battaglia capacità e intelligenza tanto da meritare l'elogio dello stesso Garibaldi . Fu vista infatti combattere a fianco del marito con coraggio e rincuorare i soldati: molti di loro la supplicarono di allontanarsi ed ella sorridendo rispondeva: Ma se ci lascio il marito morirei di affanno.
Manara, elettrizzato dall'aspetto del campo e dalle buone notizie raccontategli, decise di mandare quei giovani bersaglieri con la legione romana contro i soldati sulle mura della città sulla quale arrivarono assai prima del loro generale. Conquistata finalmente la città di Velletri, i bersaglieri ormai garibaldini parteciparono alla difesa della Repubblica Romana.
tratto da vivavoce scritto da Daniela Imperi Per la rubrica Storia locale - Numero 109 marzo 2012.
Colomba Antonietti.
È nata a Basta Umbria il 19 ottobre 1826, figlia dei fornai Michele Antonietti e Diana
Trabalza.
Si trasferisce giovanissima a Foligno, dove vive con la sua numerosa famiglia
impegnata presso il forno municipale nella panificazione e nella produzione
dolciaria.
Accanto al forno è stanziato il Corpo di Guardia della guarnigione pontificia
(all'epoca l'Umbria apparteneva allo Stato Pontificio), dove presta servizio il cadetto
conte Luigi Porzi di Imola. Quanto era bello. Ed era pure conte!
Luigi nota Colomba. Lei però è diffidente perché lui è soldato del Papa Re e il papa
Re a colomba non piace davvero.
Ma papa o non papa…si innamorano.
Lei è appena diciottenne, alta, snella, denti bianchi e regolari (una rarità per
l'epoca), occhi e capelli nerissimi, tanto ricciuti da essere ribelli a qualsiasi
acconciatura; lui è di poco più grande, tenente delle truppe pontificie e discendente
da una nobile famiglia di Ancona.
Luigi, per poter frequentare la casa dell'amata, cerca di rendersi amico della madre
di Colomba, ma presto i due giovani devono affrontare le resistenze di entrambe le
famiglie che non vedono di buon occhio la relazione tra due persone di classi
sociali così distanti.
Oltre a qualche occhiata furtiva, e qualche parola alla finestra i due erano riusciti
ad avere pochi incontri fugaci. Ma un giorno qualcuno lo va a dire alla famiglia (ma
perché c'è sempre qualcuno che si mette in mezzo?) e Colomba è subito punita
con due schiaffoni, mentre Luigi insegue lo spione fin sul tetto con la sciabola
sguainata. La cosa si viene a sapere al reggimento: lo attendono quindici giorni di
arresto.
I genitori di Colomba riescono ad ottenere che Luigi sia trasferito a Sinigaglia, per
toglierselo dai piedi.
I due però non si arrendono: Luigi (il suo "Gigi") ha promesso a Colomba (la sua
"Bina") che l'avrebbe sposata, sprezzante della disparità sociale, e i due continuano
a lungo a scriversi lettere di nascosto.
Luigi infine si procura i documenti necessari e il permesso del suo comandante e
chiede solennemente la mano della ragazza, che gli viene altrettanto solennemente
rifiutata.
Colomba e Luigi riescono a sposarsi all'una di notte in gran segreto nella Chiesa
della Misericordia il 13 dicembre 1846. Sono testimoni il sacrestano e un
conoscente di Luigi; l'unico familiare presente è il fratello di Colomba, Feliciano,
che l'accompagna all'altare. Per più di due lunghi anni hanno atteso questo
momento. E ora sono felici, anche se possono condividere la loro felicità con sole
altre quattro persone, prete compreso.
Naturalmente tutto era stato fatto nell'ombra e Luigi Porzi non aveva chiesto
l'autorizzazione alle superiori autorità militari come invece prevedeva regolamento,
sperando che la notizia non sarebbe trapelata.
E invece trapela eccome. (Ma perché c'è sempre qualcuno che parla troppo?)
Gli sposini partono per Bologna dove vanno a visitare la madre di Luigi e quando
torna presso la sua guarnigione…Luigi viene arrestato e recluso in Castel
Sant'Angelo, costretto a scontare tre mesi di carcere.
Con l'intercessione di uno zio Decano ottiene che almeno di ricevere l'intero
stipendio e non metà come previsto dalla pena, così può mantenere Colomba.
Colomba lo segue a Roma e fortunatamente - grazie al comandante del forte
Cenci-Bolognetti - le è concesso di stare insieme al marito dall'alba al tramonto,
rendendo meno dura la punizione con lunghe passeggiate.
La prigionia intanto sviluppa nel giovane tenente e in Colomba l'odio per
l'oppressione e i due si avvicinano poco alla volta alla causa dell'indipendenza
nazionale, di cui danno testimonianza le lettere scritte dalla giovane alla famiglia.
Colomba dorme da certi parenti della madre che abitano nel quartiere di
Trastevere.Pio IX aveva da poco fatto marcia indietro sulle promesse riforme , e
tutto il quartiere è percorso da fermenti rivoluzionari. La delusione fa crescere
l'insofferenza. Colomba in quelle strade probabilmente frequenta il rivoluzionario
Angelo Brunetti, più noto come Ciceruacchio, e il cugino Luigi Masi, medico, amico
e segretario del nipote di Napoleone, attivo nell'ambiente patriottico romano. La
ragazza ascolta, domanda, si fa le sue idee.
In autunno, il battaglione di Luigi è trasferito ad Ancona e Colomba segue il marito.
Allo scoppio della prima guerra d'indipendenza nel marzo 1848 anche lo Stato
Pontificio partecipa alle ostilità contro l'Austria formando un corpo di spedizione
diretto al nord. Luigi si arruola volontario alle truppe guidate dal generale Durando
per la liberazione di Venezia.
Colomba fa la sua scelta:, mette mano ad ago e filo, ripara una divisa vecchia del
marito, si taglia i bellissimi capelli neri e adesso anche lei indossa l'uniforme da
bersagliere per combattere in Lombardia e in Veneto a fianco del suo Luigi.
A nulla valsero le voci di chi intendeva dissuaderla, Colomba non aveva paura delle
marce, della fatica, della battaglia. "Avrei più paura a non sapere dove sei, sono
forte più di tanti uomini, sono convinta, perché non posso fare la mia parte?"
Pio IX però ci ripensa. Intende evitare uno scisma religioso con uno stato cattolico
come l'Austria e si ritira. Alla notizia dell'armistizio che il Papa indice il 29 aprile ,
c'è confusione e disorientamento tra i soldati e la truppa si disperde. Luigi e
Colomba marciano fino a Ferrara dove il cugino medico, il dottor Masi, il cugino, per
niente entusiasta del travestimento di Colomba, cerca invano di trattenerla.
Luigi e Colomba partono. Tornano a Roma, dove aderiscono alla Repubblica
Romana, proclamata solennemente il 9 febbraio 1949.
I francesi, guidati dal terribile generale Oudinot intendono riportare sul trono il papa.
Il popolo romano resiste. Garibaldi va loro in aiuto. 26 aprile 1849 si forma una
brigata composta da due battaglioni con 300 uomini reduci da Venezia, 400
studenti universitari, 300 doganieri mobilizzati e 300 doganieri semplici per un
totale di 2500 uomini (c'erano anche numerose donne di cui non tiene conto la
numerazione ufficiale). C'era anche il cugino, dottor masi, nel ruolo di generale. E
c'erano anche Luigi e Colomba.
Invano la madre di Colomba le scrive di allontanarsi da Luigi, lei risponde sempre
con decise negazioni.
Vinta la prima battaglia a Roma del 30 aprile, Colomba combatte nel VI battaglione
Bersaglieri dell'esercito Sardo Piemontese comandato da Luciano Manara alla
battaglia di Palestrina il 9 maggio e di Velletri il 18-19 maggio 1849 (1500
garibaldini tengono testa a 20.000 borbonici) contro le truppe borboniche guidate
da Ferdinando II.
Dimostra in queste occasioni grande coraggio, sangue freddo, valore e intelligenza,
meritandosi l'elogio di Giuseppe Garibaldi e lo stupore della moglie di Garibaldi,
che la ammira per la schiettezza del suo coraggio.
tratto dal sito dell'Assemblea Legislativa Emilia Romagna
Ciceruacchio
Garibaldi una settimana dopo è ancora in prima linea sul fronte sud
contro i borbonici comandati personalmente da re Ferdinando II. Ha
pochi uomini - poco più di mille - e sono quasi tutti veterani della guerra
nell'America del Sud, tutti fedeli ai suoi ordini e fedeli alla sua persona
che esercita un indiscusso fascino. È a Roma quale deputato eletto a
Macerata, e partecipa raramente alle sedute di palazzo della Cancelleria
per dedicarsi alla organizzazione dei suoi legionari. Si comporta con
molta generosità, specie quando si vede soffiare il ruolo di comandante
generale dell'esercito della Repubblica dal generale Pietro Roselli, mentre
Carlo Pisacane, reduce dalla guerra in Lombardia dell'anno prima,
diventa capo di stato maggiore. Appena riceve l'ordine di contenere
l'urto dei borbonici accorre a Palestrina e batte le truppe comandate dal
generale Lanza. Ma l'episodio più fortunato e più fruttuoso è quello del
19 maggio sotto Velletri, grazie ad un'azione decisa indipendentemente
dai piani del Roselli. Anche questa volta vorrebbe sfruttare l'occasione
favorevole e inseguire il nemico. Spinge a fondo la sua azione fino a
sconfinare nel territorio del regno napoletano occupando Arce. E fermato ancora dal Mazzini, che sta trattando con il plenipotenziario
francese Ferdinando de Lesseps - il futuro costruttore del canale di Suez
- per una tregua o addirittura per un accordo con la Francia. .
A Velletri al suo fianco c'è Ciceruacchio, che aveva già aiutato molto il suo generale nella organizzazione della legione di camicie rosse. Il mazziniano
Angelo Brunetti ora è più vicino a Garibaldi. Gli è piaciuto quel
suo anteporre l'azione ad ogni altra questione ideologica, quel suo
modo di concepire la milizia, senza impacci burocratici, oltre le regole
tradizionali, senza alcuna disciplina imposta dall'alto, con ufficiali eletti
dai soldati, e lui sempre a cavallo, vestito - scrive Farini - come un capo
di tribù indiana. Questo capo indiano acquista però ogni giorno più
credito e prestigio. Gli viene impedito di sconfinare in territorio napoletano,
ma si mettono ai suoi ordini quasi seimila uomini per riconquistare
la provincia di Frosinone, poi riperduta ma non dalla sua legione.
Garibaldi è l'eroe del momento: ha costretto un re - Ferdinando II - a
ritirare il suo esercito entro i confini del suo regno.
Oltre ad un motivo di affinità psicologica, all'amicizia fra Garibaldi e
Ciceruacchio influisce probabilmente lo stesso atteggiamento agnostico
del generale in tema di monarchia o repubblica. Appena sbarcato a Nizza,
nel giugno del 1848, c'era stata una sua dichiarazione fiIo-sabauda
come atto di adesione all'iniziativa anti-austriaca di Carlo Alberto. Ora la Repubblica a Roma gli sta bene e sta bene anche al suo Ciceruacchio.
Per il futuro si riserva la libertà di decidere a seconda dell'atteggiamento
e dell'impegno unitario di casa Savoia. Forse questo è anche
il pensiero di Ciceruacchio. Ma intanto è primaria l'esigenza di difendere
la Repubblica Romana. In prima linea c'è sempre Garibaldi. Ciceruacchio
sta con lui, non col Mazzini.
Egli ha scelto bene il suo leader, così spontaneo, sincero, senza spocchia,
duro nell'ora del comando, umanissimo lontano dalla linea di combattimento.
Lo riceve in casa sua - almeno così scrive la francese Riccarda
Huch (Difesa di Roma, 1924). Sarà vero? Piace immaginare un Garibaldi
nella casa di via del Macello, parlare con i Brunetti, sedere alla
loro mensa e dar prova della sua nota frugalità, raccontare le sue imprese
d'America ai figli grandi e insegnare le lettere dell'alfabeto alla piccola
Maria, l'ultima nata in quella casa. La storia è però un'altra cosa,
specialmente in questo caso, e la fantasia della Huch non l'aiuta molto.
Così è da dire di due ribalderie attribuite a Ciceruacchio dallo storico
suo nemico, il Balleydier. Alla testa di una banda di forsennati, ebbri di
collera e di vino, al grido di «viva la Costituente Romana» e «abbasso i
preti» Ciceruacchio avrebbe strappato i cappelli di latta rossa che servono
da insegna nei negozi dei cappellai. Non sarebbe gran cosa. L'altra
sarebbe più grave (e c'è anche la data, i16 gennaio 1849). Avrebbe ricoperto
di ingiurie il curato di S. Maria Maggiore, Massari, che aveva fatto
affiggere una copia della protesta del papa, arrivata a Roma clandestinamente,
e poi si sarebbe recato con una «bande de furieux» dal curato di
S. Celso, che aveva osato leggere per primo dal pulpito la minaccia di
scomunica, e, non trovandolo, avrebbe messo a soqquadro «de fond en
combie» l'abitazione di quel prete ottuagenario in fama di sant'uomo.
Più verosimile è un'altra accusa che gli muove lo Spada, quella cioè di
esser andato in un giorno di quel maggio, che aveva nell'aria l'attacco
finale dell'esercito dell'Oudinot, in giro per le chiese del suo rione a
requisire confessionali per utilizzarli nelle barricate. Qualcosa di vero
qui ci dev'essere. Se non è stato lui personalmente, qualcuno le mani
sui confessionali deve averle messe, perché il nuovo Triumvirato - Mazzini,
Saffi, Armellini - emise un proclama per stigmatizzare il fatto. Il
Monitore Romano (n. 107 del 1849) dà la responsabilità dell'accaduto ad
un forestiero, aggiungendo che Ciceruacchio è stato invitato dal governo
a impedire che si ripetano atti del genere. I Triumviri si mostrano in
ogni occasione intransigenti nell'esigere il massimo ordine: «Romani -
dice un loro manifesto - i vostri Triumviri hanno preso solenne impegno
di mostrare all'Europa che voi siete migliori di quei che v'assalgono
[ ... ] che voi siete non soltanto prodi, ma buoni; che forza e legge sono
tra voi l'anima della Repubblica! ».
tratto da Ciceruacchio capopopolo di Roma - A.G. Casanova - Newton Compton 1995