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1 - La Repubblica Romana del 1849

La cronaca degli avvenimenti ed il racconto di Cesare Pascarella

LA REPUBBLICA ROMANA 
              DEL 1849

I LUOGHI DELLA BATTAGLIA

Roma 30 aprile 1849, villa Pamphili, ore 16:
Lo scontro più duro era sui prati di villa Pamphili, ai margini della via Aurelia antica. Lì il 20° di linea francese si era spinto molto avanti, e a un certo punto un battaglione di trecento uomini, comandato (ahimé) dal capitano Picard, lanciatosi all'inseguimento di un gruppo di soldati nemici, perse i contatti con la retrovia. Il contrattacco di Garibaldi, da lui stesso guidato all'arma bianca, fu micidiale. Stretti in un cerchio dal Battaglione Universitario e dalla Guardia Nazionale comandata da Galletti, i francesi non avevano via di fuga. I francesi si arresero e vennero condotti dentro Roma attraverso porta S. Pancrazio.
Fu la svolta decisiva della battaglia.[...] Fra porta S. Pancrazio e porta Cavallegeri Garibaldi era ormai padrone della situazione.
La battaglia del 30 aprile era vinta.
Le truppe di Oudinot non solo non avevano sfondato né sulla destra né sulla sinistra, ma si erano pericolosamente allungate rispetto alle retrovie. Un'azione tempestiva alle loro spalle avrebbe potuto persino sbarrar loro la ritirata verso Civitavecchia.

Roma 3 giugno 1849, porta San Pancrazio, ore 5
Fuori dalla porta collocata sul Gianicolo si fronteggiavano, a distanza di poche cebtinaia di metri, i garibaldini e i francesi. Questi ultimi erano arroccati sul casino dei quattro venti (o villa Corsini) e nella vicina villa Valentini, collocata sul fianco sinistro degli attaccanti al di là dell'Aurelia antica. Ancora nelle mani dei difensori, fra i quattro venti e le mura, era invece un altro luogo strategico, villa Giraud detta "Il Vascello" per la forma che ricordava una nave.
Perché i francesi avevano attaccato proprio in quel punto, assediando le alture e il ben munito arco di mura sulla sponda destra del tevere? [...]
La scelta di Oudinot aveva una sola spiegazione: egli voleva conquistare con un assedio il Gianicolo per poi tenere l'intera città, dall'alto, sotto la minaccia dell'artiglieria, costringendola ad una resa inevitabile. [...]
Valutata rapidamente la situazione Garibaldi decise di contrattacare subito, prima che i francesi consolidassero le loro posizioni. Non era una questione di giorni ma di ore. La stabile conquista da parte degli assedianti delle postazioni fuori porta San Pancrazio - i 4 venti, il vascello, villa valentini, sarebbe stata la premessa certa della loro vittoria. Di lì, le mura e i bastioni erano minacciati dal cannone, la porta sotto il tiro dei fucili, la città alla portata dell'artiglieria.
Cruciale era in particolare il casino dei Quattro Venti.
Esso sorgeva a circa mezzo chilometro di distanza dalle mura, in un punto più elevato rispetto a porta S. Pancrazio. Ai suoi lati due strade, via di S. Pancrazio e via Aurelia antica, convergevano sullo stradone infossato che conduceva alla porta. Nel punto di convergenza si trovava il cancello di villa Corsini; di lì alla palazzina, fiancheggiato da alberi e da cespugli fitti, c'era un viale carrozzabile di 200 metri, tutto in salita.
Dietro il Casino dei Quattro Venti Monteverde digrada in una valle, invisibile dalle mura. Li erano allineate le riserve - migliaia di uomini della fanteria e delle cavalleria - che Oudinot aveva fatto avanzare nella notte, di rincalzo ai gruppi d'assalto impadronitisi della palazzina. Se quell'imponente forza di fuoco, protetta dall'altura e dal casino dei Quattro Venti, avesse potuto nelle ore e nei giorni successivi trincerarsi, organizzarsi e avanzare, le mura introno a S. Pancrazio sarebbero state sottoposte ad un assedio ravvicinato e insostenibile. Se il casino dei Quattro venti e la sua altura, invece fossero tornati nelle mani dei difensori, l'intera valle sotto Monteverde, compresa villa Pamphili sarebbe stata sotto controllo, e l'avanzata degli assedianti si sarebbe svolta in condizioni ben più difficili.
In base a queste decisive valutazioni strategiche Garibaldi prese all'alba la sua decisione: "Senza indugio, sperando non fosse ancora fortemente occupato, io feci attaccare il Casino dei Quattro Venti. Là sentivo esser la salvezza, se nostro, o la perdita di Roma, se rimaneva in potere del nemico".
(Estratto dal libro di Claudio Fracassi "La meravigliosa storia della Repubblica dei Briganti" Mursia 2005 Milano)

La REPUBBLICA ROMANA raccontata da CESARE PASCARELLA

CLVII

E noi come sentissimo er cannone
Ch’era l’allarme de li tradimenti,
Trombe!... tamburri! ... Fra la confusione
De staffette, de strilli, de lamenti,

Se seppe che er nemico era padrone
Già der Casino de li Quattro Venti.
Pe’ riportaje via la posizione
Se cominciorno li combattimenti.

E dar primo momento che sorgeva
La luce, che s’uscì for da le Porte,
Fino all’urtimo che ce se vedeva,

Se fece tutto!... Ma nun ce fu verso
De spuntalla! Fu preso pe’ tre vorte
De fila e pe’ tre vorte fu riperso.

CLVIII

Eppure, come daveno er segnale
(Mentre da le finestre e le ferrate
Veniva giù l’inferno!), dar viale
Se rimontava su le scalinate;

S’entrava ner portone, pe’ le scale,
Pe’ le camere, fra le baricate
De sedie e tavolini, pe’ le sale,
A mozzichi, a spintoni, a sciabolate,

Co’ qualunqu’arma, come se poteva,
Fra fiamme, foco, strilli, sangue, morte,
Se cacciaveno via; se rivinceva;

Se rivinceva; ma nun ce fu verso
De spuntalla. Fu preso pe’ tre vorte
De fila e pe’ tre vorte fu riperso.

CLIX

L’urtima, er tetto in cima già fumava;
Travi, soffitti, mura s’abbruciaveno,
Pe’ le camere ormai se camminava
Su li morti che se carbonizzaveno;

E a ‘gni razzo, a ‘gni bomba che schioppava
Ne le camere che se sfracellaveno,
Mentre che se feriva e s’ammazzava,
Travi, soffitti... giù!, se sprofonnaveno.

E pure, sai? Finché nun fu distrutto,
Finché ce furno muri, scale, porte
Pe’ ripotecce entrà’, se provò tutto;

Se provò tutto; ma nun ce fu verso
De spuntalla. Fu preso pe’ tre vorte
De fila e pe’ tre vorte fu riperso.

CLX

E perduta che fu la posizione,
Che se pò dì’ se l’ereno rubata,
Per quanto ch’uno avesse l’intenzione
Che la difesa fosse seguitata,

Nun c’era più da stasse a fa’ illusione:
Perché ‘na vorta persa la giornata
Der tre giugno, pe’ Roma era questione
De tempo, ma la sorte era segnata.

Perché, senza contà’ la gente morta,
Er terribile ch’era succeduto
Era che, de noi antri, for de Porta

Nun c’era più che Medici ar Vascello.
Er resto tutto quanto era perduto.
Nun ce restava in piede antro che quello.

CLXI

Ma ce rimase lì fino a la fine:
Fin che er muro, li sassi, li mattoni,
Fin che le pietre de li cornicioni
Nun staveno giù drento a le cantine.

E lì, fra assarti, mine, contromine,
Tutti li reggimenti e li cannoni,
Fin che nun volle lui, non furno boni
De fallo scegne’ giù da le rovine.

Ché, dar principio che ce s’era messo,
Più loro li francesi ce provaveno
A cacciallo, e più lui sempre lo stesso.

Imperterrito sempre e sempre in cima
A le macerie, se lo ritrovaveno
‘Gni giorno sempre lì peggio de prima.

CLXII

E per quanto ‘na forza strapotente
Lo strignesse così, ch’uno pensava
Che, insomma, via, nun fosse umanamente
Possibile de stacce, lui ce stava.

E più che quello lì lo subissava
De ferro e foco e j’ammazzava gente,
Più che j’annava sotto e l’intimava
De lassallo, e più lui Medici gnente.

Lo lassò. Solo all’urtimo momento;
Ma perché Garibardi, da le Mura
J’impose de lassallo e tornà’ drento.

Allora lo lassò. Sortanto allora;
Si no, Medici, quello era figura
Che lì ar Vascello ce starebbe ancora.

CLXXVII

Razzi e bombe fioccaveno! Ma pure
Framezzo a le rovine e li sfaceli
De li palazzi, in mezzo a le paure
De quell’urtimi strazi più crudeli,

Nun se cedeva. E er Pincio e l’antre arture,
La Trinità de Monti... a l’Areceli
S’empiveno de donne e de crature
Che cantaveno l’inni de Mameli.

Li cantaveno tutti! E intanto quello
Che li scriveva, consunto dar male,
Co’ na gamba taiata, poverello!,

Dar giorno che fu fatta la sortita
Der tre giugno, languiva a l’ospedale
In un fonno de letto in fin de vita.
 

CLXXXI

E come risentivi dì’: Fratelli
D’Italia
..., rivedevi tutti quanti
Co’ l’accétte,li sassi, li cortelli,
Corre’ a le Mura e ributtasse avanti:

Tutti li rivedevi!... Fino quelli
Chiusi ne l’ospedali, agonizzanti,
Li rivedevi pallidi, tremanti
Scegne’ da letto e uscì’ da li cancelli;

Rivedevi li morti insanguinati
Che riapriveno l’occhi, se riarzaveno
Da per terra dov’ereno cascati,

E senza sentì’ più li patimenti
De le ferite, se ristracinaveno
Su le Mura e moriveno contenti.