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Pietro da Cortona a Roma

Chiesa di San Luigi dei Francesi: Il Martirio di San Matteo - Caravaggio
Chiesa di Santa Maria della Pace: Pietro da Cortona

Per chi si volga a studiare lo siile e il significato storico delle architetture di Pietro da Cortona la cosa appare dapprima abbastanza complicata: e questo particolarmente qualora si tenda a considerare il Cortona puramente c semplicemente come uno dei grandi maestri del barocco, come un creatore di deliri fantastici, di tumulti compositivi.
Un artista — si potrebbe dire — che si manifestò con tanto calore, con tanta carnosa ridondanza, con un fare così scenografico ed esuberante come nella stupenda macchina di forme e di colori ch'egli architettò nella volta di Palazzo Barberini è veramente uno dei più caratteristici barocchi.
Ma quando nel seguire lo svolgimento della sua arte, ci troviamo di fronte alle sue opere più avanzate, ci appaiono forme ed espressioni che vengono a turbare quanto avevamo prima pensato, che ci mostrano quanto sia semplicistica quella nostra definizione antecedente.
Se vorremo ora provarci a fare qualche osservazione sulle architetture di Pietro da Cortona non potremo fare a meno di ripensare, sia pure di scorcio, quelle singole opere nelle quali lo stile del maestro s'incarnò.
Non siamo qui a considerar tali opere quasi unità perfettamente scisse e delimitate nella loro compiutezza, bensì esse ci appaiono quali momenti di una stessa anima che si diversifica nel suo concretarsi pur serbando quel nesso che collega le sue opere e fa ch'ella sia pur sempre Lei.
Ora fin dalla sua prima opera di architettura, l'arte di Pietro da Cortona ci appare come avente in sé quei caratteri che poi m manifesteranno con profonde espressioni. In quella villa detta del Pigneto che il maestro architettò intorno al 1625-30 per i suoi protettori, i signori Sacchetti, fuori di porta Angelica, apparivano, per quanto ne sappiamo dalle stampe rimasteci, motivi di più sorta.
Com'è noto un grande nicchione. certo ispirato dallo studio di quello del Belvedere, formava quasi il culmine di tutta la composizione architettonica della villa aprendosi nel centro del palazzotto per l'altezza di due dei tre ordini dei quali questo era formato. Le ali di portici che si stendevano aprendosi con forte incurvatura ai lati dell'edificio, lo spiazzato che convesso si protendeva innanzi alla villa, le scalinate e le rampe che molteplici univano il piano del palazzo a quello del giardino inferiore, le fontane e le vasche che rendevano l'insieme "delizioso per scherzi d'acque" erano tutti elementi per spaziare e colorire la composizione con senso vivace del pittoresco.
D'altra parte l'insieme era alquanto composto e armonizzato, le curve si completavano, i movimenti si bilanciavano con sapienza grandissima.
Vedremo in seguito quale importanza abbia tutto ciò.
Non è qui il caso di trattare la questione relativa a quanto il Cortona abbia contribuito alla costruzione di palazzo Barberini e circa quanto vi sia di vero nelle parole di Luca Berrettini e neppure ci si può trattenere sulla scenografia o architettura posticcia che il maestro eresse nel 1633 in S. Lorenzo in Damasó, accomodando la Chiesa «...in forma di teatro con colonnate, nicchie et statue de santi dorate con altri hornamenti, rappresentandosi all'altar maggiore raggi di sole, in mezzo de' quali era posto il Santissimo Sacramento sostenuto da due grandissimi angeli... » o sul modello di altare per la chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, che il Pollak ci rese noto insieme alla scenografia precedente.

Pietro da Cortona:  Roma. SS. Luca e Martina: facciata
Fig. 1 - Pietro da Cortona:
Roma. SS. Luca e Martina:
facciata

Veniamo ad indugiarci invece sulla prima grande architettura del Berrettini: la chiesa dei SS, Luca e Martina (1634-1640 c). Grande è il significato di questa opera che tutti ben conoscono, nella sua complessa unità, nel valore al quale giunse in essa l'espressione del maestro. Già dall'esterno appare il bello ed armonioso stile del Cortona, nella facciata e nella cupola (fig. 1), sebbene un po' grevi d masse. Serrato e contenuto agli estremi da due zone rettilinee, rilevate di stese paraste nei due ordini che le compongono, s'inarca il corpo centrale del prospetto, curva onda di pietra, che ancor più accentua il sin 1 significato plastico nella protesa dille mezze colonne nel primo ordine, nell'aggetto più netto e staccato dei mezzi pilastri del secondo ordine. L'artista si compiacque quasi in quel movimento di onda che gli reca le masse dalle zone dell'ombra alla luce. Fece uso di decorazioni di gigli leggiadramente accolti negli ovali delineati con molteplicità di cornici e tenni incavi nel secondo ordine centrale, di tumidi rami intrecciati nell'alto dell'incorniciamento della porta nel centro, di faci agitate con squassati pennacchi a coronare i corpi laterali dell'insieme, di angeli stesi sul sommo del frontispizio centrale a fiancheggiare il contorto stemma inserito nel suo frangimento. Pure questo è significativo.
Anche l'esterno della cupola appare felice. Un senso di solidità spira nell'insieme: nessuno slancio verticale, bensì gravezza di massa in cui s'imposta il gioco dei piani con aggetti nettamente protesi. Il senso di peso è diminuito dal tumido gonfiarsi delle volute formanti la lanterna, dalle sinuosità della fascia che collega al tamburo la cupola e ne prepaia !a rotondità.
Ma il più bell'effetto di questa architettura è quello che presenta l'interno della chiesa superiore. L'insieme è dominato dalla vasta concavità della cupola ingrandita dal biancore degli stucchi, foggiati in festoni di fronde che la scompartiscono, in grandi rose che si sollevano con effetto pittoresco dagli spazi incavati ad accoglierle. E la concavità della cupola riecheggia in quella dei quattro catini absidali, le sue curve si ripetono e si completano nelle curve delle volte, nelle fasce molteplicemente delineate delle bianche cornici.
Collegato in un nesso di armoniosità incomparabile dallo schema compositivo della croce greca sormontata dalla cupola, si esprime con vivacità e freschezza questo poema plastico, questo euritmico accordo di spazi. Aggetti di snelle colonne ioniche, di pilastri in fascio, di archi che s'incurvano nelle volte, incavi di nicchie e di finestre, producono un mosso insieme.
Non è qui il caso di esaminare certi particolari decorativi, come i bellissimi pennacchi in stucco, certi singoli motivi magari non del tutto felici, come le un po' affastellate decorazioni dei catini absidali pur non con "bestiali affardellamenti" come voleva il Milizia; ripensiamo l'insieme nella sua unità compositiva.
La continua ricerca di mossa plasticità, che dà luogo a quel dolce alternarsi cadenzato di luci e d'ombre, la vediamo svolta e immedesimata in un insieme euritmico che ha qualcosa di rinascimentale. Basti pensare alla pianta. Ora si potrebbe opporre: la cosa è ben diversa, l'architetto della Rinascenza prendeva tale schema costruttivo della croce greca sormontata da cupola, avente in sé qualcosa di circolare e di perfetto, come una logica misura a concretare quella visione di compiuta e impassibile bellezza ideale classica (2) che dalla sua fantasia balzava quasi contenuta in divino rapporto di numeri: il Cortona invece — si potrebbe opporre — prendeva tale pianta come un ingegnoso ed acuto espediente per raggiungere un bell'effetto decorativo e scenografico sì che
da un sol punto centrale apparissero, nell'insieme spazioso, le masse e le luci in culmine d'effetto.

(2) Si noti bene che qui si usa l'aggettivo classico non in senso cronologico, ma bensì critico e qualitativo. Così, ad es., molte opere d'arte del mondo cosidetto classico sono tuttaltro che classiche.

Ma questo qualcosa di rinascimentale si manifesta non solo nella pianta, astrazione della vera opera d'arte, che per sé non basterebbe, ma proprio nello stile concreto dell'insieme, nell'espressione intesa nel senso più spirituale. E questo appare anche nella facciata, e nella cupola, accanto a quegli elementi più propriamente barocchi che abbiamo notato, nel ritmo dell'insieme. Ora non giungiamo addirittura a vedere in S. Luca «...comme une suite de l'art de Palladio, une reprise de San Giorgio Maggiore et du Redentore... », come voleva il Reymond, v'è di mezzo un calore, una ridondanza barocca che nulla hanno a che fare col Palladio; sua tuttavia il Reymond, così spesso fine ed acuto nelle sue osservazioni, magari sotto l'abito di una apparente facilità, anche qui ha colpito in gran parte nel giusto, notando quanto di classico vi sia nell'opera.
Prima ancora della chiesa alta Pietro da Cortona iniziò la costruzione di quella inferiore, con le cappelle per i santi dei quali si rinvennero allora i corpi. Anche qui l'arte del maestro raggiunge espressioni assai armoniose nella cappella grande, dalle pareti così classicamente spartite, dominata da quel fastosissimo altare centrale, vera meraviglia di sapienza decorativa. Ma forse ancor più vivace e spaziosa d'effetto è quella specie di prima cappella ottagona, avente per quadro d'altare il finissimo rilievo dell'Algardi, con gioco gustoso di pieni e di vuoti, con colonne smussanti gli angoli delle pareti (variate nella loro stesa da nicchie con statue piuttosto composte), con decorazioni in stucco, come il fresco anello floreale che cinge la finestra tonda che s'apre nella chiesa superiore. Anche in questa chiesa inferiore notiamo talora, fusi nell'unità dell'insieme, accenti particolarmente barocchi: frontispizi che si spezzano ad accogliere auree conchiglie, festoni che con molli ondulazioni diminuiscono la rigidezza di certe linee, effetti prospettici nelle volte, ricerche di spazio nell'insieme.
Lo stile della chiesa di S. Luca lo ritroviamo nel monumento sepolcrale di Asdrubale Montanti in S. Gerolamo della Carità, in quel prospetto architettonico sormontato da un frontone di vivacissimo rilievo variato dal frangersi della cornice superiore, con lo stemma del defunto nel sommo, vasi con fiaccole ai lati, un senso finissimo dei rapporti armonizza l'insieme e ne fa un'opera assai bella. Vi si nota una qualche ricerca di grandiosità in quei volumi che così significativamente si affollano nell'alto ricordando certi particolari della cupola di S. Luca. Opere invece inferiori sono la cappella della Concezione che il maestro cortonese costruì in S. Lorenzo in Damaso, i due uguali monumenti sepolcrali in S. Lorenzo fuori le mura e non m'indugio su di esse. Parecchi anni erano trascorsi ormai dal tempo di S. Luca, quando rivediamo Pietro da Cortona riprendere in Roma la sua opera architettonica.
La sua personalità si era notevolmente svolta con mutamenti assai significativi.
Chi non vorrebbe ora pensare a quanto di architettura v'è nelle grandi opere decorative a palazzo Barberini, a Pitti, nella Chiesa Nuova, nella galleria Pamphilj? Quel formidabile senso compositivo che vince ogni difficile trapasso e collega sapientemente in unità le molteplici scene, i motivi svariati della scenografia pittorica non è, in fondo, che architettura.

Pietro da Cortona:  Roma, Palazzo Barberini. Salone: particolare della volta
Fig. 3 - Pietro da Cortona:
Roma, Palazzo Barberini. Salone:
particolare della volta.

L'inquadramento e l'ordine dei cumuli di forme vive che spaziano la volta barberiniaria con intrichi di corpi attorti aventi qualcosa d'orientale (fig. 3), mentre che dagli sfondi appaiono scene ora mosse con ritmo tumultuoso or più dolcemente composte, tra stupefacenze di luce e di colore, non potevano nascere che da un intimo senso architettonico. Ripensiamo alle architetture di stucco che con vivacissimo rilievo incorniciano le volte di talune sale di Pitti, specie quelle di Venere e di Giove, variate da medaglioni, da putti, da conchiglie, da festoni di fronde e di frutti, con baleni di luce nella profusione degli ori, ed intimi nessi che le collegano al trionfo di colori caldi e chiari, alla vivacità compositiva degli affreschi. Come non vorremmo pensare a quanto di architettura v'è in tali accordi decorativi? Ed anche la grazia, elegante con cui il maestro cortonese spartì le scene nella galleria pamphiliana, curvando i corni delle cariatidi a regger gli ovali inquadrati di fronde e di cornici, componendo conchiglie e festoni, senza più la corpulenta ridondanza della volta dei Barberini, è un segno del suo nuovo spirito architettonico.
Ora quando ci si presenta un po' aspro il passaggio dallo stile di S. Luca a quello di S. Maria della Pace e di S. Maria in Via Lata è proprio lo studio degli svolgimenti compositivi nell'arte pittorica del maestro quello che ci fornisce i nessi e ci rende più naturale l'apparire delle nuove creazioni.
Tralasciando le opere minori della cappella del Sacramento in S. Marco e del sepolcro De Amicis alla Minerva, non svolgendo la questione dell'attribuzione della cripta di S. Martino ai Monti che a me pare per più ragioni opera di quello stesso Gagliardi che rifece la chiesa superiore, veniamo a considerare in breve le opere del secondo periodo romano del maestro.

Roma, Santa Maria della Pace: facciata
Fig. 4 - Pietro da Cortona:
Roma, Santa Maria della Pace:
facciata.

Nessun altro architetto del seicento raggiunse una così perfetta espressione di spazio armonioso come il Cortona nella facciata di S. Maria della Pace (1656-57). Si sente quasi palpitare nella pietra la gioia dell'artista nell'approfondire la composizione nel crearle un orizzonte singolarmente lontano, nell'esprimere con vivacissimi effetti d'ombra e molteplicità di piani quella sua fantasia plastica. (fig. 4) Ma nel crearle lo spazio egli non volle che con impassibile serenità vi s'inserissero cristallini volumi, ma nello spazio diede vita al movimento, avvolse in un ritmo di moto tutta l'opera, animandola.
Ora si noti quanto singolarmente circolare è il motivo di movimento che risona nell'insieme della bella armonia, nella protesa del portichetto del primo ordine, nella concavità dello sfondo del secondo; questo schema di circolarità, che vedemmo già dare uno speciale significato all'interno di S Luca, qui ci si ripresenta, se pur maggiormente spezzato dalle variazioni che racchiude. Ora tutto ciò ben si accorda alla sapientissima maniera con cui il cortonese seppe d'altra parte fondere gli slanci delle linee, la stesa delle supertici, l'appesantirsi dei volumi. Mentre in S. Luca si sente un prevalere delle masse, qui il maestro raggiunse un più perfetto accordo di espressioni.

Pietro da Cortona:  Roma, Santa Maria della Pace: portico.
Fig. 4a - Pietro da Cortona:
Roma, Santa Maria della Pace:
portico.

Anche in questa opera si rivelò insieme all'architetto il pittore, il modellatore. Quegli specchi di pietra posti con pittoresco adattamento delle venature dei massi nel centro del secondo ordine e lisciati sì che la luce vi slitti o vi si rifletta con bagliori, le fresche decorazioni degli stucchi, i putti che reggono i tondi con i ritratti dei pontefici, con la stesa dei corpi mollemente commentata da festoni di fronde, la bianca e grigiazzurra decorazione della volta del portichetto nel basso, gli ornati dell'interno, manifestano la spiritosa fantasia decorativa del maestro. E quel fine compositore di trapassi che nella volta barberiniana aveva vinto le durezze degli angoli con spirali di corpi (fig. 3) seppe qui venir gradatamente dalla facciata dell'edificio ai suoi lati con accordi di colonne libere e di pilastri che formano un bel digradare e superano ogni rigidezza.

E chi mai avrebbe sì bene ambientato la sua opera fondendola intimamente alla costruzione primitiva? La bassa cupola a calotta dell'edifìcio, anteriore all'opera del maestro, appare nell'insieme con tale naturalezza, la sua funzione ha qualcosa di sì necessario, da giustificare la leggenda che ne fece il Cortona il costruttore. Certo se egli non la costruì materialmente la seppe intendere e ricreare dandole un nuovo valore nell'insieme.

Pietro da Cortona:  Roma, Santa Maria in Via Lata: facciata.
Fig. 5 - Pietro da Cortona:
Roma, Santa Maria in Via Lata:
facciata.

Nonostante il breve tempo che separa la chiesa della Pace dalla seguente grande opera di Pietro da Cortona, S. Maria in Via Lata (1658-62), pur lo stile del maestro si manifesta notevolmente svolto verso nuovi orizzonti, il suo classicismo tende a palesarsi in modo ormai preponderante.
Innanzi a tale opera veramente mirabile tutti sentono con quanta maestria l'artista seppe concretare quell'arioso duplice portico (fig. 5) dagli intercolunni sapientemente variati, si da non produrre monotonia, serrato tra le due zone in pieno solidamente piantate ai suoi lati. Il cortonese sia pur riprendendo motivi romani si mostra qui così personale, sa infondere un palpito di vita così suo, compone questa opera con un fare così respirante, da potersi ben dire che egli assorbì e trasformò ogni antecedente.
(Non credo dover insistere sui rapporti in generale dei barocchi con i precedenti storici, con le fonti, per così dire, di taluni loro motivi. Come sarebbe erroneo voler prendere alla lettera chi cercava le origini del barocco nei monumenti arabi ed asiatici (A. Ricci), od orientali in genere (Raymond), così sarebbe poco preciso vedere deterministicamente sui barocchi l'influsso di certe architetture romane o dell'Asia Minore. Le vere fonti dei secentisti le dobbiamo trovare in loro stessi, nella loro fantasia. Del resto anche se essi si volgevano ad imitare opere orientali o dell'impero erano pur sempre loro che vi si volgevano ed in tanto davano ad esse un nuovo valore in quanto vi vedevano rispecchiate le proprie necessità spirituali.)

Pietro da Cortona:  Roma, Santa Maria in Via Lata: facciata.
Fig. 5a - Pietro da Cortona:
Roma, Santa Maria in Via Lata:
facciata.

Genialissimo quel frontispizio che forma il vertice della composizione accompagnato con slancio unanime dall'arco vigoroso che si protende nel suo timpano.
L'accordo verso l'alto di cornici ad angolo ed in curva che vediamo pure nel frontispizio della Pace appare qui con maggior fusione, con effetto più robusto. La ricerca di slancio che alla Pace si era concretata con un qualche sapore borrominiano nel secondo ordine della facciata, si manifesta qui in un agile classicismo di carattere del tutto nuovo e individuale. Quella certa vivacità espressiva dell'insieme, le bellissime decorazioni delle volte del portichetto (particolarmente nel basso), la floridezza dei capitelli, le fiaccole agitate sugli acroteri danno una particolare animazione a questa opera.
(Il Cortona pensò pure a decorare in parte l'interno della stessa chiesa. In un foglio della collezione degli Uffizi si vede un motivo decorativo che fu svolto ad ornare le pareti delle navi laterali. Tra un altare e l'altro - altare sormontato nel quadro da un duplice timpano - paraste inquadrano le aperture delle cappelle con capitelli aggraziati che tuttora si conservano. Nella parete tra cappella e cappella s'apre in basso una porta sormontata da un tondo, nella chiesa attuale riempito da un quadro sostenuto ai lati da angeli dorati, completamento posteriore.
Sul tondo si apre una curva grande finestra chiusa da sbarre di ferro poste a raggerà, come attualmente.
Anche nel bel palazzetto che Pietro da Cortona si eresse (1660) per abitazione vediamo un ritmo di slanci armoniosi, degli accordi sì felici che ci fanno rimpiangere vivamente la sua perdita.
Non è questo il luogo di una minuta discussione circa l'opera del Cortona per la cupola di S. Carlo al Corso. A me sembra che non vi sia in fondo ragione d'opporsi alla tradizionale attribuzione, infinite volte ripetuta dalle guide e dagli scrittori, che trae le sue origini dall'affermazione del Titi e trova sua conferma nella ben nota lettera di Luca Berrettini a Ciro Ferri. Questo specialmente quando si consideri che la cupola, per la quale s'iniziò l'opera nel 1665, come risulta dall'archivio di S. Carlo, certamente dovette in gran parte esser costruita dopo la morte di Pietro da Cortona. Così si potrebbero spiegare certe povertà di decorazione specie nella fascia che collega il tamburo alla cupola, certi poco felici rapporti che a prima vista danno qualche turbamento e spiegano i dubbi del Pollak - e del Munoz.
Il maestro se vi operò dovette lasciare qualche schizzo d'insieme al quale si attennero i suoi continuatori.

Pietro da Cortona:  Roma, San Carlo al Corso: cupola.
Fig. 6 - Pietro da Cortona:
Roma, San Carlo al Corso:
cupola.

La cupola di S. Carlo (fig. 6) ben si accorda a quell'ultimo periodo dell'arte del Cortona in cui il nostro architetto venne sempre più a svolgere le sue tendenze classicistiche sì da quasi sopraffare quanto nel suo carattere v'era di secentista. Noi vediamo nel tamburo della cupola di S. Carlo quasi un portico circolare inalzato sul sommo della chiesa e con tale sviluppo che forse troppo facilmente regge la cupola di scarso volume che lo sormonta. Il carattere di quest'opera che fa ben comprendere come piacesse al Milizia, si accorda assai bene con l'opera più bella e più significativa di questi ultimi anni del Cortona: la cappella Gavotti in S. Nicola da Tolentino (1668 e segg.).
Il maestro raggiunge qui degli effetti vigorosi, delle espressioni plastiche intense che fanno ben porre questa architettura tra le sue cose migliori.
Si noti con quanta grandiosità si pongono le grandi colonne incastonate nelle pareti laterali. Tra di esse s'aprono, una per parte, quelle alte nicchie rettangolari coronate triangolarmente, con sottili cornici e snodarsi di ovoli e fuseruole, che acquistano un carattere ancor più classico dal liscio biancore del marmo al quale dà valore la generale policromia del rimanente. Sì che la sta- tua bellissima del Battista, di Antonio Raggi, sembra quasi troppo agitata nel suo rigido campo, mentre assai più vi si adatta il compassato S. Giuseppe del Ferrata. Ed anche nell'altare si nota un certo massiccio classicismo, nelle grosse colonne libere sormontate dal rigido coronamento senza frangimenti di sorta.
La stessa tendenza stilistica la troviamo nell'altare di S. Francesco Saverio eretto (1074) dopo la morte di Pietro da Cortona (1660) su suoi disegni, nella chiesa del Gesù. Nessuna massa vi è collocata prospetticamente di sghembo, com'era sì consueto in quel tempo, nessuna colonna si avanza o retrocede con animazione, ma tutte si allineano sulla stesa di un medesimo piano. Si sente anche qui una certa gravità solenne che ancor più appare di fronte al barocchissimo altare di fratel Pozzo con quel senso di gioia coloristica e di movimento vivacissimo che anima l'architettura come i gruppi scultorei dei lati, come le pitture della volta. Quel residuo barocco del macchinone in stucco che appare nell'alto dell'altare cortonesco appare ben caratteristico. L'abbia disegnato il maestro o derivi da coloro nei quali si continuava la sua arte, certo sì è che colui che non sapeva più animare tali effetti scenografici era in fondo uscito dal barocco.
Già attraverso queste brevi osservazioni mi sembra che ci sia apparsa in una qualche evidenza individuale la figura del Cortona architetto. Abbiamo visto come in ogni sua opera, se pur in diversa misura, troviamo fuse in una intima unità espressioni classiche ed espressioni barocche, ricerche euritmiche e ricerche d'intensità d'effetto, È ben vero che in fondo l'elemento barocco riesce ad avere il sopravvento e l'artista cortonese ben ci si manifesta figlio del suo tempo e della sua civiltà, ma il suo spirito toscano, le sue basi classiche certo ritemprate nello studio delle antichità romane, diedero al barocco del maestro una misura così particolare da costituire veramente la sua personalità di compositore. Egli ci appare come un singolare ricercatore di armoniosità, un vero uomo della Rinascenza convertito al barocco. Non fu egli ad accentrare tutta la espressione in un motivo trascinante, a dominare le sue armonie con pochi squilli fondamentali, ma fuse le parti con legami di reciprocità, uni i movimenti in una unità circolare e con attacchi graduti svolse da motivo motivo. Nessun grido eccessivo, ma un movimento dolcemente ritmato, con cadenze d'una semplicità che par naturale ed è sapientissima, una misura nobile ed ariosa che compenetra ogni vivacità secentista.
Assai notevole è come l'armoniosità cortonesca si realizzi nelle vivacità dei movimenti, abbia in sé un carattere dinamico, non s'imposti in una impassibile quiete.
Tuttociò pone il nostro artista in una posizione particolare che lo differenzia vivamente dai suoi grandi contemporanei: il Bernini ed il Borromini.
Il Bernini operò generalmente a comporre grandi masse assoggettate ad un motivo unico e vivacissimo, vuotate completamente di ogni greve pesantezza nella impetuosità del movimento; il suo accordo è pieno e cantante, grandiosamente clamoroso, quasi come certe trombe straussiane, si da far quasi sembrare compassate, al confronto, le architetture cortonesche. Ma ben più che dal Bernini il nostro artista si differenzia dal Borro- mini. Onesti appare di una modernità radicalmente rivoluzionaria, spezza ogni tradizione in quel suo comporre inesorabilmente astratto che lo porta a far nascere con novità profonda tutto un mondo di meraviglie. Fu egli che dando un nuovo valore all'elemento linea fece irrompere nelle sue costruzioni vere correnti di velocità, e portò le sue espressioni a quel noto senso di verticalismo, nello slancio di tale elemento verso l'alto. Allo stesso modo nessun artista del Seicento ebbe una sì viva gioia di far spiccare acutezze e contorcimenti di profili, spirali ed inarcamenti.
Così egli ripetutamente delineo e squadrò le sue masse talora facendo loro perdere ogni gravezza sì da assumere esse la loro massima espressione nelle superfici, stese tra pilastri o colonne con scatto d'incurvature. Ora di fronte a certe genialità borrominiane il Cortona appare conservatore, la sua opera non è in guerra con la tradizione ma ne fiorisce fresca e nuova traendone vita e alimento, Del resto questa è proprio una caratteristica del Cortonese: la sua potenza di assimilazione. Onesta ci appare evidente anche nella sua opera pittorica, nel modo con cui seppe trasformare e fondere in uno stile personalissimo elementi veneti e carracceschi, correggeschi e manieristici. Del resto, in fondo, le qualità di armonizzatore e di assimilatole sono ben d'accordo tra loro si tratta di una stessa posizione spirituale. Ora la personalità del maestro, che abbiamo già notata nel suo svolgimento consistente nel passaggio dal prevalere del secentismo a quello del classicismo, ci appare sempre costantemente preoccupata anzitutto di un problema fondamentale: la concretezza delle singole opere. Non egli si preoccupa di scegliersi e d'innovare i singoli motivi, le frasi particolari; dategli qualsiasi elemento, per quanto non più nuovo, ed egli con bravura inverosimile ve lo trasformerà e ve lo farà comparire rinnovato nell'unità complessa dell'opera.
In tal modo il maestro che ben poco ci appare come un rivoluzionario quando si considerino i suoi nessi con la tradizione, ci si manifesta come un grandissimo e profondo innovatore quando si considerino la singolarità e l'armoniosa bellezza delle sue opere concrete, il valore delle sue espressioni. Ora è proprio qui che in fondo consistono le rivoluzioni degli artisti: nelle espressioni concrete. Quando un problema di forma che già si era manifestato negli immancabili precursori giunge nella personalità di un artista a quella profonda concreta coscienza che è per sé soluzione, allora sorgono le opere d'arte ed i valori estetici.

Vittorio Moschini - L'arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna - 1921