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Domenichino a Roma

Vita e opere

Domenichino a Roma
Domenichino a Roma

Chiesa di Sant'Andrea della Valle:

affreschi, nei pennacchi della cupola vangelisti 1621-28; nel catino absidale Storie di sant'Andrea, Virtù e due nudi; 1623–1628.

Chiesa di San Carlo ai Catinari:

Allegorie della Fortezza, della Giustizia, della Saggezza e della Prudenza.

Chiesa di San Gregorio Magno,

Oratorio di San Andrea: Martirio di sant'Andrea, affresco, 1609.

Chiesa di San Lorenzo in Miranda:

Madonna col bambino e i santi Filippo e Giacomo, 1626-1627.

Chiesa di San Luigi dei Francesi,

Cappella Polet: affreschi, 1612-1615.

Chiesa di Santa Maria degli Angeli

Martirio di san Sebastiano, olio, 1625-1630.

Chiesa di Santa Maria della Concezione:

Stimmate di san Francesco

Chiesa di Santa Maria della Vittoria,

Cappella Merenda: Estasi di san Francesco; Stimmate di san Francesco, affreschi in collaborazione con Antonino Barbalonga; La Madonna col Bambino appaiono a san Francesco.

Chiesa di Santa Maria in Trastevere:

Assunzione della Vergine, 1629–1630.

Chiesa di Sant'Onofrio:

Battesimo di san Gerolamo; Tentazione di san Gerolamo; Visione di san Gerolamo, affreschi nelle lunette del portico; Madonna di Loreto e angeli.

Basilica di San Pietro in Vincoli:

Liberazione di San Pietro, Ritratto di Girolamo Agucchi.

Chiesa di San Silvestro al Quirinale,

Cappella Bandini: tondi nei peducchi della cupola con Giuditta con la testa di Oloferne; La danza di Davide, affresco, 1628.

Galleria Borghese: La caccia di Diana; La sibilla cumana

Galleria Doria Pamphilij: Paesaggio con guado; Susanna e i vecchioni, recentemente attribuita ad Annibale Carracci.

Galleria nazionale d'arte antica di palazzo Barberini: Fuga in Egitto; Sant'Agnese

Galleria Pallavicini: Il peccato originale.

Galleria Spada: Ritratto di Paolo Spada

Palazzo Costaguti: affresco con Il Tempo che svela la Verità (in collaborazione con Agostino Tassi.

Palazzo Farnese, Galleria Farnese: affreschi (attribuiti) sotto la supervisione di Annibale Carracci: Allegorie; Andromeda e Perseo; Diana e Callisto; Donna con l'unicorno; Prigioni; Apollo e Giacinto; Morte d'Adone.

Palazzo Mattei di Giove, Camerino di Rachele e Giacobbe: affreschi.

Palazzo del Quirinale: Cristo deriso.

Palazzo Rospigliosi-Pallavicini: Santa Cecilia, in collaborazione con Antonino Barbalonga.

Pinacoteca Capitolina: Sibilla cumana.

Casino Ludovisi, Camerino dei Paesaggi: Paesaggio, affresco

VITA E OPERE DI DOMENICHINO

(Domenico Zampieri, detto il DOMENICHINO) (Bologna 1581 - Napoli 1641).

Dopo un breve apprendistato presso il manierista Calvaert, che non lasciò praticamente tracce su di lui, intorno al 1595 si trasferí presso l’Accademia degli Incamminati, dove rapidamente si distinse come eccellente disegnatore e prese parte, con la bottega carraccesca, alla decorazione dell’oratorio di San Colombano (Deposizione nel sepolcro).

Poco dopo (1601) si recò a Roma, nell’ambiente allora dominato da Annibale Carracci con il quale collaborò. I suoi primi dipinti romani sono rappresentati dalla Fanciulla con il liocorno e dal Perseo libera Andromeda (1604-1605) in palazzo Farnese; nel 1609 con l’Albani partecipò alla decorazione del castello Odescalchi a Bassano di Sutri. Benché abbia in prevalenza praticato la pittura monumentale a soggetto aulico, Domenichino fu ugualmente uno straordinario paesaggista, autore di tele nelle quali all’intonazione nobile e classica, nella linea del «paesaggio ideale» carraccesco, si unisce una fresca osservazione della realtà e un profondo senso della bellezza della natura. Gli esempi piú importanti del paesaggio domenichiniano sono il Guado (Roma, Gall. Doria Pamphili), San Gerolamo (Glasgow, ag), il Battesimo nel fiume (Cambridge Fitzwilliam Museum), le due Storie di Ercole, la Fuga in Egitto e Erminia tra i pastori (tutte e quattro a Parigi, Louvre).

Il primo reale successo pubblico del Domenichino , un affresco con la Flagellazione di Sant’Andrea nell’oratorio di Sant’Andrea in San Gregorio al Celio, a Roma, venne eseguito nel 1608 (in concorrenza con Guido Reni, che lavorava alla decorazione della parete di fronte).

Vengono poi i suoi capolavori: gli affreschi della cappella di san Nilo nell’abbazia di Grottaferrata presso Roma (1608-10) e quelli della Cappella Polet, dedicata a santa Cecilia, in San Luigi dei Francesi a Roma.

Prima di portare a termine le Storie di santa Cecilia (1612-15), Domenichino aveva iniziato una pala d’altare con l’Ultima comunione di san Gerolamo (Roma, pv), opera di brillante cromatismo, insolito in un artista che, paesaggi a parte, appariva pienamente aderente al rigore delle norme classicheggianti elaborate sull’esempio dell’antichità e di Raffaello. La stessa forza pittorica, caratteristica di questa fase del suo percorso, informa i due grandi affreschi di San Luigi dei Francesi (Elemosina e Morte di santa Cecilia).

Nella cornice di una scenografia esemplata sui modelli famosi di Raffaello, il Domenichino inserisce efficaci osservazioni naturalistiche, e si rivela piú vicino alla vita e alla realtà che alle immagini ideali derivanti dalle «teorie del bello», che egli stesso aveva elaborate e che venivano in quel periodo sviluppate da Gian Battista Agucchi.

Durante gli anni successivi il Domenichino finí per conformarsi del tutto alle idee classiciste, anche rischiando di soffocare la propria piú originale ispirazione sotto il peso di reminescenze troppo intellettuali. Dalla sua vena creativa migliore nacquero gli afffreschi mitologici di villa Aldobrandini a Frascati (1616-18: Londra, ng), la Caccia di Diana (1616: Roma, Gall. Borghese) e gli affreschi di Sant’Andrea della Valle (1622-25: Scene della vita di Sant’Andrea nel catino e nel sottarco; Evangelisti nei pennacchi).

Ma durante questo periodo il Domenichino produsse anche alcuni dipinti che non possono collocarsi sul medesimo piano, nei quali si rivelano i sintomi di una crisi personale. Dal 1618 al 1619 aveva soggiornato a Fano, decorandovi la Cappella Nolfi in Duomo, poi a lungo a Bologna (1619-21) tornando infine a Roma, ove papa Gregorio XV, suo concittadino, lo aveva nominato architetto pontificio, procurandogli l’incarico della decorazione di Sant’Andrea della Valle (a questo momento – 1621-23 – risale il «raffaellesco» Ritratto di Gregorio XV col card.. Ludovisi, oggi a Béziers).

La morte prematura di Gregorio XV e l’ascesa di pittori assai piú «moderni» come Lanfranco e Pietro da Cortona lasciarono assai isolato e poco apprezzato a Roma il Domenichino peraltro autore di opere che contano tra le piú importanti dell’epoca (affreschi di San Silvestro al Quirinale, Cappella Bandini 1628; in San Carlo ai Catinari, le Allegorie nei pennacchi, 1628-30; e il Martirio di san Sebastiano per San Pietro, oggi in Santa Maria degli Angeli). Lasciò allora la città e si recò a Napoli, dove, accettato l’incarico della decorazione della cappella di san Gennaro in duomo (affreschi e sei pale) si stabilí nel 1631.

Il suo soggiorno non fu felice, né sul piano personale né su quello artistico, ed egli morí senza aver condotto a termine l’incarico e senza essersi guadagnato la stima dei pittori napoletani, presso i quali la sua lezione non suscitò praticamente eco

Storia dell’arte Einaudi

DOMENICHINO ARCHITETTO

Pittore di primo rango, ed abile nell'Architettura a segno, che Gregorio XV gli diede la soprintendenza de' palazzi e fabbriche Apostoliche. Egli fece due disegni per la Chiesa di Sant'Ignazio. Il Padre Grassi Gesuita, noto per la controversia avuta col gran Galileo , fece di que' due disegni un misto, e ne ricavò quello, che si vede messo in opera: ma siccome questo non piacque al Domenichino, ne restò anzi disgustato, e non volle più dare il disegno fatto per la facciata; onde di questa si diede l'incombenza poi all'Algardi. Il Passeri però non fa alcuna menzione di quest'opera architettonica del Domenichino . Si accerta, che se si avesse eseguito uno di quelli del Domenichino, Roma avrebbe avuto un Tempio, che sarebbe stato lo stupore de' secoli futuri . Oltre la pianta vantaggiosa di questo Tempio è pregievole ancora la giustezza delle arcate nel tutto-insieme. Ma i risalti nell'imposta, la mensola troppo pesante, e così sporgente, che oltrepassa le linee principali, il binato troppo angusto ed impermeabile son difetti sensibili. Le basi non sono male accordate: il centro è, come deve essere,rialzato; ma quando questi archi son grandi è meglio usare un plinto sopra l'imposta senza mutarne l'insieme.

Il Domenichino fece il ricco soffitto nella Chiesa di Santa Maria in Trastevere, ripartito ingegnosamente. Nella stessa Chiesa architettò ancora una Cappella detta della Madonna di Strada Cupa. È di suo disegno il portone del Palazzo Lancellotti, fiancheggiato da due colonne d'ordine Jonico , anicchiate senza alcuna ragione, e sostenenti una ringhiera, che ha balaustri assai graziosi. Esse colonne posano sopra zoccoli circolari per più facile ingresso delle carrozze. Ma la figura quadra della porta fa dissonanza col di dentro, ch'è tutto arcuato. Sopra essa porta in oltre sono degli ornamenti mal intesi, che taglian l'architrave.

La vaghissima Villa di Belvedere a Frascati fu in gran parte disegnata dal Domenichino, il quale disegnò ancora entro Roma Villa Lodovisi, in cui fece tanti belli e vari viali, scompartì il boschetto in guisa leggiadra, adornando tutto di statue, e vi eresse quel Palazzino, ch'è veramente pittoresco. Il Passeri tace anche di queste opere. Questo savio Artista era sempre involto in meditazioni su l'Arte sua principale , ch'era la Pittura. Anche camminando per le strade meditava sopra i soggetti, ch'egli aveva a lavorare, ed esaminava attentamente le cose, che agli altri sembran le più triviali. Egli non si metteva a dipingere se prima non aveva colla mente portato a perfezione tutto il soggetto. Si lagnavan i Padri Teatini, che da molto tempo egli non andava a dipingere la loro cupola di Sant'Andrea della Valle. Eh io la ito continuamente dipingendo entro di me, rispose egli. Allorchè esprimer doveva alcuna passione, eccitavala con forza in sè stesso, per averne in sè il modello; onde rideva , piangeva, e diveniva furibollilo ed allegro, secondo i soggetti, che aveva a rappresentare. L'espressione pittorica tra gli altri rari suoi talenti fu il suo distinto carattere. Ma la sua sventura fu maggiore della sua grandissima abilità. In Napoli spezialmente per la Cappella del Tesoro ricevette le più indegne mortificazioni, e fin a morirvi di crepacuore, se non di veleno, come portò la voce comune. Lasciò nondimeno un valsente di nomila scudi oltre i suoi mobili: segno, che la sua professione non gli era riuscita sì infelicemente, come volgarmente si crede. Egli era rozzo e sospettoso; ma modestissimo e sobrio in tutto, sì nel vitto, come nel vestito, ne' biasimi e nelle lodi. Lauda parce, vitupera parcius (elogia con moderazione, ma biasima con più moderazione) era la sua divisa

Memorie degli architetti antichi e moderni, Volume 2 Di Francesco Milizia