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Gian Battista Gaulli a Roma

detto il Baciccio

Chiesa di San Luigi dei Francesi: Il Martirio di San Matteo - Caravaggio
Chiesa del Gesù: Soffitto - Baciccio

parte prima

Gian Battista Gaulli, detto il Baciccio, nato in Genova nel 1639, si avviò all'arte sotto la guida di Luciano Borzone, e venne a Roma, a diciott'anni, fuggendo la peste che faceva strage nella sua città natale. Egli portò con sé la forza feconda dell'arte genovese, arte nuova, fiorita di colpo nel Seicento, sopra un terreno fino allora quasi sterile, non schiava del passato, ma aperta alla visione dell'avvenire.

Fig. 1 - G. B. Gaulli:  Pala d'altare.  Roma, chiesa di S. Rocco
Fig. 1 - G. B. Gaulli:
Pala d'altare.
Roma, chiesa di S. Rocco

Il quadro della chiesa di San Rocco a via Ripetta (fig. 1), compiuto dal Baciccio nei primi tempi della sua dimora in Roma, ha una forza di colore ignota ai pittori celebrati del Seicento romano, al Sacchi e al Maratta, dipendenti nel colore, come nel disegno, dalla tradizione cinquecentesca. Il quadro rappresenta San Rocco implorante dalla Vergine soccorso per gli appestati, in atto di mostrare una madre e il suo bimbo stesi a terra: dietro il Santo pellegrino, si curva Antonio Abate, guardando ai cadaveri, e dietro lo svolazzo del manto di Maria, parapetto azzurro, sbucano due fanciulletti oranti. Nessuna ricerca di approfondire lo spazio per via di movimenti obliqui, dello spediente artificioso derivato dal Correggismo ai pittori romani, nessun tentativo di svolgere la composizione in profondità: le figure affiorano tutte alla superficie, anche quando si torcono, come il San Rocco, sopra sé stesse; e, quasi stampate sul fondo tempestoso, si dispongono per archi paralleli profondamente scavati, formando una rosa di colori ardenti. Appena il San Rocco, inginocchiato e proteso, dimostra l'impressione fatta dal Seicento romano sul giovane pittore: "la persona aggirata, l'arco del manto intorno al braccio teso, lo snervamento neo correggesco dei gesti, l'insolito languore di espressione ricordano particolarmente opere del Maratta, sebbene le pieghettature nervose delle stoffe, lo spianamento della forma, e soprattutto il colore torrido, ci portino in un ambiente affatto diverso da quello calmo, posato,, classicheggiante di Roma. Immobile e monumentale, la Vergine, che richiama vagamente il Van Dyck, cioè ancora la pittura genovese, presenta a Rocco il suo fanciullo biondo luminoso: la fulva luce dell'aureola della Madonna squarcia le nuvole dietro la testa eretta, dando con la sua tinta infiammata la chiave al valore dei toni. Dalle carni della Vergine, bruciate dal sole, a quelle biondo rosse del fanciullo, al manto arancione dorato del Santo pellegrino è tutta una gamma di tonalità fulve, che trovan raffreddamento nel pelo di seta giallo cinerea del cane, tocco da luci cristalline, bruciore; nelle carni di rame di un angioletto e nella faccia di Sant'Antonio Abate, faccia di vecchio marinaio disseccata dal vento e dal sole, arrossata dalla salsedine marina. Il giallo rossiccio dorato scende al giallo verdognolo e al giallo oro vecchio, sale alla porpora e al rame.
Tanta violenza di colorazione fulva, che fa pensare a Tiziano, dovette apparire sorprendente a Roma, già abituata alle miti e fuse tinte, alle vaporose atmosfere correggesche. Essa rivela il temperamento nervoso dell'artista, come lo rivelano le pieghe accartocciate seghettate del manto di Rocco, le pieghe appuntite del corsetto della donna morta, il nudino del suo fanciullo con le ossa sporgenti dalle carni, angoloso nei contorni. Le nubi rumoreggiano, rotte da lampi, avanzano come neri fantasmi sopra le carni rosso clorate del fanciullo orante, tocche sul volto e sulla spalla da un brivido argentino: si tingono di rosso, di giallo, di verde mare profondo sopra la testa china del vecchio santo, imporporano la spuma della sua barba bianca.

Fig. 1 - G. B. Gaulli:  Pala d'altare.  Roma, chiesa di S. Rocco
Fig. 1a - G. B. Gaulli:
Pala d'altare. Particolare.
Roma, chiesa di S. Rocco

Sotto la Vergine s'apre un abisso non raggiunto ancora dalla luce; e da quell'ombra nera emergono due corpi: una giovane madre col suo figliuoletto, supini in senso contrario: la donna a metà perduta nell'ombra, con le braccia distese sopra il capo, come un'annegata che i flutti abbiano respinta alla riva; il fanciullo poggiato al suo fianco con occhi socchiusi senza vita. Dal margine, il cane di Rocco guata i cadaveri con gli occhi fosforescenti, e col muso verso terra annusa. Coloristicamente, questa parte, la più viva del quadro, richiama al pensiero Tiziano: le carni della donna e del fanciullo sono di oro fuso, la luce calda da] braccio destro s'irradia sul volto muliebre, ne orla il profilo ombreggiato, mentre un rosso riverbero insanguina l'ombra che vela le vesti aperte sul petto.
Il ricordo delle spiagge native domina in quest'opera giovanile del pittore genovese, nel ciclo fantastico, come un mare sotto le sinistre luci della tempesta, nelle carni bruciate dal sole, in tutto quell'ardore di colorazione. Così l'impeto dei venti marini, il furore delle onde rotte dagli scogli, suggeriranno più tardi le fantastiche creazioni del San Giovanni Battista nella chiesa di San Nicola da Tolentino e dell'abside del Gesù. Par che la violenza delle burrasche riecheggi sempre nell'anima del pittore, violento nella vita e nel l'arte.

A ventisette anni il Baciccio, già celebrato come pittore di ritratti, aveva eseguito i busti di Alessandro VII e di Mario Chigi fratello del Pontefice, forse i due già pubblicati dall'Arte, appartenenti alla collezione Messinger; il Bernini pure s'era fatto ritrarre da lui. Alla fine del 1666 era stato proposto alla corte estense, come eccellente ritrattista, e, richiesto di recarsi a Modena, aveva accettato per poter poi studiare, nella vicina Parma, il Correggio, e trarne ispirazione ed esempio nel «dipingere li angoli della cupola di Sant'Agnese». A Modena non si recò se non nel 1669, quando già gli «angoli» dovevano essere stati eseguiti, non essendo in essi traccia evidente della lontana fonte ispiratrice.

Gli abbozzi dei due pennacchi con allegorie delle Virtù, recente acquisto della Galleria nazionale a Palazzo Corsini in Roma, superano gli affreschi per il valore plastico e il vigore della pennellata, per la contrapposizione risoluta di masse di luce e d'ombra che rilevan le figure sullo sfondo del cielo tempestoso.

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 2 - G. B. Gaulli:
La Prudenza e la Temperanza.
Bozzetto d' un pennacchio
della cupola della chiesa
di Sant'Agnese in Roma.

Nel primo di questi abbozzi (fig. 2) il pittore, forse di lontano ispirandosi agli affreschi della Farnesina, imaginò due gruppi affrontati, come due scogli divisi da una stretta gola di nubi ferrigne crestate di freddo ar- gento; a sinistra, abbarbicata alla finta cornice, una robusta figura di donna protesa di slancio nel vuoto, imporporata da un riflesso sanguigno, scruta l'orizzonte; a destra, due giovani abbracciate si contemplano in uno specchio rotondo, premendo coi piedi l'Imprudenza, seminuda, con gli occhi bendati, strisciante sull'arco di base come intorno a una ruota. L'elemento fantastico predomina sempre: colpi di luce crestano il cielo o lanciano razzi burrascosi attraverso le nubi grige; il gruppo a sinistra avanza nell'aria fosca come una chiglia di nave sui flutti; un alone livido circonda la testa della Virtù; il putto che la sostiene è un'ombra di porpora, un fantasma di sangue che il vento discioglie contro il livido chiarore del cielo. Il colore delle nuvole, grigio turchino con rivi di luci bianche, tinge il manto della Prudenza; le carni gocciano rosso. Domenico Piola s'intravvede nell'uso dei rossi, ma l'andamento della pennellata è originalissimo per i suoi colpi audaci e il suo valore plastico; le figure sembran foggiate in roccia che si sgretoli corrosa dai sali marini, i lineamenti hanno demarcazioni rigide sculturali, gli occhi son fori d'ombra profondi, le pieghe dentellate ora scrosciano con impeto di cascata, ora s'arrestano bruscamente, sfaccettate a colpi di martello; il serpe, di molle pasta, s'incolla, ondulando, alle mani semiliquide della Prudenza.

I particolari delle figure sono segnati con briosa rapidità: la gamba sinistra di un putto appollaiato ai piedi della Temperanza è un tortiglione di carni rosse, un occhio è un foro profondo nero, l'altro un'orbita sanguinosa. Attraverso noncuranze e deformazioni, si fa strada in questi bozzetti, come più tardi nel quadro di San Nicola da Tolentino, una visione di forma di fronte alla quale i pittori romani contemporanei del Gaudi sembrano sprofondarsi nel passato. E quando si guardi al superbo scavo della spalla e del collo della Temperanza foggiati sull'uncino ricurvo del timone che essa regge, alla rapidità del generale andamento della forma, si rimane sorpresi di tanta forza di modellato nel pittore del San Rocco davanti alla Vergine.

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 3 - G. B. Gaulli:
La Fede e la Carità.
Bozzetto d' un pennacchio
della cupola della chiesa
di Sant'Agnese in Roma.

Con la stessa facilità di abbozzare i generali contorni dei corpi per mezzo di masse di chiaroscuro, la stessa concezione movimentata e brillante, è condotto lo studio per il pennacchio (fig. 3) con l'Allegoria della Fede e della Carità, il più infelice nell'esecuzione ad affresco (fig. 4). Dalla muraglia fosca delle nubi emerge e si svolge la parabola delle figure: un grande angelo che reca, fra lampi, la croce; la Carità con un poppante stretto al seno; la Fede armata di lancia e coperta di elmo, e un coro di putti con emblemi delle virtù. Baleni squarciano l'ombra, traggono dal profondo turchino delle nuvole l'ala dell'angelo, il margine della croce, il braccio nudo; impastano il seno trasparente della Carità modellato per ondulazioni plastiche, sfogliano come una rosa la testa argentina del putto, dissolvono il bianco drappo spugnoso, dardeggiano sulle armi della Fede.
Sotto l'angelo, la muraglia nera si apre, un torrente di piombo fuso si precipita dall'alto scrosciando, travolge nella sua spuma confuse forme rubensiane di angeli. In basso, un putto, un corpicino nudo, modellato quasi in creta cedevole che serbi impronte di dita noncuranti, con alucce atrofiche e capelli come spruzzi di spuma, una creazione spiritosa di forma semifluida ondeggiante, si accanisce contro la testa di un Ercole. Le forme umane, aderenti allo scoglio di nubi, sgrossate appena, composte di sabbia semovente, confluiscono; l'aggiramento a groviglio delle pennellate le abbozza, le cancella a tratti le compendia nel movimento elissoide, che origina, in alto, il volo a parabola di una nube rosata e di un genio della Vittoria, deliziosa creazione decorativa di forma umana: un intreccio di due esse, una fuga di linee sfumate tremanti nella grassa luce del cielo.

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 4 - G. B. Gaulli:
La Fede e la Carità.
Pennacchio della cupola della
chiesa di Sant'Agnese in Roma.

Dagli abbozzi agli affreschi (fig. 4-7) la visione artistica si trasforma profondamente.
Il valore plastico si attenua, il colore scomposto audace diviene prezioso nelle sue tinte fantastiche di foglia morta, di azzurro serico bagnato da luci sideree, di verde olivo, di bianco avorio tocco da ombre glauche o rosee; i capelli hanno il colore smorto, glauco cinerino, delle alghe; le carni, perduta la solidità plastica, formano un involucro latteo trasparente ondulato; il movimento dei panneggi, di angoloso e interrotto, diviene scorre- vole, disciolto a fluidità di rivo; manierismi correggeschi, forse attraverso il Bernini, appaiono nel convenzionale sorriso delle bocche, nel languore nuovo degli sguardi, nella preziosa sottigliezza dei polsi; le opere del Rubens suggeriscono tipi; ai rossi barocceschi di Domenico Piola subentrano i toni freddi lattei di Gregorio Deferrari. I pennacchi sono dipinti con una luminosità bianco argentina, una leggerezza di tinte brillanti, che richiama la pittura di salotto fiorente in Genova sulla fine del Seicento, e, soprattutto, per il senso cromatico, Gregorio Deferrari, senza possedere però la finezza preziosa della linea frastagliata, la inesausta ricchezza di fantasia decorativa, che il frescante genovese spiega nelle sale, di palazzo Bianco, facendo salire nella chiarità azzurra e rosea del cielo tralci di pampini, e uscir dal tremito delle loro ombre glauche e delle luci d'argento, dal palpito delle foglie nell'aria, figure diafane di donne e di fanciulli, pallidi geni di fiori, evanescenti nell'aria e dondolanti al vento. I movimenti incatenati si spezzano nelle pitture del Gaulli per improvvisi movimenti di scarto, l'armonia dei colori chiari leggeri aerei per subiti contrasti di tinte cariche pesanti opache; uno scoppio improvviso rompe qua e là la generale tonalità lattea: un amaranto opaco, un verde cupo, un turchino profondo.

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 5 - G. B. Gaulli:
La Castità.
Pennacchio della cupola della
chiesa di Sant'Agnese in Roma.

Il bianco predomina: le rose di seta bianca, che formano il serto della Castità (fig. 5), dànno l'intonazione alla gamma di bianchi che compongono la stia figura, dal caldo pallor d'avorio della tunica al freddo candore dei gigli; di bianca polpa sono le atrofiche ali del genio vittorioso; bianche le fiamme della face, le rose rosa che incoronano la testa del Vizio s'imbiancan negli orli al riflesso gelido delle perle, e un chiarore argenteo di acque brillanti alla luna ammorbidisce in un cilestrino smorto d'incomparabile dolcezza la seta azzurra della veste, sfiorandola; il gruppo scultorio della Purità col liocorno e un coro di geni muniti di faci si allontana in un'atmosfera opalina fra trasparenze azzurre di ombre nivali. Ma il verde carico della tunica della Fama, sconvolta, attorta, fumigante al vento, scrosciante rivi d'oro, squarcia la distesa dei bianchi, come le linee scorrevoli e le morbide rotondità della forma trovano un contrapposto di audacia decorativa violenta, quasi sfacciata, nel zig zag fulmineo della figura spianata a forza, implacchettata sul fondo: è un primo saggio della pittura decorativa a contrasti stridenti che produrrà un capolavoro nel San Giovanni della chiesa di San Nicola da Tolentino, attraverso volute dissonanze di colore.

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 6 - G. B. Gaulli:
La Giustizia, la Pace e la Verità.
Pennacchio della cupola della
chiesa di Sant'Agnese in Roma.

La mano nervosa che dai solchi del lampo trae i contorni di questa Vittoria, dà alla figura del demone calpestato dalla Giustizia (fig. 6) le contorsioni dei reprobi scacciati dagli angeli nella volta del Gesù, i lampeggiamenti infernali della vampa che sale per il corpo, per le mani adunche, per le ali simili a grandi foglie accartocciate e disseccate dalla fiamma. E anche in quest'affresco, dappertutto, tinte lattee rugiadose: la Verità lontana appare come una lampada di alabastro trasparente penetrata dai raggi pallidi dell'astro che brilla fra le sue mani. Le due donne che si contemplano entro lo specchio nel riquadro della Prudenza (fig. 7) hanno la trasparenza e la carnosità esuberante del Rubens, ma dal cristallo iridato di riflessi, dal cielo di seta azzurra strisciato da veli rosa impalpabili, la bianca luce di Gregorio Deferrari scorre a rivi sulle vesti polpose sfilate, sulle lente ondulazioni di un seno e di un braccio levato, forme decorative superbe, sul corpo smeraldino del serpe, sui capelli biondo verdognoli; gonfia le carni lattee gelatinose.

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 7 - G. B. Gaulli:
La Prudenza e la Temperanza.
Pennacchio della cupola della
chiesa di Sant'Agnese in Roma.

Dagli acini d'uva come bolle d'acqua scoppianti, dai pomi color di ruggine, o di seta glauca, appiattati tra i pampini, luci rugiadose zampillano sulla testa biondissima, sulle carni del fanciullo caneforo formate come dalla bianca polpa di un frutto. La impressionabile sensibilità cromatica, la freschezza delle tinte leggiere chiare brillanti, tutta primaverile, opposta alle tonalità grigio dorate, autunnali, predilette dal Maratta e dal Sacchi, come alle cariche tonalità del Padre Pozzi, il brio dei contorni dentellati, dànno ai quattro pennacchi tutte le qualità della decorazione genovese.

* * *

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 8 - G. B. Gaulli:
Assunzione di Santa Marta.
Affresco nella chiesa di
Santa Marta in Roma

Il manierismo correggesco si accentua nelle fosforescenti pitture della chiesetta di Santa Marta presso il Collegio romano: le vesti, di grossa polpa, si attorcono strizzate, le bocche si aprono ad arco nel sorriso, tutti i volti ripetono un tipo convenzionale, i gesti prendono una studiata fissità: evidentemente esse sono posteriori al 1669, al viaggio nell'Emilia: il pittore ha veduto il Correggio, e si studia di far svanire nell'atmosfera luminosa le teste dei cherubi osannanti alla Santa in gloria (fig. 8): non si serve della nebulosità correggesca per assorbire le forme, ma le discioglie come passandovi sopra lo sfumino e disperdendo i contorni di un volto in quelli di un altro, annebbiandoli per l'avvolgimento di ondate di fumo. Questi caratteri non si notano nei due medaglioni con i Miracoli (es. fig. 9) della Santa, che si differenziano totalmente dalla Glorificazione per il carattere disegnativo e le tinte screziate opache: essi sembrano copie di incisioni berniniane e non trovan riscontro in altre pitture del Gaulli, neppure in quelle del tondo centrale e nelle Virtù che lo attorniano. Qua e là il pittore rinuncia alla sua personalità per copiare Correggio: i due gruppi di fanciulli acclamanti la Santa s'annidano sulle nubi come gli angeli correggeschi; uno di essi, visto pel dorso, ristampa l'atteggiamento di Io allacciata dalla grigia nube.

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 9 - G. B. Gaulli:
Miracolo di Santa Marta.
Affresco nella chiesa di
Santa Marta in Roma

Ma il pittore genovese non intende la prospettiva aerea del Correggio, sviluppa le figure preferibilmente nel senso della lunghezza per mantenerle sullo stesso piano; torce e seghetta invece di scorciare, proprio come nel quadro di Santa Maria della Minerva e nei pennacchi di Sant'Agnese. Nelle pitture della chiesa di Santa Marta, il Baciccio abbandona i lattei colori degli affreschi precedenti: vampe di un giallo ocra ardente invadono il cielo libero intorno alla Santa, che vola con impeto di freccia nello spazio, tagliando diagonalmente il tondo, facendo indietreggiare gli angeli colpiti dalla luce. La forma impreziosita e imbarocchita ha perduto la solidità che aveva nei bozzetti per Sant'Agnese; il groviglio dei panni attorcigliati a chiocciola e a corda la soffoca; i corpi degli angeli han la superficiale rotondità, la morbidezza carnosa delle accademie correggeschi, ma la educazione genovese del pittore rimane intatta in quel barbaglio di luci pregne del color avana oro vecchio della veste di Marta, nel volo di quel corpo lanciato obliquo entro la fulva raggiera dell'aureola, attorto col zig zag del lampo, nella trasparenza dei due gruppi d'angeli sulle nubi franate dai colpi della luce, dalla percossa dell'aria sferzata per l'impeto del volo. Le carni di neve e di porpora scintillano accese di lampo; lontano, a destra, diventano masse d'argento; argento è il viso della Santa nel bagliore del drappo bianco; avana dorato, nel riflesso della veste di Marta, la testa vellutata del putto dalle alucce brevi di grossa stoffa rosea, che sbuca dal manto di lei e si abbarbica al suo braccio, ridendo nel riso della luce. Le nubi si squarciano intorno alla Santa che vola come una fantastica libellula dalle ali azzurre, tra vampe di vulcano; i volti dei cherubini dietro a lei fumano con le nubi nell'alto, si confondono semicancellati svaporanti; rivi d'argento liquido scorrono per le vesti; la fosforescenza fantastica del colore trionfa sul convenzionalismo arido della forma per raggiungere, nonostante esso, un altissimo effetto decorativo.

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 10-11 - G. B. Gaulli:
Innocenza e Speranza.
Affresco nella chiesa di
Santa Marta in Roma

Nei triangoli curvilinei che irradiano dal tondo con la Glorificazione di Marta, il pittore rappresentò l'Innocenza (fìg. 10), la Speranza (fig. 11), il Pentimento (fig. 12), la Castità (fig. 13), tutte con le stesse qualità del medaglione.: manierismi di forma, imbarocchimento di pieghe e languori berniniani, grossolana esecuzione dei dettagli, fantastico bagliore di luci. Il valore decorativo della pittura è anche qui, soprattutto, coloristico, e il temperamento nervoso dell'artista si rivela nei contrasti studiati tra le quattro figure: l'Innocenza, lievemente appoggiata al margine di stucco dorato, col viso biondo chino sulla testa dell'agnello — un languore di linee mollemente ondulate, una carezza di tinte calde luminose — accanto alla Speranza balzante con impeto bacchico contro una raggiera di lamine auree, compressa a forza sul fondo, violentemente contorta; la Penitenza — Maddalena coronata di spine, colorita quasi a monocromato su una scala di biondi lionati — e la Castità stretta al suo cavallo in un sol blocco semifluido bianco con penombre verdi freschissime — la gradazione di candore del biancospino — come per riflesso del verde che colora le foglie alternate a mazzi con le bianche rose della sua corona.

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 12-13 - G. B. Gaulli:
Penitenza e Castità.
Affresco nella chiesa di
Santa Marta in Roma

Le venature verdi e bianche si rincorrono per la veste spessa disciolta aggrovigliata e per le ondeggianti forme del liocorno, in una oscillazione continua di linee tremolanti, in un incontro di ombre e di luci irrequiete; la sola testa, dipinta di maniera, esce definita da quel blocco candido, fluido, indefinito di forma e di linea. Le pitture di Santa Marta segnano un nuovo passo nella trasformazione dell'arte del Gaulli, l'infiltrazione del berninismo nella concezione di forma, accompagnata tuttavia ancora alla vivacità coloristica dell'affresco genovese.

A questo periodo di progressiva accensione del colore appartiene il gran quadro di San Nicola da Tolentino (fig. 14), l'espressione più completa del temperamento gaulliano.

Le pale precedenti a noi note non escono dalle forme tradizionali delle ancone genovesi, e in particolare di quelle del Piola; ne abbiamo un esempio nel quadro di San Vincenzo Ferrerò a Santa Maria della Minerva, con grandi figure di angeli rotanti nell'aria, alla superficie, vagamente e grossamente delineate, morbide, rotonde, un mazzo festoso di bianchi lattei e di rosei baroccheschi, rotti soltanto dalle tinte grigio livide quasi mono- crome della figura del Santo, nervosamente dentellata, stirata in lunghezza come le figure di Gregorio Deferrari. La Predica di San Giovanni Battista è una creazione originale, unica, la trasformazione della pala d'altare in pittura di decorazione.

Progetto del Bernini di Piazza San Pietro in Vaticano
Fig. 14 - G. B. Gaulli:
Il Battista.
Roma, San Nicola da Tolentino

Il Santo si presenta con un ginocchio a terra, volgendosi di slancio per additare alle turbe il Messia; non si vedono le turbe, che egli invita a sé col braccio disteso: un colpo di vento squarcia la cortina nera dei rami, aprendo un grande arco lunato sul paese di rocce e sul cielo in tempesta. Quell'arco, del quale fa parte il corpo nervoso del giovane, dà alla linea compositiva l'andamento decorativo ideato dai pittori di fiori: due falci incuneate: l'albero e il paese, cozzanti tra loro per la forza del turbine che li avventa uno sull'altro.

Due venti si urtano nello spazio: attirano verso destra i rami, spingono verso sinistra le nubi, scagliandole contro la massa scura delle foglie, come onda sbiancata dalla luna contro scogli neri nella notte. Lo stesso urto è fra i colori: le nubi gialle, rossicce, violette, che il ciclone arrotola nello spazio o lancia a frangersi contro l'albero gigantesco, contrastano con l'azzurro carico del paese dentato di rupi, serpeggiante di strade opaline; contro la massa fosca e spianata dell'albero, macchia notturna, divampa un incendio: il corpo turgido del giovane, fuso in lava incandescente, la fiamma viva del manto; tra l'ombra rossa del volto e l'ombra nera della notte rimbalza una cascata di argento liquefatto: il rotulo avvolto alla croce.

Quattro campi si dividono, anche coloristicamente, lo spazio: nero e rosso a sinistra, le screziature tumultuose del cielo e il monocromo azzurro del paese a destra; due luci si oppongono in un contrasto stridente, il rosso igneo della forma umana, l'argento freddo brillante della luna. Un'ombra purpurea, appena tocca di una scintilla, è il volto di Giovanni, spianato contro lo sfondo dell'albero a dar risalto alla rotondità scoppiante della spalla fremebonda; il corpo turgido è tutto un sussulto: la vampa rossa del manto incendia il dorso, scorre per i muscoli del braccio fluttuante, profila i tendini della mano come nervature di foglia disseccata dal vento: scivola per le gambe nervose smussando le calcagna, scavando fosse intorno alla fibula, arrossa il terreno, fluttua sulle erbe schiacciate dalla bufera. Lo spirito decorativo dell'arte genovese traspare dappertutto, anche nella meravigliosa lumeggiatura delle foglie filettate dai riflessi della luna, nel frastaglio nero dei rami sulle nubi brillanti d'argento.

La voluta disarmonia delle tinte, intense e crude, la violenza delle luci, lo scompiglio dei movimenti riflettono, come nessun'altra opera, la fantasia vivacissima e la tempra nervosa dell'uomo descrittoci dal Ratti sdegnoso di onori, brutale, generoso, iracondo, sempre pronto alla lotta.

Maria Perotti - L'arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna - 1916