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1 - Palazzo Massimo alle Terme

sede del Museo Nazionale Romano

Statua del Pugilatore
Statua del Pugilatore

Parte prima

Statua del Pugilatore

Statua maggiore del Vero di Pugilatore in ri- poso. Siede egli stanco con le braccia appoggiate sulle ginocchia, le mani, chiuse nei poderosi guanti di cuoio e lamina metallica, quasi non possono poggiarsi l'una sull'altra, tanto sono dolenti per le percosse e i colpi. 11 volto reca cicatrici e tagli, le orecchie sono peste dai pugni, e gonfio il naso e pieno di sangue, si da costringere la bocca a restare aperta per respirare. Un profóndo senso di verismo si ha nel groppo di muscoli che si ergono sulle spalle, e nella brutalità del viso dalla fronte angusta e priva di pensiero. Non è improbabile, data la posizione della testa, che la nostra statua facesse gruppo con un'altra eletta, forse del vincitore. Arte ellenistica. Dalle fondamenta del Teatro Drammatico Nazionale.

Le terme di Diocleziano e il Museo nazionale romano - Roberto Paribeni (1920)

Una sala speciale del Museo, è riservata al Discobolo della Regina Elena. Così è comunemente designata la meravigliosa statua venuta qualche anno fa alla luce e di cui S. M. il Re ha fatto dono al Museo delle Terme. Presso il Mar Tirreno, dove l'onda bagna i lidi sabbiosi e deserti, nello squallido silenzio della campagna romana, frequenti rovine di antichi monumenti sono testimoni della fiorente vita dell'antica civiltà latina.

Numerose ville, prospicienti sul mare da una parte e dall'altra sull'antica Via Severiana, si stendevano sul territorio dell'antica Laurento ; e dove ora sono tristi e solitarie selve, si stendevano graziosi boschi, che rendevano ameni i poetici luoghi di Laurento e di Lavinio : — territorio sacro, ove prima Enea sbarcò coi suoi compagni fuggiaschi da Troia, e dove parve ancora aleggiare

la mistica poesia di Virgilio :
.... Trojae qui primus ab oris
Italiam, fato profugus, lariniaque cenit<
Litora....

Nel giardinetto di una di queste ville, fatta scavare da S. M. il Re Vittorio Emanuele, fu trovata una splendida copia in marmo del Discobolo di Mirone, giacente accanto al piedistallo della statua. S. M. la Regina Elena che personalmente assistè allo scavo, volle che la statua fosse donata al Museo delle Terme : ed ora essa è esposta all'ammirazione del mondo in una apposita sala presso alla ricostruzione che con dottrina d'archeologo insigne e con anima d'artista, ne fece il professore Rizzo. La statua guardata specialmente dal dorso, dà l'impressione che in essa, quantunque scolpita con grande morbidezza di tocco, siano però un po' ammolliti i caratteri dello stile di Mirone, che è preciso e severo : e che questo avvenga più di quanto suole essere in tutte le riproduzioni in marmo delle opere di bronzo.

Però uno studio accurato delle varie parti, e il confronto con le altre copie del Discobolo provano che con la statua di Castel Porziano noi abbiamo acquistato la migliore e la più fedele copia del famoso lavoro mironiano. Lo scultore ha disegnato un torace dai contorni nettamente tagliati ; e imitando certamente l'originale lo ha modellato con robusta precisione : forte ed asciutto, ma non secco e stentato. Nella linea arcuata dei fianchi vibrano, sotto lo sforzo, i muscoli ; la spalla è scolpita con fine conoscenza anatomica : ma specialmente dall'osservazione del dorso risulta la valentia dello scultore e si può facilmente immaginare l'eccellenza dell'originale perduto. Tutto è armonicamente combinato a dare una giusta idea di un corpo giovane e robusto, usato ai forti giuochi della palestra. Né è possibile concepire maggiore intensità di vita e più serena abilità tecnica ; perché lo scultore dalla minuta e quasi scientifica osservazione del vero, si leva ad un alto ideale della forza umana.

Per questo, come osserva il professore Rizzo, si comprende perché il Doriphoros, il Discobolos, il Diadoumenos, l'Aponoumenos potessero essere immagini senza nome individuale, perché in esse l'arte ritraeva e nobilitava la natura, creando tipi consacrati e studiati e riprodotti dalla ammirazione serena degli antichi adoratori dei nudo. Ma se il torace è la parte del corpo dalla quale più doveva naturalmente, trasparire l'azione intensa, diretta alla concentrazione dello sforzo, nel momento che immediatamente precede il lancio del "disco", anche le altre parti però svelano la stessa tensione di energia muscolare. E il braccio sinistro che contribuisce all'equilibrio del corpo nella mossa violenta e istantanea, scende appena leggermente ripiegato sul ginocchio destro. Ed è fortuna che la statua di Castel Porziano abbia conservato intatto questo braccio, che ci aiuta a conoscere nella sua integrità il capolavoro creato da Mirone.

La statua appartiene certamente a un'epoca molto anteriore a quella nella quale fu edificata la Villa ove essa fu trovala, e la quale fu costruita certamente nel secondo secolo dell'impero, come il professore Laudani ha dimostrato ; l'illustre archeologo nella descrizione della Villa ha asserito che essa, restaurata o rifatta ex novo nel secondo secolo, era siala però costruita mollo tempo prima. r: nolo che della meravigliosa opera di Mirone erano arrivate a noi tre copie : quella del Valicano, quella che è custodita nel British Museum e quella che è posseduta dal Principe Lancellotli. Le due prime, come quella di Castel Porziano, sono acefale : sono evidentemente scolpite all'epoca dell'Imperatore Adriano : e quanto a bontà di stile, a perfezione di tecnica e a fedeltà al grande originale sono di gran lunga inferiori alla nostra. Il movimento inelegante e falso, la fiacchezza delle forme che nulla conservano della nella precisione del bronzo rivelano copisti preoccupati soltanto di riprodurre il motivo generale del Discobolo di Mirone, ma incapaci di sentire e di rendere lo stile del grande maestro : si aggiunga a ciò che la ricostruzione fattane aveva di molto peggiorate le statue.

Il Discobolo del Principe Lancellotli è certamente migliore dei due del Vaticano e del British Museum, per quanto almeno si può giudicare da una vecchia fotografia : perché, come è noto, questa preziosa statua è sottratta dal proprietario alla vista e al desiderio degli studiosi. È fortuna che il professore Furtwàngler abbia scoperto, come è noto, tra i gessi del Louvre, il calco della testa della famosa opera : orbene questo calco si adatta così perfettamente alla statua scoperta da S.M. la Regina Elena, che, come si vede nella ricostruzione, non si può giubilare che così fosse veramente la testa del Discobolo originale. Del braccio destro è conservata nella nostra statua una parte del bicipite : ciò che ha permesso di determinare le proporzioni e la direzione del braccio stesso : al braccio sinistro, che scende e si appoggia col polso al ginocchio, i)er equilibrare il movimento del corpo, manca una parte della mano ; che si è potuta anch'essa restaurare con grande sicurezza, mercé l'aiuto dei puntelli, che ci indicano la direzione e la lunghezza delle dita, mentre il movimento di esse è indicato dal mignolo che ci fu conservato.

L'azione naturalissima della mano pendente e libera da appoggi, è un bellissimo tratto dell'originale : chi ha pratica dello sforzo che occorre per lanciare il disco, sa bene che soltanto il polso del braccio sinistro si appunta con forza al ginocchio. Perfino dunque in questo minimo particolare si è rivelata la suprema bellezza dell'originale di Mirone I piedi della nostra statua hanno potuto essere con fedeltà ricostruiti adattando quelli presi dal Discobolo del British Museum, i quali, come si sa, sono antichi. Così quindi, con questi piccoli ed intelligenti restauri, fatti su altre copie della stessa statua, noi possiamo esser certi che quando il Discobolo di Castel Porziano , intatto , spiccava contro il mare nel bruno splendore del bronzo, esso doveva essere perfettamente quale lo ammiriamo ora al Museo delle Terme. L'arte di Mirone ha per caratteristica principale la sobrietà: e questa dote è specialmente notevole nella statua di cui ci occupiamo. Tutto il tronco, meno magro del famosissimo Marsia, è poco voluminoso : e il dorso è tutto un poema di vita potente nel disegno, nel contorno e nel magnifico movimento di tutti i muscoli, forti ma non carnosi. Noi abbiamo così guadagnato oltre che una meravigliosa opera d'arte, anche un nuovo ed utilissimo elemento per lo studio dell'arte di Mirone ; perché, senza alcun dubbio, il nobile artefice che dal grande originale greco derivò nel quinto secolo avanti Cristo, la statua di Castel Porziano, volle essere e fu fedele all'originale : fedele nel tipo, e fedele anche nello stile per quanto lo permettevano la traduzione del bronzo nel marmo e l'abitudine e il gusto di un'arte senza dubbio meno severa dell'antica. Chi copiava la statua di Mirone doveva principalmente imporsi il compito di fermare senza stento il movimento istantaneo, la concentrazione di tutta l'energia muscolare rivolta all'unico fine immediato del lancio del disco : poiché a questo atto tende ogni vibrazione, ogni palpito dei muscoli, ogni tensione dei nervi, nel torace distratto e contorto, nel dorso fremente di vita, nel collo, nel braccio, in tutte le parti del forte corpo giovanile. E di questa azione nessuna più divina rappresentazione può immaginarsi che quella eseguita dal grande artefice greco.

Roma Moderna - Arturo Calza - 1911

Erma di Discobolo

Stampa antica del Colosseo

Erma di Discobolo priva delle braccia che si indovinano però ancora levate in alto, subito dopo lanciato il disco. È niirabile, come l'artista abbia saputo collegare senza stridente disarmonia il vivace e robusto movimento del torso con la rigida forma architettouica della parte inferiore del corpo. Insieme con questa erma debbono essere state trovate le altre cinque che seguono, che sono delle stesse dimensioni e dello stesso marmo. Esse derivano però da originali di età diversa, e mentre questa di Discobolo per la maschia durezza del volto e per il trattamento dei capelli e la posizione delle orecchie ricorda opere della prima metà del secolo V, altre debbono discendere da originali della seconda metà del V ed anche del IV secolo. E probabile pertanto, che la associazione di questo gruppo di erme si debba a qualcuna delle scuole eclettiche che fiorivano al finire della repubblica romana.

Eccellente copia in marmo del Discobolo di Mirone. L'originale di questa celeberrima statua era in bronzo, ed è andato perduto. Il pregio maggiore di essa era l'arditezza geniale dello scultore che, più vecchio di Fidia, aveva osato riprodurre, quando altri artisti non si peritavano ancora a distaccar troppo le braccia dal corpo, il movimento più violento e più istan- taneo del lanciatore del disco. La nostra copia, disgraziatamente mutila, fu rinvenuta a Castelporziano e donata al Museo dalle LL. MM. il Re Vittorio Emanuele e la Begina Elena. Il prof. Rizzo, valendosi, per sostituire le parti mancanti alla nostra, di calchi tratti da altre repliche del principe Lancellotti, della Galleria Buo- narroti a Firenze e del British Museum, ha dato una ricostruzione della statua che si vede in gesso bronzato nella parete di contro.

Ermafrodito

Stampa antica del Colosseo

Ermafrodito giacente. Tipo statuario dell'arte ellenistica ripetuto più volte dagli antichi. La nostra replica molto accurata fu rinvenuta nel fabbricare il Teatro Costanzi, nelle rovine di una casa che aveva a suo tempo appartenuto a C. Giulio Avito avo dell'imperatore Eliogabalo.

Statua di Afrodite

Stampa antica del Colosseo

Statua maggiore del vero di Afrodite (Venere), che, toltasi or ora la veste, e in atto di deporla su un'anforetta posta ai suoi piedi, sembra scendere al bagno portando con atto di istintivo pudore la mano destra sul basso ventre. Questa forma di nudità logica e pura aveva dato Prassitele alla statua di Afrodite rifiutata dagli uomini di Cos, acquistata da quei di Cnido, quando per primo aveva osato presentar nuda la bellezza immortale della Dea. La statua ebbe, diremmo oggi, un enorme successo, e le repliche fedeli o poco variate non dovettero contarsi nell'antichità. Tra le varianti una delle più ripetute è quella (Venere dei Medici, Venere Capitolina, ecc.), in cui il vestito della dea è affatto scomparso, e le mani sono raccolte, meglio che a celare il seno e il ventre, a richiamarvi lo sguardo.

Le terme di Diocleziano e il Museo nazionale romano - Roberto Paribeni (1920)

Niobide

Stampa antica del Colosseo

Anche ci sia concesso, come augurio, di parlar qui, illustrando le novità dell'archeologia romana, di una meravigliosa statua che nel Museo delle Terme non c'è ancora : ma che dovrebbe esserci e che, speriamo, ci sarà tra breve : la famosa Niobide, scoperta negli Orti Sallustiani, e che è ancora presso la Banca Commerciale a Milano, in attesa dell'esito di un giudizio.

....l'afflitta
Niobe……. nel giorno
Che dodici figlioi morti le furo,
Sei del leggiadro e sei del forte sesso,
Tutti nel fior di giovinezza. Ai primi
Recò morte Diana, ed ai secondi
Il saettante Apollo....

Così, secondo Omero, Achille, per confortar Priamo della morte del figlio diletto, gli racconta le sventure della infelicissima regina di Tebe, che la pietà degli Dei convertì poi in masso marmoreo. Il tragico mito di Niobe inspirò all'arte greca molti capolavori, nessuno dei quali, nella sua originalità ci è pervenuto ; ma gli autori ricordano statue e rilievi di Niobe e dei Niobidi eseguiti dai più grandi maestri. Fidia aveva rappresentato il mito in rilievo sul trono di Giove in Olimpia.

La più celebre forse delle grandi rappresentazioni plastiche che ci siano state conservate è il notissimo gruppo di statue trovate nel cinquecento a Roma in una vigna di Via Labicana. presso il Laterano. Acquistate dal Cardinale Ferdinando De Medici, furono portate a Firenze nel 1775 e sono ora nella Galleria degli uffizi. Tutti gli studiosi della storia dell'arte conoscono le ardenti polemiche svoltesi intorno a quel meraviglioso gruppo di sculture, che si volevano attribuire a Scopa o a Prassitele : ma che in ogni modo sono documento nobilissimo di una arte ancora perfetta. Difficilmente chi ha veduto quel gruppo, può dimenticare il tragico orrore della scena che ò da esso evocata ; uno ilei figli è già morto, un altro si abbatte sotto la pioggia degli invisibili dardi che cadono dal cielo : una giovinetta si abbandona spirante, un'altra in atto supplice pare voler deprecare la vendetta divina. Dritta in piedi, e dominante l'orrendo quadro, la sventuratissima madre cerca di riparar colla mano la minore figliuoletta che le si ricovera in seno : mentre lo sguardo fieramente eretto verso il cielo pare sfidare ancora l'ira spietata dei numi.

La Niobide, trovata recentemente a Roma in uno scavo di Via Sallustiana, a undici metri di profondità^ entro una specie di grotta ove probabilmente era slata nascosta in fretta al tempo di una invasione barbarica, rievoca, nella tragica evidenza dell'atto, tutto l'orrore dell'antica rappresentazione. La giovinetta è colpita alle spalle, mentre fugge, dalla saetta di Diana ; essa cade piegata sul ginocchio sinistro ; la diploide che la avvolgeva le è scivolata dagli omeri, lasciando scoperta tutta la parte superiore del bellissimo corpo ; se non che ella con gesto suggerito dal dolore raccoglie con la mano un lembo del vestito, e lo solleva sul dorso per comprimere la ferita. Il braccio destro è ripiegato ad angolo sopra il capo e la mano tenta di strappare dalle carni il dardo che vi si è profondamente conficcato : la faccia, nella bocca semi aperta, negli occhi pietosamente rivolti al cielo, ha una espressione di suprema impressionante angoscia.

La statua è di mano greca, di calda tonalità ed è in ottimo stato di conservazione : soltanto le prime falangi della mano destra sono spezzate. La modellatura del nudo è molto franca ma non altrettanto accurata e perfetta : pare che l'artefice sia stato sopratutto preoccupato di rendere l'espressione dell'insieme, senza troppo cercare i particolari. Pensano gli archeologi che la statua avesse dovuto trovar il suo luogo in un frontone, perché la parte anteriore di essa è più curata che la posteriore, così da far immaginare che la figura dovesse esser situata contro una parete. Forse, e non in sostegno di questa ipotesi, si potrebbe osservare che appunto dalla parte posteriore è visibile il bellissimo atto, pieno di sapiente naturalezza, con cui la giovinetta raccoglie nella mano un lembo della diploide per comprimere la ferita. Ma, checché sia di ciò, non è possibile non notare una certa disuguaglianza tra l'impostatura della statua e la traduzione del suo concetto d'insieme, tra la meravigliosa finitezza di alcune parti, e la trascuratezza quasi grossolana di altre. Tutto lo sviluppo del giovane potente seno femminile è reso con morbida sicurezza e maestria : ma il torso troppo solidamente costruito e il collo troppo grosso danno al nudo un carattere di mascolinità, che contrasta stranamente con la bella testa fina^ con la breve fronte, coi grandi occhi dalle palpebre carnose, col naso sottile e grazioso, con la linea della bocca femminilmente gentile.

Così i capelli che scendono in strie ondeggianti a coprire le tempie e son poi in grande massa raccolti sulla nuca danno al capo un'evidente, e forse troppo voluta, impronta di arte arcaica, che manca invece totalmente nel contorno delle labbra, nel taglio dell'occhio, nell'attaccatura dell'omero, e, più visibilmente che mai, nel modo ond'è trattata la stoffa. A qualche osservazione si presta anche il panneggio della statua : una diploide, come certo dimostrano la rimboccatura che dalle spalle gira verso il fianco destro, e il doppio lembo, del quale si può seguire la linea ondulata lungo la parte che scende dalla coscia destra. Trattalo a pieghe ondeggianti e spesse, con un alternarsi di piccoli piani molto profondi, questo panneggio sembra, a prima vista, in contrasto con le forme semplici e severe del nudo : è un panneggio di un artista consapevole degli effetti a distanza, che ha voluto rendere, in modo realistico, il movimento di una stoffa di lana leggera, che scivola dal corpo in un'azione concitata qual'ò quella della Niobide.

Questa maniera non è aliena dal fare dei maestri dell'arcaismo finiente ; poiché qualche cosa di simile — almeno nel vario movimento delle pieghe — noi vediamo, per esempio, in qualche figura del frontone occidentale di Olimpia. Ma qui — pure essendo questa maniera del panneggio in pieno contrasto con la severità dei bei pepli dorici larghi e spianati — c'è senza dubbio l'intenzione realistica e lo sforzo di rendere la forma delle pieghe spesse e ondeggianti di un abito che segua il movimento concitato della persona e gli effetti dello stiramento del panneggio stesso ; e questa intenzione realistica è sempre visibile nel collo, sotto le ascelle, nel gomito destro, nel pube, altrove : come se lo scultore abbia voluto ripromettersi quegli effetti a distanza, la cui chiara intenzione si scorge con grande evidenza nel panneggio della figura. Copiava dunque l'artefice di questa Niobide degli Orti Sallustiani, da un grande antico modello, che ci è assolutamente sconosciuto ? Oppure, piena la mente delle rappresentazioni arcaiche e innamorato di esse, ne rendeva egli in epoca assai più tarda, liberamente l'impressione, com'essa si presentava alla sua fantasia^ senza voler subire^ nell'impeto della creazione, alcun vincolo di scuola ? Non è facile dirlo. Certamente però la mossa squisitamente gentile e magnificamente vera, la morbida sicurezza del tocco, la plastica evidenza del nudo, la perfezione del seno, giovanilmente balzante dal corpo che si torce nel dolore, la nobile testa gentile così espressivamente sofferente, fanno di questa statua uno dei più puri gioielli deirartc ellenistica, che nella Sua integrità, sia stato conservato alla nostra ammirazione.

Roma Moderna - Arturo Calza - 1911

Niobide degli Orti Sallustiani. Una delle giovanette figlie di Niobe, colpita dietro alle spalle da uno strale di Apollo di Artemide, si abbassa sulle ginocchia, e stramazzerà tra poco al suolo, mentre le mani in un penoso movimento cercano di giungere a strappare il ferro. La statua, che Tesarne sti- listico fa ritenere un originale, faceva parte di un gruppo posto a decorare il frontone di un tempio insieme ad altre figure, di cui due : un Niobide morto, e una Niobide ancora illesa in fuga, rinvenute nel luogo stesso, sono ora a Copenaghen. La composizione di questo frontone può porsi tra quei famosi di Olimpia e quelli del Partenone, ossia all'incirca tra il 450 e il 425 a. Cr, L'arte non si è ancora liberata da tutti i ceppi e da tutte le durezze dell'arcaismo, per quanto lasci trasparire segni indubbi di fresco e vigoroso progresso. Tali segni di novità si rivelano forse, meglio che nelle altre due, nella nostra statua, in cui è affrontato oltre al problema del vivo e insolito movimento, anche quello del nudo femminile, non esemplifìcato finora da altra scultura più antica di questa. La grazia incomparabile della testa rivendica in ogni modo l'atteggiamento poco felice e poco possibile del braccio destro.

Le terme di Diocleziano e il Museo nazionale romano - Roberto Paribeni (1920)

La Fanciulla d'Anzio

Stampa antica del Colosseo

Uno dei più grandi acquisti fatti in quest'ultimo tempo dal Museo delle Terme è quello della Fanciulla d'Anzio. La bellissima statua, scoperta più che trent'anni fa sulle rive del Tevere, vicino a Porto d'Anzio, e venuta in luce quando una forte mareggiata sconvolse gli antichissimi ruderi della Villa di Nerone, fu acquistata recentemente dal Governo italiano per la somma di 450 000 lire pagate al principe Aldobrandini, proprietario del terreno ove s'era fatto il trovamento. Son troppe recenti le polemiche a cui questa veramente insigne opera d'arte ha dato luogo, perché noi dobbiamo accennarvi.

S'è discusso sul valore della statua ; s'è discusso assai più sul suo significato. Basti dire che essa è ritenuta; ormai quasi concordemente dagli archeologi (la piena e universale concordia di questi dotti non è mai facilmente raggiungibile^ per un'opera ellenistica di raro valore ; e che rappresenta una giovinetta che si prepara ad adempiere un ufficio sacro, una jerodula, con grandissima probabilità. E vorrei concludere che l'infinito pubblico che è curioso € che accorre a visitarla (è in gran parte a questo acquisto che è dovuto il forte incremento avvenuto nella tassa d'ingresso al Museo), non bada alle discussioni, ma ammira.,..

Roma Moderna - Arturo Calza - 1911

La fanciulla d'Anzio. Una giovanetta passa innanzi a noi tenendo nelle mani un vassoio su cui restano un rotolo forse di pergamena, un ramoscello di ulivo, i piedi di una cassettina. La religiosa cura che ella dimostra nel suo atto, l'attenzione assorta e devota con cui contempla gli oggetti portati, ci persuadono, che essa attende a una funzione sacra. Ma non è già ella la sacerdotessa. Troppo umile e semplice è il suo atto, troppo dimesso il suo vestito. La tunica (chitone) di una rude stoffa simile al crespo, male adatta, rialzata alla, cintura dal lato sinistro, scende dal lato destro, lasciando nudi la delicata spalla e uno dei seni; il mantello (bimation) è nella più gran fretta gettato sulla spalla sinistra e attorto, meglio che avvolto, intorno alla vita. I calzari sono della forma più semplice e più povera, perfino i capelli sono frettolosamente girati intomo al capo e raccolti in un nodo sulla fronte. Niente dunque della grave, solenne, composta dignità sacerdotale. Né si può pensare, come alcuno propose, a una poetessa che rechi il suo carme e il premio che ne conseguì Quell'ingenua fronte di giovanetta non disvela alate sublimità di pensiero, né concitate passioni del cuore. Né è dessa, come altri volle, Cassandra, la disperata profetessa e testimone d'ogni più orrenda sciaguia: é una lieta ragazza dal cuore tranquillo; sorriderebbe, se non la trattenesse la venerazione per le cose sacre che porta. Né in alcun modo é un maschio, come alcuno arrivò a pensare. Abbastanza chiaramente essa rivela Tesser suo, é una umile giovanetta che con devota alacrità,, pronta ai cenni d'un sacerdote o d'una sacerdotessa, apporta le cose sacre. È quasi certo a mio giudizio, che la statua abbia fatto originariamente parte d'un gruppo. Infatti il plinto stesso, che é d'un solo pezzo con i piedi, ci dice quale doveva essere la posizione designata dall'artista per la veduta della statua, quella cioè nella quale il viso appare nettamente di profilo. Ed invero a quella veduta cospirano le grandi linee ar- chitettoniche della figura, e le negligenze dell'artista per le parti non destinate a esser viste. Ma la veduta di profilo del viso fa perdere quasi completamente la bellezza di esso e in particolar modo la squisita fattura della bocca, a mostrar la quale Tartista non poteva aver rinunciato. Il punto di vista dunque doveva essere non sull'asse medio della figura, ma del tutto fuori di essa lungo una parallela al plinto, molto a destra, di fronte alla parte centrale di un gruppo, di cui la fanciulla occupi l'estremo limite di sinistra. Se il volto dolcissimo richiama Tarte di Prassitele, il maestro d'ogni grazia, il sapiente e movimentato panneggio sembra esser più recente, onde non è improbabile che la statua debba ascriversi all'opera di un sapiente eclettico di un secolo o più posteriore a Prassitele. La statua rivelata nel 1878 da un colpo di mare che scoprì nn tratto di muro romano con nicchie ornate di statue sulla spiaggia dì Porto d'Anzio, dimenticata per più anni, poi esaltata e vitu- perata con soverchio ardore, è certo un originale greco dei piìi freschi e dei più simpatici, che l'arte antica ci abbia conservato. Dalla candida figura di giovanotta che non sa vestirsi né petti- narsi, che non si è mai guardata allo specchio, né si accorge d'essere bella, spira il fascino intenso dell'arte grande e insuperata con tanta rigogliosa spontaneità fiorita sul suolo ellenico.

Statua di Dioniso

Stampa antica del Colosseo

Statua in bronzo di perfetta conservazione rappresentante Dioniso (Bacco) giovanetto, nudo, in piedi, con tirso nella sinistra e probabilmente una tazza nella destra abbassata. L'artista per quanto diligente (e ne fanno fede le ageminature in argento e in rame della fascia intorno al capelli, delle labbra e dei capezzoli, e l'intarsio in marmo bianco degli occhi) si rivela però fiacco, quasi timido e impacciato nel trattamento del nudo. Non è improbabile perciò che si tratti di una scultura eseguita in Italia, e più specialmente in Campania, dove pare ci richiami la moneta non sicuramente identificata, impressa sul polpaccio della gamba sinistra. Dal Tevere, fondandosi il Ponte Garibaldi.

Le terme di Diocleziano e il Museo nazionale romano - Roberto Paribeni (1920)