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2 - Colosseo - Anfiteatro Flavio

di P. Colagrossi - 1913

Colosseo - Anfiteatro Flavio
Colosseo - Anfiteatro Flavio
Stampa antica del Colosseo

Augusto ideò di edificare un anfiteatro nel centro di Roma, e precisamente fra i monti Palatino, Celio ed Esquilino; ma il suo progetto non fu effettuato. L'attuazione di queir idea era riservata a FI. Vespasiano il quale, nell'anno ottavo del suo consolato, essendo già terminata la guerra giudaica, pose mano alla grandiosa opera. Scelse allo scopo il sito prescelto da Augusto, urbe media, sito detto Cerìolense, che Nerone avea ridotto a foggia di lago o golfo, circondato da grandi edifizi, e che perciò dicevasi stagnum Neronis. Pietro Rossino scrisse che il Colosseo fu compiuto in quattro mesi, e che vi lavorarono 12,000 Ebrei condotti schiavi da Tito. Nessuno storico ci ha ti'amandato quanto Rossino afferma. Anzi Giuseppe Flavio (il quale trattandosi di un tanto lavoro eseguito dai suoi connazionali, non avrebbe mancato di segnalarlo nelle sue opere) non ne fa motto. Soltanto ci dice che Tito trasportò in Italia, pel suo trionfo in Roma, oltre i capi Simone e Giovanni, 700 uomini e non più. Narra altresì che le altre migliaia di Ebrei prigionieri erano stati o venduti, o fatti morir d'inedia o trucidati o condannati alle miniere d'Egitto distribuiti nelle province, per esser consumati dal ferro e dalle bestie . Dopo due anni l'edifizio era giunto al terzo gradus; ma Vespasiano non ebbe la sorte. di vederlo compiuto, perchè la morte lo sorprese. Suo figlio Tito gli successe e nell' Impero e nel proseguimento del lavoro del colossale Anfiteatro. Questi aggiunse altri due gradus ai tre già costruiti da suo padre; e, nell'anno 80 dell'era nostra, "ne fece la solenne dedicazione. Eutropio e i cronologi Eusebio, Di S. Prospero e Cassiodoro, attribuirono a Tito la maggior parte dell'opera del Flavio Anfiteatro Neppur Tito compì del tutto l'opera: fu Domiziano, fratello e successore di lui, quegli che, come ci dice il cronografo dell'anno 334 , condusse l'opera dell'Anfiteatro m^que ad clypea. Che cosa si debba qui intendere per dt/pea, lo vedremo nel prossimo capitolo. « Gli atti arvalici, dice il Professor R. Lanciani sono un documento insigne per riconoscere a quale punto di perfezione fosse stata condotta la fabbrica dell'Anfiteatro circa la metà dell'anno 80. Questi atti parlano di tre meniani, che sono: il MAEMIANVM PRIMUM con un minimo di otto gradini marmorei, diviso in cunei; MEAMIANUM SECUNDUM anch' esso diviso in cunei, nella parte più alta del quale (M. II. SVMMVM) gli Arvali, cioè i ministri inferiori del Collegio, avevano ottenuto posto in quattro gradini marmorei: il MAENIANVM SVMMVM IN LIGNEIS, diviso in tante tabulazioni, quanti erano gli intercolunni del portico (e gli archi da basso) con un minimo di undici sedili di tavole. Siccome a queste tre zone principali di sedili marmorei o lignei dobbiamo aggiungere per altre ragioni il podio dei senatori (per non parlare dell'arena, del pulvinare imperiale, ecc.), e siccome la divisione del terzo meniano in tabulazioni suppone la esistenza del portico; se ne deduce la conseguenza che, nell'anno 80, quando fu solennemente dedicata la fabbrica, essa era stata recata a compimento, salvo forse nei particolari dell'ornamentazione, i quali saranno stati perfezionati da Domiziano ».

Tito dedicò l'Anfiteatro in nome proprio e non in quello del padre; ed a questa dedicazione, nonché alle sontuose feste e giuochi in quell'occasione celebrati, alludono due medaglie, portanti nella parte dritta la figura di Tito, assisa sopra trofei ed in atto di presentare un ramoscello d'olivo; e, sul rovescio, l'Anfiteatro con la Mèta Sudante a sinistra, ed un portico a doppio ordine di colonne a destra: prospetto che corrisponde alla parte dell'edificio che guarda il Celio, il cui arco, prossimo al centrale del primo ordine esterno, portava il numero I . Che il cono che osservasi a sinistra dell'Anfiteatro rappresenti la Méta Sudante, checché ne dica il Maffei, non v'ha ormai chi dubiti. Ma che cosa sia quel portico a doppio ordine di coloime che si scorge a destra, è ancora molto disputabile.

Stampa antica del Colosseo

La forma dell'Anfiteatro Flavio è ovale, come ovali sono generalmente tutti gli anfiteatrali edifici . La lunghezza dell'asse maggiore di questo grande ovale, compreso il primo gradino che circonda la mole, è di m. 191, 20; quella dell' asse minore è di m. 158, 50. La periferia, presa sempre sul ciglio del detto gradino, dà m. 546. L' altezza, dal livello stradale alla sommità, è di metri 50 . Un'area lastricata di travertini, larga m. 17,60, attornia l'Anfiteatro, secondandone la curva. E quella terminata da grossi cippi di travertino, tagliati superiormente a semicerchio, alti m. 1, 75, larghi m. 0, 76 e grossi m. 0, 60 (-3); distano 1' uno dall' altro m. 3, 40, e nella loro faccia interna rimangon tracce dell' impernatura, forse delle sbarre metalliche, che collegavano 1' un cippo con r altro. L' intiera mole sorge esternamente sopra due gradini, il primo dei quali ha m. 0, 425 di pedata e m. 0, 20 di alzata; il secondo m. 0, 18 di alzata, e, dal ciglio al plinto della base della colonna, una pedata di m. 1,02, la quale si unisce nel vuoto degli archi col pavimento del portico. Consta r edificio di quattro piani. I pi'imi tre sono arcuati ed ornati con colonne di mezzo rilievo, d'ordine rispettivamente Dorico, Jonico e Corintio; il quarto piano non ha archi, ma finestre rettangolari; ed anziché da colonne, come i tre sottoposti, è decorato da pilastri con capitelli Corinti: il che, secondo alcuni architetti, meglio asseconda l'occhio in tanta altezza. Nei due primi piani le colonne sporgono dai pilastri degli archi per due terzi del diametro, e nel terzo piano per la sola metà. Esse hanno tutte egual diametro, e di eguale larghezza sono eziandio i pilastri dell'ultimo piano.

L'ordine del piano terreno è un Dorico non legittimo: non ha triglifi nel fregio; il capitello in luogo dei tre listellini ha una gola, ed al fusto della colonna è sottoposta una base, di un carattere differente dalle quattro consuete. L'altezza di quest'ordine è di m. 10, .50: gli archi hanno m. 4,30 di larghezza e m. 7, 10 di altezza. L'ordine del secondo piano è Jonico, ed è alto (compreso il piedistallo) m. 11,85. La colonna ha la base attica. Gli archi hanno m. 4,30 di larghezza e m. 6,50 di altezza. Essendo il pavimento del portico di questo piano a livello della cimasa del piedistallo della colonna, vi si dovette fare un parapetto dell' altezza di un metro. L'ordine del terzo piano è Corintio, ed è alto (compreso il piedistallo) m. 11,60. La base della colonna è toscana: nella cornice di quest'ordine è da notarsi che essa non ha gocciolatoio, ma i modiglioni reggono immediatamente il listello sottoposto alla gola finale.

Gli archi sono larghi m. 4,30 ed alti m. 6,40. Anche qui, come nel sottoposto piano, v' è, per la stessa ragione, un parapetto alto un metro. I pilastri del quarto piano sono Corinti, hanno la base attica, e tutto r ordine, compreso il piedistallo ed un dado che è sottoposto alla base, è alto m. 13,90. Il cornicione di quest' ultimo ordine è classico, perchè (mentre mantiene le altezze dell' architrave, del fregio e della cornice proporzionate al pilastro), per l' introduzione di robuste mensole nel fregio e per la semplificazione della cornice (che, decorata a guisa di architrave da tre fasce ed una cimasa, forma nel suo assieme, senza esser pesante, un grandioso gocciolatoio), corona stupendamente l' intiera mole. Questo piano, come già si disse, invece di archi ha finestre rettangolari, le quali sono di due dimensioni, e si trovano disposte negli intervalli fra i pilastri alternativamente. Le maggiorisi trovano nella parte superiore; hanno una dimensione di m. 1,72 X 2,57; le minori di m. 1,30 X 0,90; e trovansi nel dado del basamento.

Stampa antica del Colosseo

In tutto il recinto esterno dell'Anfiteatro, ed anche internamente, il materiale usato nella costruzione è il travertino. I massi, come è proprio dell'opera quadrata, sono commessi senza malta; o al più come dice il Gori, furono assestati con una leggera còlla di calce, ed erano collegati fra loro con spranghe e perni di ferro, i quali rimangono tuttora entro alcuni buchetti quadrati, profondi un dito circa. Tal modo di costruzione è antichissimo; e ce lo dimostra un passo di Tucidide , il quale afferma che nelle grosse mura, fabbricate per consiglio di Temistocle dagli Ateniesi intorno al Pireo, non v'era né ghiaia, né malta; ma grosse pietre com,messe insieme e tagliate in quadro, le esteriori delle quali erano collegate fra loro con ferro e piombo. «Arduo dovè essere il lavoro di chi, in età men rimota, smantellò una parte del Colosseo!» esclama il Fontana. L'Eschinardi ci assicura d'aver visto grosse spranghe di ferro in una colonna fra gli archi LII e LVI, e nell'arco XLVIII; e che il 12 Agosto 1689, giorno in cui cadde un arco interno dell'Anfiteatro, vide fra i materiali molte altre spranghe. Anche il Ficoronì ci narra che allorquando, nel 1703, a cagione del terremoto, cadde \in' ala dello stesso Anfiteatro, trovò fra i travertini due spranghe, una di metallo ed una di ferro, le quali commettevano l'una coll'altra pietra. Eccettuati alcuni rari casi in cui a collegare i massi di pietra quadrata s'usò il legno, fin da antichissimi tempi s'usò, come si è detto, il metallo e specialmente il ferro. Vitruvio prescrive che nei monumenti composti di un nucleo di muratura rivestito di un paramento di pietra quadrata, questo si colleghi con una controparete interna di tufi squadrati, per mezzo di spranghe di ferro e piombo. L'uso di concatenare in questa guisa le antiche fabbriche fu causa che col tempo nascessero nei monumenti quei tanti buchi che anche oggi vediamo, e che così orribilmente deturpano eziandio l'Anfiteatro Flavio. Vi fu chi credè che quello sfregio fosse opera delle mani dei barbari; altri poi l'attribuirono ai mercanti, i quali avrebbero fatto quei fori per introdurvi i pali onde sostenere le tende in occasione di fiere, ecc. .

Oggi però nessuno dubita che la maggior parte di quei fori siano stati praticati collo scopo di estrarre i perni metallici che stringevano le pietre fra di loro. In ogni parte dell'Anfiteatro o furono asportate le chiavarde o fu tentato estrarle. Nell'età di mezzo il ferro addivenne un articolo un po' raro, e quindi crebbe di prezzo; l'abbandono, d'altra parte, della città fece si che i custodi degli armenti ed i pastori frequentassero quel rione; e questi poi, chi per povertà, chi per speculazione e chi per passatempo, intrapresero quella pessima occupazione. Alcuni opinano che quel latrocinio abbia avuto principio fin dai tempi di Teodorico, giacché questi riprese aspramente coloro che rubavano dai muri il metallo ed il piombo. Altri invece, e con più ragione, sostengono che Cassiodoro non parli dell'Anfiteatro Flavio, ma bensi delle rovine del teatro di Pompeo e d'altre fabbriche. Laonde, dicono, presero equivoco Flavio Biondo, Lucio Fauno, ed il Martinelli, che dissero l'Anfiteatro già in rovina ai tempi di Teodorico, la cui lettera (sulla quale questi scrittori fondano la loro opinione) non pai-la delle rovine dell'Anfiteatro Flavio, in cui a quell'epoca si rappresentavano ancora i giuochi, ma bensi delle rovine dell'Anfiteatro di Catania.

Stampa antica del Colosseo

Dobbiamo confessare esser cosa ben difficile potere stabilire il tempo preciso in cui ebbe principio questa deturpazione dei monumenti. Il Nibby ritiene che quei buchi siano stati fatti ai tempi in cui i Frangipani abitarono il Colosseo. Il Fea dice, invece, che, osservando bene la fabbrica del Colosseo, ha notato che alcuni di quei buchi si dovettero fare in tempi molto remoti, prima, cioè, che (come vedremo a suo luogo) i Frangipani ne prendessero possesso: perche, dice, innanzi tutto è inverosimile che quei signori, sì ricchi e potenti, abbiano potuto far compire per un vile guadagno quell'atto vandalico; e neppure è credibile che abbiano lasciato il Colosseo, in balia di miserabili guastatori di monumenti, i quali facevano professione di cercar piombo, ferro e metallo, per trarne utile colla vendita: e secondariamente, perchè i buchi suddetti si trovano anche in quei luoghi, su de' quali i Frangipani fabbricarono o appoggiarono muri da loro fatti per abitarvi. Altri buchi poi, soggiunge, furono certamente fatti dopo che quella famiglia lasciò di possedere l'Anfiteatro Flavio : nell'epoca, cioè, in cui i Papi trovavansi in Avignone, e dopo la caduta di una gran parte del portico esteriore. Si vedono infatti buchi praticati nei siti delle rovine, ove mai si sarebbero potuti fare, se l'edifizio fosse stato nel suo essere: buchi, che negli stessi luoghi e nella parte conservata non si osservano davvero; vale a dire, nelle piante dei pilastri che corrispondono alle vòlte rovinate. È un fatto incontestato che fin dai tempi degli Imperatori, ed anche prima, vi fosse gente iniqua, che, per capriccio o per far dispetto a qualcuno, deturpasse i monumenti sepolcrali, e rompesse le statue poste in pubblico, o le insudiciasse ; che vi fossero oziosi e mal viventi, i quali rubassero i metalli di cui gli edifizi erano esteriormente adorni, o fracassassero statue di metallo già dedicate o esposte al pubblico, o che mandassero in rovina i sepolcri, di coloro i quali (contravvenendo alle leggi) si facevano tumulare con gioie, oro, argento e vesti preziose .

tratto da: L'Anfiteatro Flavio di P. Colagrossi - 1913