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VILLA ADRIANA

Villa Adriana
Villa Adriana

Prima di visitare le antichità ne' campi dove sinora fu ristretta la Villa Adriana, si deve sapere che nel fondo e nelle ripe del vicino Laghetto "Pantanello" furono trovati moltissimi oggetti: ossia un considerabilissimo numero di preziosi marmi in colonne, capitelli, vasi, candelabri, genii, bassorilievi, putti, animali, basi, mostri marini, e frammenti di statue e di fregi: molti busti, fra quali 2. di Adriano, 1. di Antonino Pio, 1. di Eliogabalo, ed 1. di Giulia; gli Ermi di Alcibiade, e di un Fauno; le statue di Diana Efesina, di Giasone, una Baccante, frammenti del Gruppo di Menelao con il cadavere di Patroclo, un Istrione, due Pavoni in marmo pentelico; le teste di Antinoo, Antonino Pio, di Faustina Maggiore, di Iole, Laocoonte, Lucio Vero, Marco Aurelio, Omero, Seneca, Socrate, di un Gladiatore, di un Capro di rosso antico ec. Così pure diversi punti sonosi rinvenute due specie di "breccia" incognita, detta "della Villa Adriana".

Passato il Cancello dell'Eccmo Braschi Onesti, all'usofrutto del quale appartiene grandissima parte della Villa, un Viale fiancheggiato da secolari Cipressi significa eloquentemente che introduce alla ruina e morte di preziosi edifici. L'area quadrilatera, che prima si spiana con ruderi di muro, si vuole, cingessero portici innanzi al Teatro Greco. È questo un semicircolo appoggiato ad una linea retta, 250 pal. lungo, 190 largo. Nel semicircolo sono gradini a più ordini, e nella retta un palco. Tanto sotto le gradinate come sotto al palco camminano ambulacri. All'occidente era il Teatro dominato da un Tempio creduto di Nettuno (forse era di Apollo Delfinio) per alcuni fregi di marmo esprimenti corse di mostri marini ed animali guidati da Genii. Non solo il Teatro con l'area quadrilatera ma ancora il terreno che a levante si eleva e scende alla vallata voluta di Tempe, si chiama la Palestra di Atene o luogo dove si esercitavano gli Atleti alla lotta, al salto, al cesto, al disco, alla corsa. Vi sono tracce di platee, portici aperti e scoperti, stanze, e un Ninfeo con nicchie a finissimi stucchi, in mezzo al quale un Tempio rotondo si disegnò d'ordine dorico. Vicino al Teatro Greco giacevano i Capitelli con Delfini per volute ora al Museo Vaticano, e nelle altre fabbriche il Busto colossale d'Iside, un Erma di Ercole con orecchie mutilate, tre mezze figure atletiche di rosso antico incoronate d'oleastro, e le statue di Cerere e di alcuni Atleti. Presso il Fossicello a basso, Ligorio osservò una specie di Teatro Latino più vasto del Greco. Rinvenne in quel luogo oltre varie colonne 40 basi per istatue, la statua nuda di Adriano con globo in mano e clamide sulla spalla, e quella del Pancraziaste posta al Museo Capitolino.

Un secondo Viale di cipressetti con infine quattro giganteschi porta agli avanzi de' pilastri di un triplice Portico appoggiato ad un muraglione che girava quadrato. Nel mezzo dell'area stava una peschiera; e dalla parte orientale un'esedra serviva all'Imperatore per assistere agli spettacoli. Ora nella piazza domina enorme pigna e si fronteggiano due cipressi. Questa grandiosa fabbrica si pretende il Pecile, ossia portico d'Atene sì chiamato dalla varietà delle pitture, frutto de' pennelli di Polignoto, Micone, Paneno.

Il muraglione settentrionale introduce all'est in un'Esedra con tre Nicchie semicircolari chiamata Dieta degli Stoici. Ligorio dice che il pavimento era tutto di porfidi ed altri mischi variamente tagliati. Ha quattro porte l'una contro l'altra. Quelle a levante introducono in un Edifizio circolare, con in mezzo alcune nicchie, creduto Teatro Marittimo. Ecco come descrisselo Ligorio: «A lato alla dieta è un altro luogho ornato di un Portico Ovato, nel mezzo della piazza sua è un Edificio ottagono, che per ogni lato fa porte e nichi, ed altri repositorii di statue, dove di dentro e di fuori erano molte Imagini de' Dei; e vi scaturivano Fonti; dentro per loro fregi erano intagliati Mostri Marini, tanto di forma humana, come d'ogni animale terrestre e marino con code di Delphino, con Donne et Amori a cavallo, in altri ci erano intagliati carri tirati da diversi animali, et Augelli guidati da certi Cupidini alati, o vogliamo dire Intelligenze che fanno un giuoco Circense; alcuni de' Carri hanno per suoi Cavalli Struzzi, altri Arieti; Capre e Leoni; altri, Cavalli proprii, Tigri, e Colombe, quasi mostrando che ogni spetie corre ad un fine terminato, ò alla Morte, ò alla Generatione. - Queste cose, parte sono state portate à Roma nell'Horto del Cardinale Farnese, parte ridotte in Tivoli murate per le case, e parte sono in potere di V.S. Illma (Card. Ippolito D'Este).»

All'oriente un antico andito mette in una piazza larga pal. 230, e lunga 295, circondata già da un portico d'ordine corintio. Nell'esedra interrata con tre nicchie si trovò un bellissimo Fauno di rosso antico. Le sale e camere superiori s'intitolano Biblioteca greca e latina.

Seguendo il viale verso il lungo dell'area si entra in un corridoio avente nella volta a destra 4 abbaini aperti e 2 chiusi. Chiamasi "Elio-camino" o stufa solare. Tra l'Elio-camino e l'area delle Biblioteche nel 1779 Monsignor Furietti scoprì un grande mosaico meravigliosamente fregiato ne' giri da pampini, frutta e nastri. Nel vano di mezzo son 4 quadretti con maschere sceniche ed una boschereccia di elegantissimo lavoro. Conservasi in un Gabinetto del Museo Vaticano. A destra un altro corridoio ha pure abbaini nella volta, e nicchie per istatue. A sinistra sta un gruppo di camere in ruina, della forma di quelle di Pompei. Passati due altri cubiculi si fa posa in una loggia scoperta, dove si affaccia la veduta della Valle solcata nel mezzo dal "fosso di Palazzo". Siccome questa gira 6 mila passi intorno alla Villa, ed ha le ripe ornate di pomici, la credono perciò la valle di Tempe. È triste e silenziosa, tranne il tempo quando il vento balza sui canneti e li fa gemere unitamente agli annosi lecci appoggiati ad un muro del balcone.

Fuori dell'elio-camino il viale seguita a percorrere un campo verso l'oriente sino ad un'area. Qui osservasi parte di un Tempio ottagono con occhio nella volta, ed otto nicchioni, 4 rettangoli e 4 circolari. Contigue sono fabbriche ruinate sopra un cripto portico, ed un emiciclo di esedra con nicchie. Indi si passa alla quadrata Piazza d'Oro lunga 290 palmi, larga 245. Intorno girava un portico di colonne di cemento, su cui sussistono alcune camere. Vi dovea esser pure un altro portico, ma con colonne di marmo bigio e capitelli corintii, essendosene trovate 16. Al fianco australe della Piazza una scalèa magnifica ascendeva ad un Tempio ornato da colonne striate di giallo antico, ed avente, secondo Ligorio, nel centro una fossa profondissima, oggi interrata. Dietro al Tempio si rilevò una cavea profonda, colonne dello stesso marmo, e 4 fontane. Chiudeva i due lati dell'edificio un doppio portico fino a sei sale ed altre fabbriche assai patite. In questi contorni si scoprirono le statue di Cerere e Proserpina. Verso ponente tra gl'informi alloggiamenti a vari piani e avanzi di portici anche sotterranei all'angolo d'una platea lunga palmi 360, larga 285 si volge a maestro un Tempio sferico adorno di cinque nicchie, delle quali maggiore è la media. Verso mezzogiorno quasi dirimpetto al Tempio una Fabbrica quadrata dicesi Cucine di Palazzo. All'occidente si percorre in tre soli lati un criptoportico con abbaini rispondenti in un'area imboschita che in 4 quattro parti circondavano. Stima Ligorio, che sul criptoportico un peristilio retto da 40 colonne s'innalzasse. Dell'appartamento in alto rimangono 11 sale. Una loggia scoperta guarda uno stadio. Nel criptoportico settentrionale entra un foro moderno in due celle sotterranee con segni di pitture, come li ha il criptoportico. Più verso tramontana alcuni Edificii, tra' quali una stanza ad otto facce attorniata da cinque porte, pei tubi di cotto che stanno sulla cornice di questa, si credono Terme. Tutte le fabbriche dopo l'elio-camino sino a questo luogo, si reputano costituenti l'Imperiale Palazzo. Vi si trovarono due consimili are triangolari aventi ne' bassorilievi tre Genii di Marte con elmo, spada e scudo, un bassorilievo con Giove nascente, i busti di Adriano, di Antinoo semicolossale, di M. Aurelio, il frammento singolarissimo degli Dioscuri, due somiglianti simulacri del Discobolo di Mirone, gli ermi di Bacco, Arianna ed Ercole, la statua di Elettra, la colossale testa di Cibele, un Toro genuflesso, un grande Tripode marmoreo in cui stanno scolpiti Tritoni e marini Cavalli.

Le ruine dall'elio-camino fin qua unitamente agli oggetti discoperti dimostrano, che nella Villa Adriana erano come in Atene i scartai di Cerere, Proserpina, di Marte. Cibele e dei Dioscuri.

Più a basso si cala nello Stadio o luogo fatto a guisa de' romani Circhi, lungo palmi 590, largo 130. Ivi si osservano tracce di Portici coperti, ed una corte quadrata con tre cavee. Si crede che qui si scavasse la celebre statua del Gladiator Moribondo esposta al Museo Capitolino e voluta un Guerriero Gallo ferito e spirante. Quindi si passa a due corpi di Edificii con vestigia di bagni, per lo più a due piani e da una piazza divisi. Di fronte un Edificio nomato da Piranesi Pretorio, che a grande altezza si estolle, andava a terminare ne' fianchi in due torri quadrate. In queste giravano due scale a branca doppia sino ai meniani che uno per piano mettevano ai cubiculi disposti in tre piani.

Addossate al Colle del Pecile si vedono 100 Celle coi muri a doppia fodera. Hanno due e più piani ai quali si ascendeva per un ponte di legno o meniano. Si vogliono Alloggiamento delle Guardie Pretoriane, ed un specie di torrione circolare in un angolo, stanza del Prefetto. Anzi Chateaubriand nella inesattissima descrizione della Villa, non accorgendosi punto della via di neri selci, su cui camminava, ecco cosa scrisse: A gauche du Poecile et sous le Poecile meme on descend dans les Cento-Cellae des gardes prétoriennes; ce sont de loges, voûtées de huit pieds à peu-près en carré, à deux, trois, et quatres étages, n'ayant aucune communication entre elles, et recevant le jour par la porte. Un fossé régne le long de ces cellules militaires, oû il est probable qu'on entroit aut moyen d'un pont mobile. Lorsque les cents ponts étoient abaissés, que les Prétoriens passoient et repassoient sur ces ponts, cela devoit offrir un spectacle singulier, au milieu des jardins de l'empereur philosophe qui mit un dieu de plus dans l'Olympe.» Nel 1744 verso l'angolo settentrionale delle 100 Celle furono portate a luce le statue di Antinoo Egizio, di Flora, di Arpocrate, ora nel Museo Capitolino, oltre due Gladiatori donati al Principe Reale di Polonia. Nelle vicinanze trovò Monsignor Marefoschi la statua giacente di Endimione riposta al Museo Vaticano.

Chi siegue il viale a mezzodì presso un casale scende al terreno a bacino, ch'è manifestamente il Canopo menzionato da Sparziano (Fu costruito ad imitazione dell'Alessandrino, del quale parla Strabone). È una valle scavata nel tufo lunga pal. 882, larga 340: nel mezzo l'Euripo, ora interrato lungo palmi 720, largo 200, si dice che lastricato fosse tutto di giallo antico. Ai due fianchi son due appartamenti per lato con 20 camere in ogni piano. Prorompono dalle mura a destra grossi pezzi di travertino che un meniano sostenevano. In fondo alla vallata sotto due muraglioni rovesciati si celano rocchi di colonne di marmo caristio. Penetrando il viottolo in mezzo ad essi entra prima in un semicircolo, appresso in un andato oblungo, ornati ambedue di nicchie per fontane e statue, e finalmente dove la volta a conchiglia e di bianco musaico rivestita, è scoperta, finisce ad un nicchione, ch'essendo rotto, non proibisce l'accesso ad una grotta. A sinistra dell'andito si entra in una camera illuminata nella volta da larga e circolare apertura, a cui un tronco di albero là rovesciato si appoggia. Sonosi in questa parte scavati i simulacri d'imitazione egizia, cioè il Dio Canopo di basalte verde, un erma e 4 differenti statue d'Iside e d'Api in pietra di paragone, tre sacerdoti Egizi, e le due statue di rosso basalte dette i Cioci di Tivoli: monumenti conservati nel Museo Vaticano, non facendo per nulla menzione di altri sparsi ne' Musei di Europa, e rarissimi prima che si dissotterrassero gli originali dall'adusto suolo dell'Africa.

Il terrazzo superiore contiene ruine di fabbriche e lo termina un lunghissimo muraglione. Al Casale di Roccabruna donò il nome una Torre, che non ha glari fu stoltamente imbiancata. Vi riconobbe Ligorio due Templi l'uno circolare soprapposto all'altro quadrato con nicchioni. Al fine del muraglione sorge rotondo edificio in mezzo ad un portichetto quadrato. Qui giacevano ascosi i due Centauri di nero antico, ora al Museo Capitolino. Nelle basi hanno scritto: ΑΡΙCΤΕΑC . ΚΑΙ. ΠΑΠΙΑC - ΑΦΡΟΔΕΙCΕΙC, cioè Aristea e Papia-Di Afrodisia (Facilmenle era il Tempio di Teseo denominato al muro lungo). Qui pure si scopriva una colonna scanalata di giallo antico. A libeccio si conosce un'area circondata da colonne sostenenti portici lunga palmi 303, larga 173. Bianchi e neri mosaici secondo Ligorio lastricavano i portici. Di faccia si eleva mezzo Tempio con 6 nicchie statuarie. In esso trovò Monsignor Furietti il mosaico delle Colombe, finissimo ed unico nel suo genere, tutto composto di colorate pietre, oggi al Museo Capitolino. A destra giace un corpo di fabbriche credute Ginnasio. Una camera circolare abbellivano colonne di cemento. A sinistra una specie di Teatro, è lungo palmi 80, largo 66, essendo semicircolare da un lato, rettangolo dall'altro. Gli aderiscono due camere, e la maggiore adorna di nicchioni. Tra le fabbriche a destra il Conte Fede rinvenne il Fauno di rosso antico e l'erma del Filosofo Antistene; un quadretto con mosaico che la Caccia del Cocodrillo rappresentava, fu trovato dal De Angelis, il quale tolse dai pavimenti di questa parte tanta quantità di musaici da caricarne venti carretti, che spacciò de' tavolini ad ornamento. Nelle camere a sinistra Monsig. Bulgarini scavò due magnifici Candelabri di marmo bianco, ora al Museo Vaticano. Si fa quindi innanzi il Casino Bulgarini fabbricato sulle ruine di un Tempio. Appresso si visita L'Odeo, che al dire di Ligorio, ornavano colonne a due ordini, e tutto era di marmi incrostato. Si ascende per gradini ad una edicola rotonda, nella quale stava sopra un piedistallo collocata una statua. Oltre i gradini è riconoscibile l'orchestra e la scena. Sotto Alessandro VI qui si rinvennero le bellissime statue delle Muse e di Mnemosine, delle quali non si sa più nuova36. Vicino si trovò l'altra di Bacco appoggiato alla vite, di cui i tralci rode una capra.

Di orrore ti riempie la valle della lunghezza di palmi 635 e larga 72. La serra un emiciclo di tufo incrostato di tartari. Tre ïati introducono in quattro lunghissimi corridoi sotterranei, ai quali fioca luce gettano 79 abbaini dalla volta. Sono gl'Inferi di Sparziano.

Nella pianura verso mezzogiorno si stende un muraglione palmi 600, che reggeva un portico in tutto simile al Pecile. Volgea due ale una a mezzogiorno, l'altra a tramontana.

La moderna Torre Ferrata, così detta per una sorgente minerale prossima a 2 grandi conserve, e il Casino Sabucci tengono tracce di antichi muri.

Dirigendosi a mezzodì ad un miglio circa di distanza si affacciano i colli di s. Stefano. Un'infinità di ruderi, tra' quali scorgonsi tre Templi uno quadrato, un circolare, l'altro a sei facce, cubiculi, bagni, essedre, portici doppi e semplici, una piscina fornita da un acquedotto, una cascata d'acqua, ed altre fabbriche vi si tracciano con pena; giacché nel medio evo fabbricarono in questo luogo un Castello che le antiche ruine sformò. Vi sono due corridoi sotterranei, uno lungo palmi 275, largo 19; l'altro lungo 203 e largo 15. Il primo, dice Contini, "era tutto dipinto di grottesche e figure, che ora sono assai scolorite, che appena si conoscono: ma con l'occasione di scavare ne avemo scoperte alcune assai fresche, delle quali ne avemo tagliati alcuni pezzi, e portati all'Eminentissimo Signor Cardinal Barberino".

La situazione ("saltusque Lycei" di Virgilio] in luogo elevato, e perciò non insalubre come quello dell'Accademia (v. Porfirio ed Eliano), l'Ilisso che dappresso scorrea, e la forma che hanno queste fabbriche di Ginnasio, chiaramente addimostrano, essere qui stato il Liceo. Senofonte rammenta che l'Ateniese Liceo abbellivano pitture, delle quali noi vediamo i segni manifesti ne' corridori. Teofrasto fa menzione di un "aquedotto", che alla guisa del nostro provvedeva il Liceo in Atene. Uno dei templi sacro ad Apollo Licio esser dovea; i Portici servivano al passeggio de' seguaci di Aristotele, ossia Peri-patetici.

Qui si usa rompere il giro della Villa Adriana. Dalle osservazioni che sono in me nate dalla lettura dell'Attica di Pausania, non si deduca, che l'Atene Tiburtina corrispondesse a capello coll'originale. Ciò era impossibile specialmente per la mancanza del mare. Io reputo che l'Imperatore dove abbellì, dove variò la copia secondo l'architettura romana, il suo noto capriccio, e l'indole del terreno. Non mancò poi di frammettervi edifizii ad Atene estranei, e non avrà sempre avuto bisogno di atterrare quelli costrutti dagli antecedenti possessori, come arguimmo nella Villa di Vopisco. Non si fidi però troppo del suo sistema chi a dritto e a rovescio pretende ricavar l'epoca di un rudere dalla maniera di costruzione, come se migliaia e migliaia di operai di età, nazione e lingua differenti avessero l'obbligo di lavorar fabbriche di lontane province con le medesime regole. Inoltre nella Villa detta sempre di Adriano le costruzioni d'ogni ruina sono eguali? Di moltissime son diverse V. Seb. Lett. XIV. Ma affinché dalle nostre osservazioni inducasi in chiunque la certezza di fatto, qui affastelliamo altri documenti.

1. Dice Tucidide lib. II che gli Ateniesi alzati aveano i più magnifici edifizi "al mezzogiorno dell'Acropoli".

2. Quattro "scioteri" od orologi solari, un de' quali in frammento di marmo pario, e verticale ad uso di torre, ed un altro di travertino scavato presso Ponte Lucano, mostrano che in Tivoli esisteva l'edifizio volgarmente chiamato in Atene "Torre de' Venti".

3. È noto l'amore e l'entusiasmo di Adriano per Atene, di cui una parte per le fabbriche procuratele dal medesimo, s'intitolò da lui.

4. Cabral e Del Re attestano che ne' marchi de' mattoni in quasi tutto il territorio tiburtino, e precisamente alle Ville di Bruto e Cassio, e de' Pisoni, ai sepolcri de' Plauzii e de' Sereni, si trovarono i bolli identici a quelli della Villa Adriana.

5.In più lapidi si ha la carica di alcuni "Elii Liberti di Augusto Tabularii, Villae, Tiburtis". I Tabularii erano nelle Città notai pubblici "Ulp.", perché cercare una straordinaria spiegazione di un officio, che nel caso nostro era compatibile con i Liberti?

6.I luoghi ora detti "Villa Adriana" chiamavansi dal popolo "Tivoli Vecchio". La qual denominazione viene afforzata dalle molte Iscrizioni o sepolcrali od onorarie trovate in siti dalla nostra Villa occupati. I cognomi espressi in esse appartengono ordinariamente alle primarie famiglie di Roma, o a Militari insigni, o a Liberti. Tolte quelle Iscrizioni che si riferiscono a persone morte prima di Adriano, e lasciate o messe da queste lungo le vie per imitare i sepolcri delle strade Ateniesi, le rimanenti ci fanno riflettere alle miriadi di Schiavi ad abitar questa Villa obbligati, e agl'Ingenui che per piacere all'Imperatore vi dimoravano. Laonde bene si apponea Livio nel considerare: "Partem Italiae ergastula a solitudine vindicant"; e Seneca : "Arata quondam populis rara, singulorum ergastulorum sunt". "At nunc eadem, vincti pedes, damnatae manus, inscripti vultus exercent" (dice Plinio).

7. Espressamente dice Aurelio Vittore De Caes., che Tibur si chiamava la Villa Adriana, infatti Tivoli stesso vi era compreso: Deinde uti solet tranquillis rebus remissior, "rus proprium Tibur secessit" (Adriano) permissa urbe Lucio Aelio Caesari. Ipse uti beatis locupletibus mos, palatia extruere, curare epulas, signa, tabulas pictas: postremo omnia satis anxie prospicere, quae luxus, lasciviaeque essent.

Siffatte sono le ragioni che alle nostre prove e confronti acquistano il grado di verità istorica, come stimiamo, giudicheranno le Accademie, delle quali all'esame le sottoponiamo, trattandosi d'un fatto dinanzi a cui non poche credenze archeologiche svaniranno. Se a qualcuno le mie dimostrazioni non talentassero, lo preghiam di uscire al nobile certame sul campo letterario. Ripeto ciò che dissi nel "Manifesto" riprodotto nell'"Album", il fine prefissomi in quattro anni di gite faticose e lunghi studi, non è stato l'interesse, o una vana celebrità, ma solo della Scienza il progresso e per "infiammar l'animo degli Studiosi Italiani a tentare più felici ricerche nelle vicinanze delle loro Patrie, affinché lo Straniero non abbia a rimproverarci di non curar le gloriose opere de' nostri Maggiori". Altri paragoni avrei potuto istituire; attendo però che gli Architetti dieno una Pianta nuova e ragionata della Villa, e propizie circostanze volgano per visitar la Capitale della Grecia. E Dio volesse che presto si venisse alla determinazione di fare uno scavo generale. Rileverebbesi la forza del Proverbio che nelle bocche suona de' Tivolesi: «Vi è un Tesoro tra Ponte e Roccabruna, - Che comprerebbe Tivoli e Roma».

Ma come avvenne di sì grande Città la distruzione? La incominciò la noncuranza degl'Imperatori, l'invasione de' Vandali, Goti, e le guerre de' bassi tempi unitamente all'oblio delle Belle Arti la compirono. Per quel che abbiamo esposto Tibur doveva formare l'Acropoli di Atene. Venuti i Barbari contro Roma, non poteva certamente difendere un sì grande recinto. Che fece dunque? A forza di macchine militari distrusse le fabbriche per compor le mura e le torri intorno alla Città, ed affinché non servissero di baluardo ai nemici, a quasi un miglio di distanza tutte le rase. Totila per espugnarlo si accampò nella Villa presso Ponte Lucano, come prova non solo la Istoria, ma ancora alcuni sepolcri con iscrizioni gotiche là trovati. Questo Conquistatore dopo lungo assedio distrusse la Città, e poi egli stesso la rifabbricò con le ruine si sottintende della Villa. A ciò si aggiungano gli altri molti assedii patiti, la risoluzione messa ad effetto di atterrare gran parte della Villa, perché ricovero di masnadieri, e l'impiego de' materiali sino al secolo XVI per fabbricare abitazioni; ed ecco potentissime cause, per le quali non solo Atene, ma pure tutta l'Attica sarebbesi distrutta.

Fabio Gori Viaggio pittorico - antiquario da Roma a Tivoli e Subiaco - 1865

Reperti scavati a Villa Adriana e conservati nei Musei Capitolini

Tra questi è da stimarsi de' primi il raro musaico e rinomatissimo , conosciuto col nome di Colombe del Furietti, appunto perché un cardinale di questa famiglia lo rinvenne nella villa di Adriano in Tivoli, e ne scrisse con magnifico apparato di erudizione. Il detto musaico rappresenta quattro colombe che si abbeverano e si trastullano attorno all' orlo d'una tazza, conforme era quello famosissimo lavorato da Soso, e che ammiravasi in Pergamo, siccome narra Plinio. Esso è condotto in piccole pietre dure, e tanta è la bontà del disegno, la vaghezza e verità del colorito, e la finezza del lavoro, che si ritiene come uno de' migliori dell'antichità.

… Una testa colossale di buon lavoro, rappresentante la dea Cibele, trovala in Tivoli alla villa di Adriano.

… L'oggetto principale di questa sala, e da cui essa piglia il nome, è il superbissimo Fauno di rosso antico. Questo maraviglioso simulacro fu trovato In Tivoli nella villa Adriana, e merita ogni elogio sì per la egregia composizione, sì per lo squisito lavoro del marmo, sì per la bontà del disegno, e ben si vede che fu condotto in un epoca felice per le arti quale fu quella in cui visse Adriano. Il Fauno è in atteggiamento d'uomo imbriaco; egli colla destra solleva in alto un grappolo d' uva nel quale tien fisi gli occhi ridenti, quasi compiacentesi di vagheggiar quel frutto da cui si spreme il dolce liquore che in quel punto lo rallegra; nella man sinistra tiene il pedo, o bastone pastorale, proprio de' Fauni perché addetti a' campestri esercizi; presso il piede sinistro si scorge una cesta ricolma d'uve, a cui accostandosi un capro, colla zampa ne rimove il coperchio, come se di quelle volesse pascersi , e però guarda verso il Fauno, quasi temesse d'esserne impedito, se il discoprisse in quell'atto.

… osservasi anche una bella e pregevole testa di Tideo padre di Diomede , avente sul capo la pelle della testa d'un cinghiale, i cui artigli vengono a ricadergli sulle spalle; si vede inoltre un'ara dedicata ad Iside, in cui è un bassorilievo per ogni faccia: sull'innanzi osservasi la cesta mistica; da sinistra è scolpito il dio Anubi colla palma e il caduceo suoi simboli; nel lato posteriore sono degli strumenti da sacrifizi, e nella parte destra è rappresentato Arpocrate col corno dell'abbondanza, e sul capo il frutto di loto, quest'ara di buon lavoro, fu rinvenuta a Tivoli nella Villa Adriana, e però si deve ritenere che la scultura appartenga all'epoca di Adriano.

… un Discobulo, il quale è fatto a simigilanza di quello in bronzo di Mirone, e fu trovato scavando nelle ruine della villa Adriana in Tivoli

… Questa camera piglia il nome da una statua di Mercurio collocata nel centro di essa , opera pregevole mollo in arte , trovata negli scavi di Tivoli.

… Faustina giuniore moglie di Marco Aurelio , marmo trovato alla villa Adriana in Tivoli

… due famosi centauri, nominati del Furietti , perché quel cardinale scoperseli nella villa Adriana di Tivoli, correndo l'anno 1756. Il pontefice Clemente XIII. comperolli , assieme al musaico delle colombe per la somma di scudi 13,000. e li fece collocare nella sala in cui li vediamo nel 1763. Essi centauri sono rappresentali in età diverse, e hanno diverse espressioni. Uno è vecchio e rabbuffato, mostrando il dispetto che prova nel vedersi avvinte al tergo le mani, per opera forse di un genio di Bacco , che doveva stargli sulle groppe a cavalcioni, come Io prova il foro quadro ch'ivi si vede, entro cui dovette stare impernato. L'altro è giovane e allegro: ha nella sinistra il pedo che appoggia contro la spalla , e nella destra doveva tenere qualche caccia da lui fatta : anch'esso aveva alcun genio sul dorso, come lo prova il foro che vi si scorge. Ambidue stando in una mossa contrapposta indicano che servirono di decorazione simmetrica alla sala ove furono trovati: hanno tutti due, come per clamide , pelle di belve ; il più vecchio la tien sulla spalla, l'altro sul braccio sinistro; sul tronco che li sostiene sono senili strumenti rusticali, cioè, sotto il giovane la siringa legata a un ramuscello di pino, e sotto il vecchio i crotali. Essi sono scolpiti in marmo bigio movalo. Gli scultori Aristea e Papia, elle ne furono autori e posero il loro nome nel plinto, Afrodisei di nascila, appartennero alla scuola fondata nella loro patria, non anteriore al regno di Adriano. Questi due Centauri sono i pezzi più insigni di quella scuola, giunti fino a noi: il lavoro è sorprendente, quantunque i contorni siano segnali con forza, e i capelli abbiano una eccedente precisione, si che degenera in crudezza: la loro conservazione è grande, e pochi ristauri vi furon fatti, fra' quali il più significante è il braccio destro di quello più giovane.

… Statua creduta d'un Pancraziaste , o d'un Ginnasiarca, rappresentato al naturale coperto soltanto dal manto che avvolgegli mezza la persona , colla sinistra gamba innalzata, perchè il piede poggia su di un masso, e colla destra in movenza di ragionare. Questa statua , che senza dubbio è una delle migliori che ornino il Museo Capitolino, fu scoperta in Tivoli nella villa Adriana correndo l'anno 1742: quantunque comunemente al descritto simulacro diasi il nome da noi sopra accennato, pure non sembra gli si convenga, e meglio che un Atleta, potrebbe forse rappresentare un Antinoo, giacché il carattere della scultura non è affatto atletico, la posizione della statua non ha che fare colle diverse parti della ginnastica. Quanto al merito artistico l'opera non è d'un sublime ideale, ma sì corretta, facile e non minuta; il carattere giovanile è ben conservato nella morbidezza de' contorni, nella rotondità delle parti, nella delicatezza delle proporzioni, quantunque le forme siano anzi quadrate che troppo carnose: le pieghe sono ben mosse , ben scartate , e ben lavorate negli occhi , e il partito n'è semplice; da ciò si riconosce lo stile della scuola rom;ina del tempo di Adriano.

… Statua rappresentante Arpocrate, dio del silenzio: questa insigne statua in marmo lunense è veramente rara , sì pel lavoro , sì per la conservazione : essa fu trovata nel 1744 nella villa Adriana in Tivoli, e il luogo del suo ritrovamento accordandosi collo stile, ce la fa conoscere per opera de' tempi di Adriano: la perfezione del disegno, e la maestrevole esecuzione che tanta morbidezza seppe dare al marmo da farne dimenticar la materia, meritano a questo simulacro l'ammirazione universale: il nume è al solito rappresentato nudo e in aspetto giovanile ; egli ha presso di sé un tronco di palma co' frutti, con che si allude all'origine orientale del dio e alla fecondità di cui è autore; coli' indice destro, posto su dal mento al naso, indica il silenzio; nella man sinistra ha un piccolo corno, forse a simboleggiar l'abbondanza; la lesta è coperta da una calotta , allusiva alla calandra sacerdotale, specie di benda di cui frequentemente vediamo fregiati i numi egiziani; la detta copertura lascia scorgere che i capelli per di sotto sono cinti da una tenia, la quale poi apparisce sul fronte annodandone un ciuffetto , su cui si scorge un involucro a guisa di guscio , che racchiude le estremità della tenia, e comunemente si stima sia un fiore di loto, quantunque per ritenerlo tale manchino la forma e la materia, e piuttosto si potrebbe reputare sia il frutto dello stesso loto, simile molto al papavero, secondo Dioscoride e Plinio, e però ritraente non poco dall'ornamento in quistione.

… Vien poi la statua di una delle Ore , o come altri pretendono d'una Flora: essa fu trovala nel 1714 alla villa Adriana in Tivoli , e la bontà della scultura , la vaghezza della composizione, le pieghe di lodevol maniera, la fanno credere appartenente all'epoca di Adriano. In seguilo si vede la statua di Antinoo, scultura al naturale per grandezza , e sublimissima per la facile movenza, per lo squisito disegno, per l'ottima esecuzione del nudo che in ogni parte spira venustà e grazia impareggiabili. Mirasi quindi un Fauno in alto di riposarsi appoggiandosi col braccio destro a un tronco d'albero: questa statua racchiude in se così grandi pregi in ogni sua parte, che vi furono di quelli che la credettero opera di Prassilele, ma che se non è tale, pure debbe ritenersi una copia eccellente di quella condotta da un così esimio scultore; essa fu trovata nella villa Adriana in Tivoli.

… la statua rappresentante Elettra, scolpita in marmo pentelico, e da Benedetto XIV. donala al Museo Capitolino nel 1753; essa era nella villa d'Adriano in Tivoli, e nell'osservarla si scorge una donna ancor giovane co' capelli annodati con negligenza, cogli occhi socchiusi, quasi piangesse, vestita d'una tunica talare mezzo discinta, ravvolta in una sopraveste di lutto, e che colle mani da questa velata regge un vaso funereo, contenente le ceneri di persona a lei cara, o le libagioni da spargersi sul suo sepolcro: a maraviglia è espresso nel suo viso il dolore e la mossa è trovala benissimo ; l'opera è ristorata in parecchie parti, ma la testa , quantunque riattaccata, è l'antica, spezzatasi forse al cader della statua.

Reperti scavati a Villa Adriana e conservati nel Palazzo Apostolico al Vaticano

… sala, detta "delle opere d'imitazion"e ornata per intero alla foggia egiziana. Qui sono que' monumenti chiamati egizio-romani, perché lavorati in Roma ai tempi degl'imperatori, ad imitazione delle sculture di Egitto. Questa raccolta può stimarsi unica nel suo genere, e tale da non poter competer con essa quelle de' musei di Berlino, del Britannico, del Louvre, di Torino, e di qualunque altro museo d'Europa che sia in pregio perchè contenda monumenti egiziani. La suddetta collezione comprende tutti que' monunenti in marmi colorati che estratti furono dalle rovine della villa Adriana in Tivoli, e in Ispecle di quelle del Canòpo, i quali vennero raccolti dalla chiara memoria di Benedetto XIV., e fattone dono al museo Capitolino. Bellissime e pregiatissime sculture son queste, perché all'imitazione dello stile egizio de' Faraoni, accoppiano quella morbidezza e quel finito che tanto distinse la scuola greca in Roma. Prova di ciò sia il bellissimo colosso in marmo bianco statuario, collocato in fondo alla sala. Esso rappresenta Antinoo favorito di Adriano, vestito alla foggia degli egiziani: la statua è così bella che gli artisti non dubitarono di chiamarla col nome di Apollo egizio. Fra gli altri monumenti di questa sala veggonsi, un'erma di nero antico esprimente Iside e Api; un sacerdote egiziano, d'ugual marmo: un'Iside , di simil pietra, avente nella mano diritta il tau; un'altra Iside simile, con in mano un fior di loto; un altro sacerdote egizio, pure di nero antico, il quale ha la barba, e tiene in mano uno scettro; il bel colosso in marmo bigio, che rappresenta il fiume Nilo giacente.

… due grandi idoli egiziani pure di granito, i quali a foggia di telamoni, sorreggono l'architrave e il soprastante frontespizio arcuato. Gl'idoli suddetti furono trovali in Tivoli fra le mine della villa Adriana, e la loro scultura appartiene all'epoca di quell'imperatore.

… sono due busti, trovati nelle rovine della villa Adriana in Tivoli; uno rappresenta, secondo alcuni, la tragedia, e l'altro la commedia, e secondo altri esprimono due baccanti.

Roma nell'anno 1838 - Antonio Nibby