Tesori di Roma: foto di Roma gratis

5 - DIARIO ROMANO

EMILE ZOLA

nome../../galleria/foro_romano/foto/roro-romano_zola.jpg

Il Foro Romano in una foto scattata da Emile Zola

quinta parte

Questi sono gli appunti che prese Zola nel suo viaggio a Roma dal 31 ottobre al 4 dicembre del 1894 per conoscere l'ambiente dove dovrà muoversi il protagonista di "Rome" un romanzo che fà parte di un ciclo iniziato con "Lourdes" e finito con "Paris" .

SABATO 17 NOVEMBRE

Stamattina ho fatto una passeggiata. .Passando, ho notato alcuni particolari in via Nazionale. I cipressi di villa Colonna visti sopra le arcate, alla svolta. Di mattina il Corso è illuminato sulla sinistra; il lato destro è in ombra (il contrario nel pomeriggio) e in fondo si ha un bei colpo d'occhio su piazza del Popolo. L'abside tonda del Gesù è sotto il sole. Via del Plebiscito si restringe e il tratto più stretto è fra il Gesù e palazzo Altieri; ombra fredda. Poi, davanti al Gesù, un raggio di sole. Si entra in via d'Aracoeli e in fondo, al sole, il Campidoglio con le sue salite verdi. Lungo tutto corso Vittorio Emanuele il sole colpisce le facciate in alto, sulla destra.
Dall'alzaia davanti a palazzo Sacchetti: in alto i cipressi sopra l'Orto botanico. Si vedono le mura forate dalle finestre, le tegole e il piccolo campanile di Sant'Onofrio. Più a valle tutta Trastevere è avvolta da un vapore azzurrognolo: case e edifici si stagliano neri.
In fondo a via Giulia comincia via dei Pettinari, tanto stretta e buia: da un lato il muro nudo, senza negozi, dell'ospedale e della chiesa Santa Trinità, dall'altro case dalle mura nude e dai negozi oscuri; una stretta striscia di cielo al di sopra. In fondo, dopo piazza de' Pellegrini, il Monte di Pietà si trova a destra, un'arcata coperta di piante attraversa la via. Il sole si staglia in fondo alla via nera. Poi si gira sulla piazza del Monte di Pietà e ci si trova in un quartiere nero e un po' deserto, dalle vie strette e nude. fino a piazza Cairoli.
San Crisogono. Tutta rivestita di stoffe. Le colonne di granito chiuse in un fodero di damasco rosso, bordato d'oro. I portici fra le colonne, da un'estremità all'altra della navata, coperti da motivi alternati: uno giallo e blu; un altro oro e rosso; un altro rosso e bianco. Il rosso e il blu sono di seta leggera; il bianco di mussola; Poro è di stoffa grossa, intrecciata con metallo. Tende per ogni motivi e in alto un drappeggio obliquo. Anche tutta la larghezza del coro è drappeggiata con un ampio motivo. E una decorazione di gala, festiva. Infantile e molto decorativa, fatta con stoffe comuni. Con questo gioco la piccola cappella si allarga, diventa enorme. Il soffitto è sempre da tempio, a cassettoni dorati. Oro su blu, lo stemma dei Borghese è ripetuto due volte, accanto a quello del cardinale. Il pavimento è in mosaico di marmo.

Trastevere. Vie strette, miserabili, puzzolenti. Carni sanguinolente e nerastre, senza dubbio provenienti da animali mal uccisi: beccheria. Sartoria. Drogheria. Banco del lotto, con i numeri appesi fuori. Piccola trattoria. Osteria. Pizzicheria. Forno, con i pani rotondi uno sull'altro. Le friggitorie con i quadrati di polenta e i pesci fritti. I mercanti di legumi cotti, pacchetti di spinaci, sedano, cavolfiori, carciofi (non si fa cucina). L'odore spaventoso quando si passa davanti alle mescite di vino, alle friggitorie, ai venditori di legumi cotti e agri.
Ecco cosa sarà il mio Trastevere: la passeggiata di Pierre, che ben conosce la miseria parigina e che vuole studiare questa. I suoi pensieri. E più allegra, per via del clima. Ma forse più irrimediabile, a causa dell'ignoranza. Da troppo tempo non esiste democrazia intelligente. Pierre è per il risanamento, perché si faceva entrare aria in questo carcere infetto. Dunque, da questo punto di vista, quello che resta di Trastevere a parte il preteso lato pittoresco: luce, salute, scienza (più tardi la scienza cancellerà tutto). E da qui Trastevere già sventrato, ciò che ne resta, nero e maleodorante fra i raggi del sole, demolizioni freschissime, buchi d'aria fatti a colpi di piccone e ancora non si è potuto ricostruire. Un bei lavoro, insomma, per interesse della vita. Il ghetto già completamente demolito.

Al vero Frascati. Salumeria, carni salate, forte odore. Asinelli tirano carretti di verdure. Bancarelle di poveri fruttivendoli, pigne in vecchi panieri, pomodori su un banco, su un'asse; e il buco nero e umido delle botteghe. Quattro tacchini condotti da un uomo a colpi di frusta. Un formicolio di bambini, sporchi e mezzi nudi (la fecondità, la rapida moltiplicazione della miseria). Donne senza cappello, con uno scialletto e una sottana sporca. Tutte nere e sporche. Uomini in maniche di camicia colorata, pantaloni sporchi. Vino dei Castelli. Barbiere. Gatti neri sui gradini. Vendita di cesti di frutta. Sarto, con un uccellino in gabbia che canta sulla porta. Vecchi secchi di zinco appesi fuori della porta, pieni di terra, con una pianta grassa dentro. Scale, buchi neri, case disuguali, sordidi alloggi, la vita fuori, tutte le occupazioni svolte per strada. Una donna, con un ragazzine sulle ginocchia, gli fruga in testa per togliergli i pidocchi. Il ciabattino lavora sul marciapiedi. Altre piccole attività dello stesso tipo. Pomodori secchi, infilzati. Calzoleria, ciabattino all'aria aperta. Particolari sulle pizzicherie. Donne con un bambino in braccio, che ne trascinano altri. I bei bambini sono pochi (sporchi, riccioli neri). Qualche bella ragazza, ma rare anche loro. In generale il popolo è piccolo e laido. Vecchi seduti sulle soglie. La biancheria pende da tutte le finestre, al sole. Ombre alle svolte delle vie. Un odore insopportabile. Vini scelti dei Castelli. Un lavatoio in basso, grande vasca piena d'acqua insaponata. Le donne ti si precipitano addosso chiedendo l'elemosina. Un buco con delle rovine, un mosaico (bianco e nero) nello sfondo nero e umido. Stazione VII dei vigili (vedere la guida). Piccole vergini all'aria aperta, col loro lumino. Case che crollano e che sono state puntellate. Non resta dunque che l'impressione di una fetida miseria. La grande via che ha tagliato il quartiere e che passa davanti a San Crisogono. Tornando, andando verso palazzo Farnese, sono passato davanti alla chiesa di piazza Cairoli, San Carlo ai Catinari, la cui cupola domina il quartiere. Da qui in via de' Giubbonari per andare a Campo dei Fiori, una via estremamente popolosa e animata: mercanti di stoffe dai colori vivaci, bigiotterie con grossi articoli polari, ecc. Su un caminetto di palazzo Farnese: assiduo luceat igne.

La visita a palazzo Farnese. La grande galleria dei Carracci, da cui si vede il Gianicolo. L'Acqua Paola (ben visibile) e San Pietro in Montorio (vasto edificio) sulla sinistra, poi villa Corsini di fronte, sopra un terreno coltivato. La Farnesina è più bassa, all'estrema destra, sul Tevere di cui non si scorgono le acque. Il giardino del palazzo è in basso, nero, umido, abbandonato. Piante del pepe, grandi lauri, una magnolia che muore. Un grande pino, siepi. Il verde scende su via Giulia, a destra dell'arcata: un gran rosaio che in primavera si copre di fiori. Dopo la galleria dei Carracci e il gabinetto dell'ambasciatore, il salone e la sala da pranzo che conosco, c'è un salone scuro, in cui sta il signor consigliere. È poco allegro. Tutte le stanze, alte sette o otto metri, hanno soffitti affrescati o di legno, scolpiti in modo ammirevole. Sullo stemma dei Farnese tre gigli, due, uno. Le stanze hanno tutte grandi consolle di marmo e mosaico, dai piedini-dorati, e tavolini di marmo, con la superficie a mosaico, e il piede in un pezzo solo, tondo, una gamba centrale o due supporti scolpiti a testa di drago. La gamba centrale è attribuita a Michelangelo. Nella stanza d'angolo sulla piazza, allegra e illuminata dal sole, i muri sono affrescati con un disegno a broccato d'oro, rosso e oro, drappeggiato all'antica. Le logge sulla corte sono state chiuse e sul lato in fondo sono state installate delle camere. Un appartamentino per amici, poco ufficiale. La corte è malinconica sotto le finestre, con la sua circonferenza coperta in cui possono circolare le grandi carrozze a due cavalli. Ma gli appartamenti della facciata sulla piazza sono pietosi. Nel grande salone, quello con il balcone, l'ambasciata francese ha depositato vecchi documenti, uno sgombero di carte polverose posate per terra, su assi, su tavoli di legno bianco, di una sporcizia straordinaria. Polvere e disordine. Stesso orrore nel salone che segue, a sinistra. Mura dipinte, arcate, scale, prospettive sfuggenti. Infine, il gran salone situato nell'angolo destro della facciata, diciotto metri d'altezza, su due piani, che si è riservato il re di Napoli, proprietario del palazzo: mura nude, una vera soffitta, bozzetti, statue di marmo, un bellissimo sarcofago, resti di tutti i tipi. È una vergogna. Pare che il secondo piano riproduca il primo, ma con soffitti meno alti. Hanno però tagliato i saloni troppo vasti con dei tramezzi, per trasformarli in appartamenti più abitabili. Dalle finestre di questi appartamenti si vede benissimo il bei fregio del palazzo. Vi è installata la scuola di Roma. Non so più se lo scalone d'onore vada fino al secondo piano.

È dopo aver visto la miseria di Trastevere e l'irremissibile decadenza di palazzo Farnese che sono stato colpito dalla fine di questo mondo. Palazzo Farnese rappresenta la fine dell'aristocrazia romana, creata soprattutto dai papi, salvo i Colonna, gli Orsini e i Caetani (?). I loro palazzi non sono più abitabili e cadono in polvere. Anche chi non ha perso la propria fortuna (ma cos'è in confronto alla fortuna americana, e riuscirà a rinnovarsi, a ingrandirsi?), anche costoro affittano una parte del palazzo e vi vivono ritirati, senza feste, senza seguito, senza clienti, persi in un tempo che non è più fatto per loro. E gli altri, i rovinati, affittano tutto il palazzo. Un rigattiere occupa il pianterreno di palazzo Borghese. Una loggia massonica ha affittato il primo piano. Il secondo è diviso in appartamenti in affitto. I Borghese si sono (?) riservati un appartamentino. Palazzo Chigi è affittato in parte all'ambasciata austriaca. Il pianterreno di un altro palazzo del Corso è occupato da una libreria. È proprio la fine di questa nobiltà: chi non è rovinato vive senza fasto. E alterata da tante alleanze straniere che la sua purezza sta sparendo. Dunque tutti i cardinali sono borghesi, l'aristocrazia d'origine papale è finita. C'è dunque un'aristocrazia morente, una borghesia che non esiste ancora (e che da la caccia ai posti), da studiare (?), e un popolo tornato bambino, povero, sporco, ignorante e ozioso. Non è la fine di un mondo. Per chi dunque si deve lavorare? Per la terza Roma?Per chi queste immense opere che, grazie all'orgoglio, hanno condotto alla rovina? La volontà di essere una grande nazione moderna, con una grande capitale. E il tutto improvvisato, per cui l'aristocrazia è in rovina, non esiste una borghesia intelligente e potente e il popolo è tornato bambino. Inoltre la necessità di Roma capitale, la palla al piede, la polvere mortale dei secoli e il deserto di morte che si stende intorno alla città. Tutto questo porta alla rovina. Dov'è dunque il domani, con il papa e il re? Tutto crolla. Ma bisogna che dica queste cose, la verità, con grande simpatia umana, fraterna. Ciò che era Roma nel 1870 e ciò che si è tentato di farne.

La questione della borghesia mi inquieta, non faccio che pormi domande. Sotto i papi non c'era borghesia, ma semplici clienti, impiegati. In seguito non si è dunque formata una borghesia romana. La borghesia è rappresentata solo dal popolo di impiegati venuto con il governo. La caccia ai posti. Ma non è potente, non ha un ruolo possibile. Naturalmente i deputati vengono dalle province. La corte pare esistere ancora. E tutti i titoli, avvocato, professore, cavaliere, commendatore, tutta la vanità della piccola borghesia ossessionata dall'idea atavica della nobiltà.
Nei nuovi palazzi, in queste immense costruzioni a modello degli antichi palazzi dei principi e che sono stati seminati con profusione inesplicabile, non si è installata la ricchezza, ma la miseria di un popolo ignorante e pigro. Non è questo un simbolo terribile? L'idea della bellezza nel mio libro, la bellezza di un tempo che domina questa decadenza. Le arti. Siamo dunque tutti popoli condannati davanti alle democrazie moderne? Non l'ho mai sentito più di qui.

Nel pomeriggio siamo andati a monte Celio, con monsieur de Behaine. Abbiamo visitato villa Mattei, sul pendio del colle. Bei bossi tagliati, dall'odore tanto forte e tanto amaro, eucalipti, un viale di aloe, una fontana a semicerchio, un'altra sotto un portico. Una siepe di rose del Bengala. Magnifici lauri. Enormi fusaggini. Qualche laurotimo grande come un albero. Si dice che la villa sia decisamente malsana d'estate. Da lì a Santo Stefano Rotondo. Gli affreschi su tutte le pareti rappresentano martiri, un susseguirsi di supplizi innominabili. La chiesa, immensa sala rotonda, ha la volta centrale e il cammino intorno coperto da un'armatura. Poi ai SS. Giovanni e Paolo: la chiesa sorge dove sorgeva la villa dei due romani, che furono martirizzati in casa loro. Siamo scesi sotto la chiesa, facendoci luce a lume di candela: l'antica villa esiste ancora, sepolta; sono state ritrovate tutte le stanze, la sala da pranzo, ecc. Tutto monte Celio è piuttosto deserto, con strade che salgono e girano in mezzo ai giardini. Scendendo dai SS. Giovanni e Paolo, si percorre un forte pendio sotto le arcate. Resti romani ovunque. Poi siamo andati sull'Aventino, attraverso via San Gregorio con i suoi begli alberi, via dei Cerchi e via di Santa Sabina. La chiesa di Santa Sabina, culla dei domenicani. Si trova in alto. È una grande chiesa fredda. Sorge a lato del convento, nel cui giardino si trova l'arancio di san Domenico. Altri alberi d'arancio. Il tutto chiuso, senza vista. Credo sia dal priorato di Malta che si vede San Pietro attraverso il buco della serratura. Un viale di bossi tagliati conduce a una terrazza da cui si gode una vista superba sul Tevere. Abbiamo visitato l'interno del priorato. Dal salone in alto si vedono il Tevere, il porto di Ripa Grande, l'ospedale San Michele; altra vista superba. L'Aventino, su cui abitava il popolino romano, oggi è deserto, occupato solo da tre chiese e vasti giardini. Leone XIII vi ha fatto costruire un immenso edificio per i benedettini, ma non è ancora terminato. Ci ho meditato sopra, sorpreso. Perché questo convento? Se anche i benedettini sono stati per un attimo padroni della scienza, se hanno giocato un ruolo civilizzatore, cosa si spera da loro oggi? Non sono stati colpiti dall'impotenza, nella stretta prigione del dogma? Perché terminare questo inutile convento?

Tutti i giardini di Roma sono uguali. Bossi tagliati, begli eucalipti dal tronco bianco e dalle lunghe foglie pallide, lecci contorti e quasi neri, cupi cipressi, rose del Bengala, qualche statua antica o vasi mangiati dal sole, fontane che sgorgano fra le siepi scure. E tutti in pendio, a gradini. A Roma si sale e si scende sempre.
La sera siamo andati a trovare il principe Odescalchi. Ha un'aria trascurata, da artista e da bravo ragazzo; si dice sia avaro. La moglie è una fiorentina di famiglia nobilissima ma molto povera, ignorante come una capra, cosa che aumenta la sua aria boriosa e la rende timida. Sa solo stare in un angolo a chiacchierare con un'amica. La marchesa Theodoli è un'americana che ha sposato un romano un po' frusto; le viene attribuita una storia con il principe Borghese (!'avrebbe rovinato con l'affare Ludo visi), ma anche una certa nobiltà di modi. Pettegolezzo meno diffuso. C'era una zia del principe che avrebbe allevato il cardinale Czacki, oggi morta: una donna amabile. Il prefetto di Roma e la giovane moglie, una russa che si allunga e fuma. Insomma, un mondo piuttosto eteroclito per noi e che manca dell'amabilità francese. Si chiacchiera negli angolini, non c'è una conversazione generale. La marchesa Theodoli ha scritto un libro su Roma in inglese: è un po' saccente. Tutta questa gente sa ben poco della Francia. Senza la bonomia del principe, sarebbe stata una serata veramente pesante. Ha dei begli oggetti che gli vengono dalla sua famiglia. Al centro dell'anticamera, il salone che precede quello in cui ci trovavamo, c'è una fontana con un getto d'acqua, ma bagna il pavimento. Tavoli, cofanetti, bronzi, marmi, una tanagra. Il tutto male illuminato.

Insomma, ecco quanto credo di aver capito sulle donne e sull'amore a Roma. Da giovani, molto contenute, pescano un marito con gli occhi. I bigliettini che ci si scambia a Aix. La storia della giovane borghese che si fa rapire da un principe romano. Vanno in un albergo. La famiglia del principe fa fuoco e fiamme. E il padre borghese si riprende la figlia dicendo di avere anche lui il suo orgoglio, di non acconsentire al matrimonio prima di un anno per lasciare il tempo di riflettere al principe e per non venir accusato di aver voluto conquistare un titolo. In ogni caso, è raro che le giovani si concedano prima del matrimonio: si limitano a giocare, a volte lasciandosi andare un po'. Invece le donne sposate hanno spesso avventure. Ma ce n'è anche di perfettamente oneste. Ecco il ritratto della romana: una bellezza generalmente seria, cupa e triste; niente scoppi di risa o d'allegria; grandissimi occhi, capelli neri, tratti tirati allungati, in linee severe e tristi. Espressione seria, profonda, triste. Il principe Odescalchi mi diceva che non è per nulla il suo genere: occorre spesso una lunga corte per arrivare e quando la donna crolla non si riesce più a sbarazzarsene. I legami diventano eterni e finiscono generalmente male, con la gelosia e colpi di testa. Non è l'amore alato, leggero e capriccioso, un piacere che si prende e che si lascia, ma una passione continua. E il tutto su uno sfondo pratico, la donna non si perde nelle nuvole, non sogna, vede il lato materiale delle cose, il possesso: e da qui la sua passione viva e carnale, ma anche la sua gelosia. È capace di una lunga fedeltà e di una lunga attesa, pur di possedere. Il legame si fa eterno e una donna che inganna l'amante viene giudicata molto male. E invece accettato che inganni il marito. Alla base un fondo di ignoranza e la superstizione verso la Vergine del quartiere. Sarà questa la mia eroina e, per il ritratto fisico, mi ispirerò a un quadro antico. Se mi occorrerà una donna colta dovrò prendere una principessa d'importazione o un'eccezione come la contessa Lovatelli. Le donne di cui si parla sono tutte più o meno compromesse. Qualcuna, essendosi data a molti, è proprio sulla bocca di tutti.

La bellezza è generalmente grossolana e comune, materiale. Rosalia Lovatelli è un Botticelli, con il naso più pronunciato: ha un'aria sacrificata e dolce e paga di tasca propria le lezioni di piano. La giovane borghese che ho visto da Hébert e che gli fa da modella per la figura di un angelo ha il profilo delicato, il naso diritto e il mento rotondo. La giovane signora D'Annunzio (ma è di origine francese) è affascinante ed enigmatica, ma non bella. La Santaflora ha un resto di fascino. La vedrò meglio martedì. Quanto agli uomini sono dei bambinoni, si divertono con nulla. E sono anche vanitosi, con i bei cappelli che sfoggiano in via del Corso. Materiali, positivi, egoisti e viziosi. Il tipo del mio giovane principe romano, che studierò in base a quelli che avrò conosciuto.