Tesori di Roma: foto di Roma gratis

3 - DIARIO ROMANO

EMILE ZOLA

nome../../galleria/foro_romano/foto/roro-romano_zola.jpg

Il Foro Romano in una foto scattata da Emile Zola

terza parte

Questi sono gli appunti che prese Zola nel suo viaggio a Roma dal 31 ottobre al 4 dicembre del 1894 per conoscere l'ambiente dove dovrà muoversi il protagonista di "Rome" un romanzo che fà parte di un ciclo iniziato con "Lourdes" e finito con "Paris" .

GIOVEDÌ 8 NOVEMBRE

Stamattina ho parlato a lungo con Luzzato. La popolazione di Roma, che era di circa duecentomila abitanti nel 1870, oggi è quasi raddoppiata. In primo luogo il governo ha portato con sé sessantamila persone, fra cui circa quattordicimila impiegati con le loro famiglie. Poi bisogna tener conto di appetiti e ambizioni, speculatori e costruttori, e i quarantamila operai per le nuove costruzioni e tutti i mestieri connessi. Infine altre sessanta/ottantamila persone per la crescita che si è prodotta in ventiquattro anni (in Italia la popolazione cresce rapidamente), e si arriva giusto ai duecentomila nuovi abitanti. Bisogna però dire che la quasi totalità dei quarantamila operai, provenienti dal nord, è stata rimpatriata dopo il crac. Ma il numero della popolazione non è per questo sceso. La cifra è stazionaria da quattro o cinque anni. La borghesia, da parte sua, aumenta sempre, mentre c'è una stagnazione fra i lavoratori. All'inizio ci fu un entusiasmo straordinario e un primo flusso di mondo ufficiale invase la città, ma i lavoratori sono comparsi in massa solo più tardi, dal 1880 al 1884. In quel periodo si è avuto un notevole movimento, durato fino al crac, verso il '90. Oggi si attende.
Il popolo trovato dal governo a Roma, la gente di Trastevere, non era lavoratore: piccoli commerci, falegnami, carrettieri, bigiottieri, ecc.; poi articoli religiosi, piccole cappelle, medagliette, ricami; soprattutto le perle romane (di cera, credo) e artigianato per l'estero. Le donne di Trastevere lavorano poco. Molte famiglie vivono con le botteghe alimentari: spacci di vino, panetterie, drogherie ecc. Ma il tutto è solo per la città, niente esportazione. Inoltre la piccola borghesia affitta camere agli stranieri, mentre il popolo serve. E un popolo superstizioso, non religioso nel vero senso della parola. Si divideva in due metà. I repubblicani, i vecchi del '49, i garibaldini, senza contare un vecchio resto di carbonari. Gli altri erano per il papato, soprattutto coloro che ne vivevano, che erano al soldo di monsignori e prelati. Le famiglie che vivevano sui preti (e la borghesia ancor più). Comunque, fra principi e popolo, c'erano pochi borghesi. La borghesia papale era però piuttosto elevata. Tutta la nobiltà era per il papa e all'epoca era ancora ricca. Fra il popolo c'era invece una grande miseria, una vita precaria, alla giornata. Ma è una miseria più paziente e più allegra della nostra, a causa del clima. Si accontenta di ben poco. Non ha bisogni e vive sotto un bei cielo. Pasta, legumi, povera carne di montone. Eppure bevono il vino dei Castelli Romani, rosso e bianco, e, dal '70, soprattutto vini napoletani, che non sono cari. Si ubriacano e tirano avanti.

A Trastevere i repubblicani formavano l'aristocrazia. Il sogno di Roma capitale è antichissimo: risale al 1860, a Cavour, e il popolo di Roma ne era entusiasta, tranne qualche fedelissimo del papa, entusiasta al punto che la sola supposizione che la città leonina potesse rimanere al papa per poco non ha sollevato tutta Trastevere. Un'emozione terribile che si è dovuta calmare. Era la grandissima maggioranza, eppure Pio IX era amato. Ma il popolo era soprattutto patriota. Eppure la condizione del popolo è rimasta più o meno la stessa, non ci ha guadagnato. Ha comunque beneficiato dei grandi lavori, in cui è entrato in buona parte l'elemento romano, disturbato però dalla sua pigrizia e dalla sua vanità. Senza un soldo, il romano è un gran signore. Nessun operaio si lascerà disturbare all'ora di colazione, da mezzogiorno alle tre. In quell'ora nessun fabbro aprirà il baule di un viaggiatore affannato, che ha perso la chiave. Lavora dalle otto alle dodici, riposa fino alle tre e riprende dalle quattro alle sei, l'ora dell'Ave Maria. L'operaio del nord Italia è più coraggioso e lavora a prezzo più basso, quindi viene preferito. Comunque il popolo romano ha tratto profitto da questo gran movimento, dal plusvalore. L'alimentazione, la rapida crescita di questo popolo. È per questo che la piccola borghesia, che aveva guadagnato molto con gli affitti, si è lamentata a gran voce quando è arrivata la crisi. Così i negozianti. Trastevere è dunque come ai tempi dei papi, o quasi. Va detto che i bisogni sono aumentati: si mangia meglio, ci si è abituati al benessere, ai soldi. E il popolo, nella sua pigrizia e nel suo orgoglio, non lavora di più. La moralità del popolo è come ovunque. La borghesia non perde le sue donne, che sposano uomini della propria classe (Aix). Le ragazze si comportano bene e raramente un errore precede il matrimonio. Inoltre la famiglia è rimasta molto unita, padri e fratelli vegliano sulle ragazze. Poche case di tolleranza a Trastevere, molte altrove, probabilmente di infimo rango. Non vi si trovano molte romane: è la provincia a popolarle. L'adescamento funziona come in tutte le grandi città. La sporcizia è un po' diminuita.

Adesso andrà tutto molto più lentamente: si cercherà di terminare le opere cominciate e si aspetterà. La campagna intorno, non è mortale per una capitale moderna?E bella solo per le sue testimonianze storiche. Sotto i Romani non doveva essere affatto boscosa, a causa della natura del suolo fatto di tufo, terra di provenienza vulcanica. Da qui deriva l'insalubrità, perché il tufo non è permeabile e lascia ristagnare l'acqua. Per sistemarvi una popolazione agricola stabile, bisognerebbe dragare immense distese, su amplissima scala (milioni). E possibile? Si può fare qualcosa, migliorare, ma sarebbe un sogno trasformare la campagna come nei dintorni, per esempio, di Milano. Sarebbe già bello risanarla. Se ne potrebbe trarre erba e sistemarvi orti, ma senz'altro niente alberi. Nemmeno grano, che vi cresce difficilmente. D'altra parte il Tevere è morto: come sognare Roma porto di mare? Sotto i Romani navi mercantili portavano generi alimentari (una capitale che non si nutre da sola). Le bocche del Tevere sono piene di sabbia e di fango. Occorrerebbero milioni. Sono stati però proposti vari progetti. È come per le stazioni, le strade ferrate. Roma non è un centro: ha una sola stazione terminale, senza nessuna rete intorno. Ancora progetti. Un'altra stazione vicino a San Paolo. Una metropolitana che attraverserebbe Roma, da Trastevere a piazza delle Terme. Ma i progetti si arenano alla Camera, perché la provincia è contro Roma.
Infine la questione del papa. Se la pace continua, se non ci saranno grandi mutamenti europei, lo status quo può durare indefinitamente e i rapporti fra Vaticano e Quirinale miglioreranno sempre più.

Non esiste partito conservatore nel senso che diamo noi al termine. Sono tutti patrioti, liberali. I cattolici restano fuori, perché il papa proibisce loro di votare e di farsi eleggere. La nobiltà, che è per il papa, è dispersa, non può nulla. Non ha un suo partito costituito. Inoltre i fedeli del papa sono timidi. La lotta per il papa sarebbe una lotta contro la patria. Luzzato pretende che l'idea personale del papa non sia per la conquista di un piccolo territorio. Allora è il papato stesso a essere conquista. L’interesse per l'Italia è comunque che resti, ma lo vorrebbe semplicemente vescovo di Roma, governerebbe tramite lui le coscienze del mondo intero. L'Italia si preoccuperebbe, se si rifugiasse in un'altra nazione. Il papa è un personaggio pericoloso, che un giorno potrebbe portare complicazioni fatali. La soluzione pare impossibile. Quale nazione vorrebbe prenderselo e quale nazione non lo teme nelle mani dell'Italia? Inoltre, potrebbe essere papa fuori di Roma? Lo scisma è sempre all'orizzonte. Ciò che crolla e che bisogna lasciar crollare. Il papa per l'Italia è un mezzo, non uno scopo. Se non si evolve è condannato dalla scienza, ma pare impossibile che si evolva. Il credo religioso è debole. Eppure se il papa se ne andasse cadrebbero tutti in ginocchio, per la prima volta. Noi repubblicani abbiamo un bell'acclamare il primo pennacchio che passa. L'atavismo e l'ideale rappresentato dal papa: la storia. Dio in persona (l'ho già detto ieri, credo). D'altronde, si sa benissimo che non se ne andrà.
Fra il popolo la superstizione, l'idolatria. Non si vedono che santi. Dio non esiste. Devozioni parziali, ognuno al suo santo preferito. Il culto si divide all'infinito. Ogni donna ha il suo. La Madonna, soprattutto a Napoli. Il cattolicesimo è il culto ufficiale, ma lo Stato non assiste ufficialmente che alla grande messa solenne per Vittorio Emanuele al Pantheon. Non vengono destinati fondi al culto, vescovi e clero non sono pagati dallo Stato. Solo le chiese hanno fondi considerevoli che lo Stato sorveglia, gestisce e distribuisce. C'è anche l'exequatur, l'accettazione dei vescovi.

Nel pomeriggio ho visto il ministro della Pubblica Istruzione, Baccelli,4 e sono andato a fare una visita a «La Tribuna». Sono entrato in Santa Maria della Minerva, una chiesa gotica, ma che strana cosa è divenuto il gotico a Roma! Le colonne allineate sono rivestite di marmi sontuosi. Le ogive si slanciano appena, restano attaccate all'arco. Le volte dipinte di blu sono disseminate di stelle e ornate da affreschi.

Che strana cosa la storia naturale di Roma in questo afflato moderno! Il vecchio tronco che si cerca ancora di far fiorire. Il sogno di Roma capitale risale al 1860 e tutto è stato sacrificato a quest'idea patriottica, necessaria, fatale. La lotta contro la natura stessa della città che si vuole far resuscitare a tutti i costi, nonostante gli ostacoli fisici. Il peso di piombo dell'antichità. Roma antica costretta a diventare una Roma moderna. L'Urbs dell'età antica e futura. E l'entusiasmo nell'orgoglio di questa concezione. L'ebbrezza e la sconfitta fatale, con l'apparire della realtà: una città enorme edificata per una popolazione che non esiste, la capitale moderna arenatasi nella città reale, con la sua mancanza di comunicazioni, la mortale cintura di terreno sterile, il suo fiume morto. L'orgoglio ha sognato quello che la realtà non può realizzare. Che caso stupefacente e interessante, che pagina di storia naturale di una città!5

SABATO 10 NOVEMBRE

Mattinata a Campo dei Fiori. Una grande piazza, un parallelepipedo allungato, pavimentato con un selciato ordinario. In mezzo la statua di Bruno, bruciato su questa piazza;1 una protesta contro la Chiesa. Le case intorno hanno altezze diversissime: piccole, alte, terrazze verdi. Sono gialle con le persiane verdi. Intorno molte botteghe con appese stoffe dai colori violenti, blu, rossi, gialli. Macellai dalla carne sanguinolenta, nerastra, mal preparata, senza Paria pulita che ha a Parigi; colli che paiono strappati, che sanguinano ancora. Pizzicherie, con file di salsicciotti, ciotole di grasso, salami. Donne sedute sulle pietre intorno all'inferriata che circonda la statua di Bruno. Altre botteghe, quarti di carne nelle pizzicherie e il forte odore dei barili di carne e pesce sotto sale. Le rivendite di fritture emanano un odore violento. Oggi al centro della piazza c'era il mercato della verdura, donne sotto i grandi ombrelloni grigi, aperti. Castagne calde, castagne nei sacchi. Mele, pere, uva, pomodori rossissimi, broccoli, sedano, insalate, tutti i legumi. Pesce freschissimo. Un uomo portava file di rane. Grida acute, un gran baccano, i venditori a vantare la propria mercé. Povere donne che passano, preti, piccoli borghesi che acquistano. Donne con i bambini in braccio. Niente abiti da passeggio, tutte in gonna e casacche sporche, di colore chiaro, con uno scialletto sulle spalle, senza cappello, generalmente brune. Qualche scialle rosso che risalta fra gli altri. Carretti tirati da asinelli. erce molto varia, fiammiferi, limoni verdi, articoli di merceria, vasellame per bambini (brocche a forma d'usignolo). Peperoni verdi, peperoni gialli, melagrane (qualcuna aperta, rossissima). Trecce d'aglio. Le bilance romane, tenute dai mercanti, posano su un piede di ferro. La Cancelleria si trova all'angolo ovest (?) della piazza. Brulichio sotto il sole. Un arrotino. Pigne. Legumi rossi, simili a grosse olive.

Piazza Farnese. Le due fontane, una con il suo getto d'acqua al sole. Il palazzo ha la facciata in ombra (alle undici). E grigio e severo. Due piani, tredici finestre. Stesso stile di palazzo Sacchetti, con il superbo cornicione. Bandiera tricolore sulla porta. Una piazza senza negozi, regolare, un po' severa, deserta e triste. Si penetra da lì in un quartiere calmo e un po' deserto, nella strada che porta a via Giulia. Il palazzo occupa tutto il lato sinistro. Quindici finestre sulla facciata. La via è larga, dritta, in lieve pendio, sempre senza marciapiedi (cosa che la allarga e crea un vuoto). Sobria, fresca, all'ombra dell'immenso palazzo. Sul lato destro vecchie case senza negozi.

Via Giulia. Alle undici il sole illumina già il lato destro. Per vederla tutta illuminata dal sole, bisognerebbe venire verso le nove. Allora il selciato dev'essere bianchissimo e le case gialle sui due lati, con le ombre portate dagli spigoli sporgenti. Un monaco nel sole, il saio che si illumina. Qualche passante frettoloso. Un velocipedista. Un carretto tirato da un mulo. Un micio nero dietro l'inferriata di una finestra, in pieno sole. I cortili interni e pallidi alla luce del sole. Palazzo Ricci ha un balcone pieno di verde. A pianterreno commerci oscuri. Gli alberi chiari in fondo alla via, davanti all'ospedale. Lampioni a gas a destra e a sinistra, a una ventina di metri gli uni dagli altri.

La sensazione di tutte queste vie semivuote, scure e fresche perfino sotto il sole. Un quartiere regolare, che doveva essere il quartiere residenziale della città, P antico corso del XVI secolo, si dice. Il grande muro giallo della prigione non rallegra la via. Piccolo borghesi che passano, con le figlie. Un carro di fieno. Di fianco la chiesa di San Biagio della Pagnotta, una chiesetta vivacemente illuminata dal sole, che entra dai finestroni in alto a sinistra. Molto decorata. Mezze colonne piatte, di marmo, con i capitelli interamente dorati. Marmi, dorature, pitture ovunque. Pennacchi dipinti. Sulla volta pitture fra decorazioni dorate. Tre cappelle su ogni lato, chiuse da balaustre di marmo. Altari di marmo. Un confessore che attende. Due vecchie che pregano, una in piedi, Patirà seduta. E il vuoto. Come si chiamano le portiere mobili che chiudono le chiese? Nella via numerose sante Vergini, con il loro lumino acceso.
In riva al Tevere. Il grande edificio nuovo e bianco che si trova di fianco a palazzo Sacchetti. Un intero bucato sulle corde, piccioni. Il sole non illuminava già più la riva opposta, deve ritirarsi verso le dieci, ma ho potuto ricostruirne grosso modo l'effetto. Il Tevere giallissimo al sole. Di fronte la biancheria stesa brilla candida. Gli alberi sono di un verde intenso e dorato. Tratti di muro violentemente illuminati, altri oscurati dall'ombra. Le finestre sono buchi di nero più intenso nelle facciate illuminate. Tetti rosa. La sporcizia delle facciate si attenua, si illumina, risplende d'oro patinato. Gli spigoli dei muri che scendono fino all'acqua. Il Tevere giallissimo al sole, decisamente lento anche se lo si vede scorrere, con il lieve fremito della corrente marezzata dai raggi. Gli alberi illuminati sul Gianicolo.

Sul lato sinistro, in fondo. Trastevere, che a quest'ora si staglia grigiobluastra in una bruma leggera sullo sfondo chiaro del cielo. A sinistra la cupola dei Fiorentini. Uomini addormentati. Pescatori che ritirano la bilancia. Per il resto il fiume è vuoto, il quartiere deserto. Ampie ombre con le chiazze formate dai raggi del sole sulle piazze e nelle vie. L'ombra si staglia a angoli netti. Pochi passanti. Si paga per passare sul ponte provvisorio (?). L'abside dei Fiorentini a destra, tondo, giallo, importante, e al fianco alberi che scendono fino al Tevere. Di fronte la linea dei pioppi, davanti all'ospedale, al gomito del fiume. A sinistra un resto di verde con delle case, mentre a destra l'alzaia termina levando l'alto muro grigio. Alla volta, in fondo, si scorge la rotondità di Castel Sant'Angelo e più a sinistra le nuove case di Prati di Castello. La parte dell'alzaia non ancora terminata si stende dunque sulla riva destra, dal ponte che si trova di fronte a palazzo Falconieri fino a Castel Sant'Angelo. Il ponte a pedaggio sbuca di fronte al collegio militare (palazzo Salviati), dietro cui si trova Sant'Onofrio e al cui fianco è allestito l'orto botanico. San Pietro in Montorio è molto più lontano, di fronte a via dei Pettinari. Via della Lungara si stende dritta dall'altro ponte a porta Santo Spirito. È larga e pulita. Le case, il cui retro è tanto sporco sul Tevere, hanno la facciata pulita su via della Lungara. Lo spessore degli isolati dev'essere di circa 25 metri.
Sono tornato a via Giulia, dai Fiorentini e palazzo Farnese. Termina davanti alla chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, la cui inferriata rotonda avanza. Oltre proseguiva via delle Mole de' Fiorentini e a destra partiva via Paola, ma oggi passa il nuovo corso Vittorio Emanuele. Il quartiere è dunque sventrato. Un grande abbattimento di case. Qualcuna, tagliata in due, ha le camere all'aria aperta. Il nuovo quartiere non è finito. Tutti i vicoli e i vicoletti scendono al Tevere. L'ampio corso ha le case alte, scolpite, a cinque piani, ornate da balconi, tutte bianche. Vi si è installata un'osteria in un resto di giardino fra le macerie. Vini scelti, ma anche birreria (la Germania avanza). Luci elettriche, globi in mezzo alla via. La sera c'è un gran contrasto fra questa via tutta bianca, i vicoli vicini e la stessa via Giulia, con i suoi lampioni a gas gialli, distanziati. I vicoli vanno verso via Giulia. Io ho preso via dei Banchi Vecchi. Si arriva dritto a palazzo Sacchetti, dal Corso, prendendo vicolo del Pavone poi, dopo aver attraversato via dei Banchi Vecchi, seguendo vicolo Sugarelli che da sull'angolo del palazzo di fronte a via del Cefalo (?).

Sull'angolo di via delle Carceri si trova una chiesa (niente nome, controllare) identica a San Biagio. Tre cappelle laterali e i confessionali tra le cappelle. Poi una nuova strada per andare a via Giulia: vicolo dei Cartari, si attraversa via dei Banchi Vecchi e si prende il vicolo di fronte, vicolo del Malpasso, molto stretto. Ci si trova su un angolo: via dei Banchi Vecchi si interrompe e diventa a sinistra via del Pellegrino e a destra via di Monserrato. Da quest'ultima, andando verso via Giulia, vicolo della Morella, talmente stretto che le carrozze non ci passano, un budello nero. In via Monserrato una certa animazione, negozi di alimentari. Un vecchio palazzo sulla sinistra ospita un'osteria. Un piano suona indiavolato nel silenzio della via. Piazza de' Ricci. Palazzi. All'angolo di vicolo della Barchetta un'altra chiesa, senza dubbio Santa Maria di Monserrato. Sempre uguale, ma più grande e meno dorata. Qualche donna. È mezzogiorno e suona l'Ave Maria. Dev'essere per questo che tutte le chiese sono aperte. All'angolo di piazza della Rota un'altra chiesa (all'altezza di palazzo Falconieri). È uguale alle altre con due tribune, due logge che sostituiscono la cappella laterale centrale. Due angeli di marmo chiudono la prima cappella a destra davanti all'ingresso, tenendo un drappo di marmo colorato. Anche gli angeli hanno abiti di marmo colorati. Ricchissima. L'odore d'incenso era talmente forte che arrivava sulla piazza. Arrivando, il mio Pierre si getta su una carrozza scoperta alle sette del mattino. Il cocchiere, facendogli scendere via Nazionale, gli lancia i nomi dei monumenti. Le Terme. Poi la banca a sinistra, enorme monumento bianco, tutto nuovo.

Il Quirinale a destra, sopra un giardino verde pieno di palme ecc. Palazzo Aldobrandini, dall'aria talmente caratteristica, con il suo pino marittimo. La piazza svolta. La colonna Traiana vista dal basso sotto un raggio di sole, bianca, in fondo alla corta via Magnanapoli. La chiesa con la sua cupola bassa. Palazzo Colonna sulla destra con le tre arcate e i giardini della villa che lo sormonta. Sulla destra il Corso. Sulla sinistra palazzo Venezia, poi il Gesù e gli altri palazzi. Corso Vittorio Emanuele, ma soprattutto il sole chiaro di una bella mattinata e il freddo improvviso passando davanti a palazzo Venezia e al Gesù. La via si restringe, è quella antica, e l'ombra del passato cala sulle spalle, mentre nelle strade larghe si ride alla luce del sole. È già qui un simbolo di tutto il libro. Il raggio di sole sulle piazze, o passando davanti alle vie trasversali. Ombre nette, cielo blu intenso. Più in basso Pierre prenderà un vicolo che lo condurrà a via Giulia. Dopo corso Vittorio Emanuele penetra nella vecchia città calma e deserta. La strada si fa irregolare con i suoi palazzi barocchi. Un'altra cupola, quella di Sant'Andrea della Valle. Tutte le chiese già incontrate. Bisognerebbe che l'arrivo, Roma attraversata da una parte all'altra, gli desse già tutta Roma. Controllare sulla piantina.
Ogni nazione ha i propri seminaristi. I francesi tutti neri, gli americani tutti rossi (piccoli cardinali); bisognerà che scopra il colore degli altri.

Stasera ho rivisto il sole tramontare dietro San Pietro. Non una nube. L'aria limpida. Un cielo assolutamente chiaro. E quando il sole si trova dietro la cupola i raggi che penetrano dalle finestre e l'attraversano da una parte all'altra sono veramente accecanti. Pare che ne escano fiammate. Si direbbe che la cupola posi su un braciere, isolata, come portata dalla violenza delle fiamme.
Ciò che rende affascinante la passeggiata del Pincio è che gli alberi dal fogliame persistente restano sempre verdi. Però è monotono girare in carrozza in uno spazio tanto ristretto.