Tesori di Roma: foto di Roma gratis

2 - DIARIO ROMANO

EMILE ZOLA

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Il Foro Romano in una foto scattata da Emile Zola

seconda parte

Questi sono gli appunti che prese Zola nel suo viaggio a Roma dal 31 ottobre al 4 dicembre del 1894 per conoscere l'ambiente dove dovrà muoversi il protagonista di "Rome" un romanzo che fà parte di un ciclo iniziato con "Lourdes" e finito con "Paris" .

VENERDÌ 2 NOVEMBRE

Tutta la giornata passata fra le rovine, un'indigestione di rovine, più che sufficiente a evocare la grandezza romana. Al mattino, per prima cosa, al Foro. Le colonne rimaste del Tempio di Vespasiano danno una grande sensazione di eleganza e di potenza, sotto il cielo blu. La basilica Giulia è solo indicata, ma molto chiaramente, a terra. La piccolezza del Foro sorprende sempre, se lo si paragona con altri monumenti come il Colosseo e le terme di Caracalla. Sembra che la vita romana si sia a volte rinchiusa in spazi piccolissimi (la casa di Livia ecc.) e altre volte distesa in spazi considerevoli. Perché? Il problema è risolto? Più lontano Patrio delle Vestali, l'antico «convento» delle Vestali: vestigia interessanti, dominate dai resti del palazzo di Caligola che scende dal Palatino. Quasi di fronte la chiesa di San Lorenzo in Miranda, installata nel tempio di Antonino e Faustino: notevole esempio di una chiesa che si colloca nel tempio di un'altra religione. Colonne di porfido rosso. Ma più sorprendente di tutto è la basilica di Costantino, con i suoi tre enormi atri e le tre volte spalancate con i loro cassettoni; il pezzo caduto dalla volta, un pezzo enorme. Che massa! Perché costruzioni tanto gigantesche, tanto spesse? Tornando, dalla Via Sacra che passa davanti alla basilica di Costantino, si ha una vista molto interessante sul Foro. La Via Sacra svolta e sale. Come dovevano venir scossi i trionfatori su questo grosso lastricato, nel loro carro senza sospensioni! Il Foro attuale è in rovina, grigio e desolato. Polvere ovunque. Niente erba, solo qualche filo tra i sassi della Via Sacra. E questo sotto il sole pesante dell'estate, con la misera ombra delle rare colonne ancora in piedi, la colonna di Foca e quelle dei templi. L'arco di Settimio Severo. I rostri, ecc. Ma ci sono dieci modi di ricostruire il Foro e io sono soltanto un artista che evoca.

Poi sono andato al Colosseo. L'enorme massa, il lato crollato, il lato in piedi con le sue aperture sul blu. Si aprono ovunque corridoi a volta, in cui le scale consumate sono come pendii. Il colosso è come un pizzo di pietra, con tutte le sue aperture sull'azzurro del cielo. Un cielo terso e chiarissimo, con voli di piccole nubi. Come facevano a coprirlo con il velum? L'evocazione di questo circo immenso, pieno di folla, con i suoi ottantamila spettatori, il palco dell'imperatore e le Vestali sotto. Una rovina cotta dal sole, dorata, maestosa e ancora gigantesca pur se semicrollata. L'arco di Tito, con il suo bassorilievo dei Giudei vinti e condotti a Roma schiavi, che portano il candelabro a sette braccia.

Nel pomeriggio sono andato alle terme di Caracalla, edificio gigantesco e inspiegabile. Due vestiboli immensi, con parti del pavimento in mosaico ben conservate. Un frigidarium con l'indicazione di una piscina in cui potevano bagnarsi contemporaneamente cinquecento persone. Un tepidarium a sua volta molto vasto, così come il calidarium, al cui fianco si trova un impianto di forni per il riscaldamento ancora visibile. E ogni tipo di annessi e connessi di cui si ignora l'uso. Ma lo straordinario è l'altezza delle sale, lo spessore dei muri, la massa spaventosa del monumento. Nessuna nostra fortezza del medioevo ha dimensioni tanto ciclopiche. Blocchi stravaganti di mattoni e cemento.
Bisogna aggiungere che il tutto era rivestito di marmi preziosi e ornato da statue. Un lusso schiacciante nella sua enormità. Per quale colossale civiltà? Le persone che ci passano sembrano formiche. Oggi sembrano rocce consumate, materiali agglomerati e ammucchiati per dimore di Titani.

Poi sono andato al Palatino: un succedersi, una profusione, un accumulo di palazzi. Ogni famiglia imperiale ha voluto il proprio. Si entra da via San Teodoro. Si passa sotto la casa di Tiberio (in alto). Si visita la grotta del Lupercale, in cui la lupa avrebbe allattato Remolo e Remo. Si passa davanti al paedagogium (scuole) e si sale allo stadium. La Domus Augustana è sotto villa Milis, come il tempio di Apollo. Ma lo stadium, che va fino al convento di San Bonaventura, è ancora decisamente riconoscibile dalle indicazioni, con il portico che lo circonda, la sua «meta» a ogni estremità, i suoi palchi e il colossale palco dell'imperatore (Apsis).
Le colonne erano rivestite di marmo. Poi, dietro, il palazzo di Settimio Severo. Ancora una costruzione colossale, con spigoli enormi di mura, volte gigantesche, sale, corridoi, scale ammucchiate. Il belvedere che si sporge e da cui si gode una vista tanto bella, il Colosseo a sinistra, le terme di Caracalla a destra, di fronte il Celio e in lontananza la campagna romana. (È da qui che l'imperatore di Germania ha potuto assistere una sera allo spettacolo del Colosseo illuminato dai fuochi del Bengala.) Si dice che da qui l'imperatore potesse assistere ai giochi che si tenevano nel circo Massimo, di cui non restano vestigia apprezzabili e che superava in grandezza tutto il resto. Sono ridisceso, quindi risalito per vedere la «Domus Flavia»: biblioteca, accademia, porticus e poi triclinium, con il grazioso nymphaeum con la fontana e il peristylium, sale che per metà si trovano ancora sotto villa Mills. Questa villa, acquistata credo dal governo, non sarebbe ancora stata pagata, motivo del ritardo negli scavi. Da qui ho visitato la casa di Livia, madre di Tiberio, di una piccolezza singolare in mezzo a tutti questi colossi.

Poi si passa nella casa di Tiberio, vastissimo palazzo di cui non resta nulla. Vi si trova un giardino molto piacevole, con lecci e cipressi. Dal bordo di una terrazza si ha una vista molto interessante sul Foro, in basso. Un giardino fatto per i sogni e revocazione. Ci può venire Pierre. Da qui si vede il Foro, la gigantesca basilica di Costantino e il Colosseo, che occlude un angolo di cielo. Il palazzo di Caligola è sotto: ancora un ammasso di muri enormi, sale crollate, corridoi giganti. Si dice che il palazzo comunicasse, attraverso una scala segreta, con il tempio delle Vestali, al di sotto. Villa Farnese, in cui Napoleone ha abitato prima di diventare imperatore e in cui ha vissuto a lungo il principe Napoleone, è ancora lì. Poi una distesa di giardini e vigneti. Una linea di cipressi corona il monte dal lato del Tevere. Lecci, pini marittimi. Più in là vigneti e fattorie in cui vanno a spasso le galline. Siamo scesi lungo una strada antica, il clivus victoriae (?).

Insomma, ho voglia di far lare a Pierre quello che ho fatto io, la visita delle rovine in una giornata. Voglio distruggerlo di stanchezza, indolenzirlo con le rovine e così evocare la grandezza romana, in un capitolo in cui darò voce a tutte le mie sensazioni, non di archeologo, ma di artista proiettato là dentro. E terminare con il giardino sopra villa Farnese, con il Foro a sinistra, la basilica di Costantino di fronte e il Colosseo a destra, mentre più in là si trovano le terme di Caracalla. Sempre le stesse rovine, le mura colossali, gli ammassi di mattoni annegati nel cemento, le volte con i loro cassettoni, il tutto ciclopico, e i rivestimenti di marmo per il pensiero, i mosaici, le statue. Farò sorgere dalla fatica e dallo stordimento revocazione della potenza romana. La Cloaca maxima. E tutto il resto che ho dimenticato. Occorrerebbe un po' di storia romana per classificare tutto.

Ho anche visto San Giovanni in Laterano, chiesa e grande ricchezza, come un tempio pagano. Ricostruita, o piuttosto rifatta in parte da Leone XIII, soprattutto l'abside (vedi Baedeker). Pavimento di marmo colonne. Ai due lati della navata centrale statue d< Bernini, di un movimento eccessivo. Soffitto piatte credo, dai ricchi cassettoni. Molto bella la facciate con le statue che si stagliano nel cielo blu. Gamie avrebbe preso la loggia centrale per l'Opera.
La sera sono anche salito sull'Aventino, ma attraverso un sentiero fra due muretti che sbuca davanti alla porta di un convento. Non ho visto niente. Le ti chiese. L'Aventino si vede solo dall'altro lato del Tevere, seguendo il fiume. Le tre chiese sono fra gli alberi.

SABATO 3 NOVEMBRE

Uscito stamattina con mia moglie, a piedi. Seguito la via delle Quattro Fontane, che scende dal Quirinale e che risale sul Pincio sotto il nome di via Sistina. A noi la scalinata di piazza di Spagna, 132 gradini. L'obelisco davanti a Trinità dei Monti. Via Condotti, poi via della Fontana di Borghese. Tornato sul Corso, molto animato sotto il bei sole. Botteghe, paccottiglia. Qualche donna della borghesia, una che ripassa, dal volto un po' allungato, colorito pallido, opaco, gli occhi grandi, l'aria seria e un po' triste. Non troppo alta, sottile e agile. La donna del mio libro.

Pomeriggio con monsieur de Behaine. Subito a San Paolo. Chiesa enorme, per cui Gregorio XVI e Pio IX hanno speso milioni. Finita da Leone XIII. Un tempio antico, una sala del trono, un pavimento di marmo fastoso, luccicante come ghiaccio, su cui i fedeli che si inginocchiano si vedono rovesciati. Non una panca, non un inginocchiatoio, non un angolo in cui sedersi e raccogliersi. Ovunque marmi pomposi, colonne di tempio, una luce bianca e uniforme, una maestà olimpica. I templi di Giove dovevano essere così. Mosaici dagli ori e dai colori vivi e brillanti; uno antico, nell'abside, nascosto da un'impalcatura (vedere nella guida). E un soffitto di ricchezza accecante, dai cassettoni carichi d'oro. Il tutto pomposo, solenne e vuoto. Ho chiesto a monsieur de Behaine, cattolico se fosse frequentata. Non spesso. Non è una parrocchia, non ha fedeli abituali; si trova su una strada a venti minuti a piedi da Roma. Viene gente solo per le cerimonie particolari. (Dal di fuori, una specie d: immenso granaio imbiancato. Mura nude, un campanile magro e basso.) Scoppia (sic) dunque queste malattia della pietra, del monumento per la gloria de] monumento. Le leggi degli imperatori romani trasmesse ai papi, ricevute a sua volta dal governo. Tutti vogliono edificare, lasciare la traccia imperitura dei proprio passaggio. Ogni papa ha voluto costruire pel divenire immortale, come gli imperatori romani che elevavano archi di trionfo. Perfino nelle riparazioni: un papa non risollevava un cippo, non riparava un vecchio muro, senza lasciare una targhetta con il proprio stemma. Le targhe di Pio IX sul Colossèo. Le tombe dei papi con i loro ritratti. Un'epidemia di vanità e di orgoglio, che Roma trasmette ai suoi padroni da oltre duemila anni. Oggi il governo italiano ha tentato di costruire quartieri nuovi, ministeri colossali, le Finanze, la Guerra, poi la Banca Nazionale ecc.

La via Appia. Si fa interessante solo alla tomba di Cecilia Metella. La strada, piuttosto stretta, sale e la tomba si trova in cima, sulla sinistra, accanto alla via. È una tomba rotonda, con un bei fregio: le feritoie medievali la trasformano da lontano in torrione. Di fianco, durante il medioevo, era stata costruita una specie di fortezza, di cui restano le mura merlate. Arrivando si ha sulla sinistra la tomba, sulla destra un muro coperto d'edera e in fondo alla strada un cipresso che ci sta bene. Poi la strada prosegue dritta fino a Casale Rotondo. Qua e là piccoli resti dell'antica pavimentazione: grosse pietre piatte, di lava, credo, molto irregolari e molto dure perfino per le vetture con sospensioni. Ai due lati della strada strisce d'erba e resti di un cimitero abbandonato, su cui fioriscono margherite, ruchetta e finocchio. Qua e là eucalipti, fichi, olivi, alcuni pini marittimi. Radi e sottili. A chiudere queste strisce d'erba matta, su ogni lato, un muretto basso di pietre a secco, all'altezza del gomito. Lungo tutta la strada. È qui che si allineano le tombe e nessuno dubita che un tempo si toccassero, che la fila fosse continua, che fossero come un cimitero lungo tutta la strada. Vi si ritrovano più o meno gli stessi modelli di tomba dei nostri cimiteri. Solo che i marmi sono stati strappati e restano le masse centrali, i blocchi, i mucchi di mattoni o pietre annegati nel cemento. Le forme: tonda come la tomba di Cecilia Metella, un cippo diritto, una massa quadrata, un piccolo portico, un blocco abbassato sormontato da un cippo, un portico sormontato da un cippo, una specie di sarcofago quadrato su una base stretta, che si leva in aggetto e forma al di sopra un coperchio. Il tutto rossastro, lo stesso colore delle rovine dei palazzi del Palatino. Anche menhir diritti, colonne su un masso. Altri infine senza forma, frusti, consumati, gli spigoli smangiati, a metà crollati.

Ma il fascino è costituito dalla campagna romana, che si stende a destra e a sinistra. A sinistra è delimitata dai monti della Sabina a est e dai monti Albani a sudest. Avanzando, questi ultimi si avvicinano e si vedono sempre più chiaramente le macchie chiare di Frascati, Rocca di Papa, Albano. Più vicino a Roma, l'Acqua Claudia srotola il suo acquedotto dagli archi rossastri nel verde dei prati. Qualche vigneto, modeste villette fra ciuffi d'alberi. Il tutto nel verde giallastro della campagna di novembre (d'estate è tutto bruciato, tutto rosso, rinverdisce solo in ottobre). Greggi, montoni, buoi. Sembra che questi pascoli rendano molto. Le greggi, assenti d'estate, ricompaiono solo a ottobre. L'estate è intollerabile. Ma dall'altro lato, a ovest, dal lato del mare, lo spettacolo è ancora più straordinario e grandioso. Tutto piatto una linea d'orizzonte immensa e piatta, senza un colle, solo qualche vallo e vaste ondulazioni. L'orizzonti è una linea diritta, da un capo all'altro. Non un albero. Un mare, e un mare d'erba, solo erba, un verdi giallo che degrada, che si perde nel lillà chiaro e ne rosa, fino all'azzurro del cielo. Un bei pomeriggio di novembre, verso le quattro. I monti Albani e le montagne della Sabina sono violetti e con il calare del soli si fanno rosa. Un gran cielo blu, senza macchie.

Le catacombe di San Callisto. Tornando verso Roma, sulla sinistra. Si passa una porta, si sale in un giardino, si arriva a una catapecchia. Montano la guardia alcuni trappisti francesi, installati in un vicini convento, che ci accompagnano durante la visita ali catacombe. Svolgono un piccolo commercio di oggetti religiosi. Mi pare che per scendere si paghi un franco Ci accompagna un religioso, che ci spiega tutto. Si scende lungo una scala e ci si trova nelle catacombe all'inizio poco profonde. Il modo in cui sono state scavate si spiega facilmente. I cristiani, che avevano preso dai Giudei, credo, l'uso di seppellire i morti cominciarono a scavare a qualche metro dal suolo un prima galleria di una decina di metri, per una famigli o per una piccola comunità (da verificare). Scavavano facilmente con la zappa questo terreno speciale, e tufo granulare (?), che è morbido e che ha la proprietà di essere molto resistente e impermeabile. Praticavano da ogni lato, sempre con la zappa, i fori per «loculi», specie di caselle lunghe, della grandezza ( un corpo, in cui sdraiavano i cadaveri avvolti semplicemente in un sudario. Poi chiudevano l'apertura con una lastra di marmo che veniva cementata. La lastra di marmo recava un'iscrizione, spesso grossolana, eh provava che gli operai erano illetterati. Anche questo lavoro da termiti, lo scavo, veniva effettuato in modo grossolano, senza simmetria, senza allineamento secondo le necessità del momento. I muri sono sbiechi, niente uso della squadra o del filo a piombo. Continuo a spiegare le gallerie: quando una prima era occupata, ne veniva aperta un'altra. Spesso continuavano a scavare in profondità, scendendo anziché avanzare, cosa che spiega l'altezza di alcune gallerie, sette, otto metri o forse più. Altre sono invece molto basse, quelle che sono state semplicemente prolungate in lunghezza. Il tutto indubbiamente (?) senza ordine, in tutti i sensi, forando la terra ovunque. Credo anche che ci siano due piani. Insomma, le catacombe di San Callisto si svilupperebbero lungo sedici chilometri ed è stato calcolato che vi siano stati sepolti un milione di cristiani, fra cui millecinquecento martiri.

Le iscrizioni interessanti sono state tutte tolte e portate nei musei. Le immagini erano comunque grossolane. Il pesce che è il simbolo del Cristo (le prime lettere, Gesù Cristo Salvatore). La palma che indicava il martirio. Altre che troverò nella guida. Ci sono anche dipinti, affreschi molto primitivi. Molto simbolici. Un Cristo senza barba, un simbolo di tutti i dogmi. Si trova in una piccola nicchia quadrata, una cappella dal soffitto basso. Nell'altra cappella, quella di Santa Cecilia, è stato trovato il corpo della santa. Era una tomba di famiglia. La gens Caecilia (a Trastevere, Santa Cecilia in Trastevere, credo). La bella iscrizione di un papa, versi latini. La scala di Diocleziano: i cristiani, inseguiti dai pagani, avrebbero spezzato gli ultimi gradini per non essere raggiunti (?). Ci mostrano uno scheletro ancora sdraiato in un loculus: un americano gli avrebbe spezzato il cranio con il suo bastone per accertarsi che non fosse falso. (Il terreno impermeabile ha conservato molto bene le reliquie: si trovano ossa ancora intere.) Notevole il trappista francese che ci guidava, con la mascella larga, l'occhio chiaro, molto convinto, molto ferrato, trionfante nella sua religione. Credo che il mio Pierre, dopo aver visto le tombe nella via Appia, testimoni dell'orgoglio alla luce del sole, debba scendere qui a vedere come i primi umili cristiani nascondevano i loro corpi, le modeste iscrizioni, l'arte scomparsa, gli affreschi infantili, le sculture grossolane. L'impressione da trame. Il nero delle catacombe, budelli irregolari e frusti in questa terra di un rosso cupo. E il lato sepolcrale, modesto, primitivo. Il termine dormire, credo, ricorrente (?).

L'idea che la morte non fosse che un lungo sonno. In seguito le catacombe non verranno più usate come sepoltura e il paganesimo trionferà di nuovo sul cristianesimo accettato, lo farà proprio e l'orgoglio si stenderà nuovamente sulla morte, scoppiando in gran lusso sotto il sole con le tombe dei papi ritornati Cesari. Le piccole luci in fondo alle gallerie, quando altri visitatori passano in lontananza. Sottili candele, topi di grotta. Il 22 novembre (?), giorno di Santa Cecilia, si dice una messa nella grotta chiamata cappella di Santa Cecilia e le catacombe vengono illuminate, ma la cerimonia deve levar loro il carattere. Credo che preferirò portare il mio Pierre nelle catacombe e lasciarcela solo per un momento, abbandonato dalla guida o magari dimentico di quello che dice e sognante.
Tornando a Roma, si segue fino a porta San Sebastiano la strada fra due muretti. Pare una strada della mia antica Provenza. Molta polvere, muri grigi, vigneti che trabordano, porte del XVIII secolo, fichi. Cipressi, olivi. Pare che d'estate la polvere sia inimmaginabile. È la mia Aix ingrandita, divenuta enorme.