Tesori di Roma: foto di Roma gratis

1 - DIARIO ROMANO

EMILE ZOLA

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Il Foro Romano in una foto scattata da Emile Zola

prima parte

Questi sono gli appunti che prese Zola nel suo viaggio a Roma dal 31 ottobre al 4 dicembre del 1894 per conoscere l'ambiente dove dovrà muoversi il protagonista di "Rome" un romanzo che fà parte di un ciclo iniziato con "Lourdes" e finito con "Paris" .

MERCOLEDÌ 31 OTTOBRE

Sono arrivato questa mattina alle sette, dopo aver attraversato la campagna romana all'alba. Una grande desolazione. Greggi intraviste nella nebbia. Terreni tristi dall'erba rada. Qualche costruzione dalle tegole giallastre, che mi ha ricordato il Midi. Fattorie tristi e bruciate. Il deserto.

Una prima corsa, passando, al Campidoglio. Il Marcaurelio superbo, forte e potente. Vista del Foro, piccolo e grigio. - Di qui al Corso: sensazione di strettezza. La nostra rue Saint-Honoré. I palazzi, grandi masse quadrate, nudi e tristi dal di fuori, con il loro intonaco di un giallo rossastro. Ma all'interno si sente l'immensità: da vedere. - Nel pomeriggio grande corsa attraverso Roma, per un primo colpo d'occhio. Mi tornano alla mente Genova e Aix. Molta grandezza, ma sparsa e triste. L'orrore nauseabondo dei vecchi quartieri. La biancheria alle finestre, appesa ad una corda tenuta scostata dal muro da un bastone. Interi bucati, lunghi drappi che pendono, camicie, biancheria bianca, poi l'accozzaglia della biancheria colorata. L'odore misto d'olio rancido e di miseria. Rivedere Trastevere. Maestà di piazza San Pietro, ma la cupola è troppo arretrata. A palazzo Farnese, dal nostro ambasciatore, saloni magnifici, poi i vani delle finestre in falso marmo mal dipinto. Scale, gallerie, mense il tutto freddo e solenne. E in mezzo l'ambasciatore, monsieur Billot, il topo bianco.

In via del Corso la stessa impressione di strettezza del mattino. Ancora nessuna vettura alle tre del pomeriggio. Bella la sistemazione di piazza del Popolo.

Il Pincio, di un grazioso gusto italiano, ma anch'esso stretto. Una musica militare, troppi ottoni. Busti dei grandi uomini nei viali. Dalla terrazza bella vista su Roma, un po' confusa, con le cupole e le chiese. In fondo, maestosissimo, San Pietro. Dall'altro lato di Roma il Gianicolo, opposto al Pincio. Via del Babbuino (della scimmia) dritta e fredda. Piazza di Spagna con la bella scalinata dal grazioso effetto artistico (alla francese). La fontana di Trevi, molto bella, di un allievo del Bernini. Un rococò grandioso. Villa Aldobrandini in via Nazionale, vista di fronte con il suo giardino per aria, il grande pino marittimo, tutta Roma. Maestosa. Soffia lo scirocco, giornata pesante, con nubi nere e tempestose verso sera.

La conversazione con monsieur Billot: in Francia si sbaglia a disprezzare troppo l'Italia. Potrebbe far molto, soprattutto quella del nord, ma è incapace di uno sforzo prolungato. La Triplice Alleanza ci ha reso il servizio di renderla ambiziosa, di spossarla per mantenere una flotta e un esercito non utilizzati da tempo. E questo che l'ha rovinata.

Inoltre l'Italia era molto più impaziente e desiderosa di una guerra della Germania. La Germania doveva calmarla. La sua flotta, superba d'aspetto, ha già di che temere, invecchiata dopo dodici anni, non più al riparo dai nuovi proiettili; e non è possibile mutarla.

Posizione difficile dell'ambasciatore, poiché gli italiani hanno sempre il pretesto di accusarci di voler ristabilire il potere temporale. È una scusa. Inadeguata.

Piazza Campo dei Fiori, piena di orridi rigattieri.

Molti cocci. Bella vista di ponte Sant'Angelo, guardando verso Trastevere. Pittoresca riva destra. Il Palatino e soprattutto l'Aventino intravisto con le sue tre chiese.

GIOVEDÌ 1 NOVEMBRE

Alle dieci al Gianicolo, nel giardino di villa Corsini, davanti all'Accademia reale di Spagna. Terrazza con un'ammirevole vista su Roma, in questa splendida mattinata d'ottobre. Un cielo azzurro chiaro, di una purezza ammirevole. Un vento leggero da nord. Il Testacelo, a destra, di un viola scuro sullo sfondo bluastro della campagna romana. L'Aventino con le sue tre chiese all'ombra, sullo sfondo chiaro dei monti Albani, pallidissimi e svaporati. Così pure il Palatino con i suoi cipressi, quadrato. Il Campidoglio confuso, appena distinto. La città parrebbe piatta, appena l'ondulazione dei colli, con sfondi pieni di un vapore azzurrognolo, molto delicato. Sotto il Gianicolo i quartieri nuovi, le grandi case quadrate abitate dal popolo miserabile, con la biancheria stesa alle finestre, a nascondere il Tevere. Sulla sinistra iniziano le torri e soprattutto le cupole. Appare solo qualche chiazza bianca, un pezzo di muro, facciate di case nuove. Il resto si perde in un grigio lillà finissimo.

Palazzo Farnese è in basso, una massa quadrata, giallastra. La cupola di San Pietro è all'estrema sinistra, isolata, sopra una linea di alberi e due pini marittimi.

Si vede solo la cupola sorgere da una piega del terreno, come se nascesse dal verde. La cupola è di un grigioazzurro pallido, quasi uguale al blu del cielo, ma un po' più grigio. Il campanile è giallo, pare sospeso.

Ma il vigore viene dato dall'Aventino, dal Palatino fra gli alberi. - Altre zone della città, in lontananza, si stagliano nell'ombra su sfondi chiari. A sinistra villa Borghese, il Pincio, una linea d'alberi a profilare il cielo. Castel Sant'Angelo, tutto tondo, in basso. Salgono grandi fumi grigi. Le tegole di palazzo Farnese sono rossastre. Sopra la terrazza da cui si gode questa vista scopro l'Acqua Paola, zampillante. Dietro palazzo Farnese si scorge la rotondità del Pantheon, basso.

Dietro ancora Montecitorio, giallissimo, con un orologio sulla facciata. Le alture del Viminale, bianche, le costruzioni nuove, i nuovi quartieri, cubi bianchi in cui si aprono i piccoli quadrati regolari delle finestre. A destra di palazzo Farnese, la cupola di Sant'Andrea della Valle. In fondo la torre di Nerone, rossastra. Poi, di botto, Santa Maria Maggiore: una torre quadrata, sottile, con il tetto appuntito e due campanili. A sinistra si vede il nuovo quartiere dei Prati di Castello, le case, cubi dalle finestre regolari.

San Pietro, il giorno di Ognissanti. Cerimonia nella cappella del Coro. Dalla grande navata non si sentono nemmeno i canti. I cantanti della cappella Sistina, l'ammirevole voce femminile. La cappella inondata di sole, tendoni rossi insanguinati dai raggi. E la mia impressione dell'immensa navata, le braccia del transetto e dell'abside grandi come una delle nostre comuni chiese. Un salone di gala gigante, una sala dei passi perduti, un palazzo di ricevimento ciclopico. Le lastre di marmo sul pavimento, le colonne rivestite di marmo colorato, le volte con i cassettoni dorati, le tombe di marmo con le loro statue di marmo. Museo freddo e grandioso. I mosaici delle volte, tutti gli affreschi delle volte, pagani, romani, di una maestà smisurata e trionfale. Niente vetrate alle finestre. Ovunque finestre quadrate, dai vetri quadrati, da cui piove una luce bianca. Quelle di sinistra, colpite in pieno dal sole, lasciano ricadere grandi quadrati luminosi, che gettano proiezioni chiare sullo splendore del marmo. La polvere danza, gli ampi raggi attraversano la larghezza della navata inondandola di gloria. E non una sedia, l'immensa distesa di marmo vuota, deserta all'infinito. Un pavimento da museo, da palazzo. Nessun angolo per raccogliersi, non un angolino d'ombra in cui inginocchiarsi (le nostre cattedrali romane e gotiche). La luce cruda rischiara tutto. È un tempio pagano, elevato al dio della luce e della pompa. L'anima, con i suoi misteri, è assente. L'atavismo, la fede piombano sul colosso di gala. - La statua di bronzo di san Pietro: alcuni ne strofinano l'alluce, lo baciano, ci posano la fronte, lo baciano di nuovo e lo puliscono.

Altri lo baciano senza strofinarlo. La confessione, piccole lampade che ardono. L'elaboratissimo baldacchino, fuso nel bronzo preso al Pantheon. - Confessionali per tutte le lingue, nel transetto di sinistra. Il prete attende, si cura delle anime, legge, scrive. Dopo la confessione, tocca con un lungo bastoncino. Le acquesantiere colossali, con i due angeli. E la mia idea: Pierre che entra un mattino e ascolta una messa mormorata in questa immensità. Non c'è nessuno, solo quattro o cinque turisti, il loro Baedeker alla mano. Significherà che le grandi cerimonie sono morte da quando Roma è capitale. Ci vogliono ottantamila persone per riempire la chiesa. Oggi, giorno di Ognissanti, i cinquecento presenti sembravano formiche nere smarrite. Un seminario francese. Un po' di gente. Le sensazioni di Pierre in questa grande sala d'opera, tanto chiara e attraversata dai brillanti raggi del sole, ma tanto vuota nella sua immensità, con il mormorio della piccola messa che vi farò svolgere.

Quattro o cinque povere donne inginocchiate. Pierre che arriva con il ricordo delle nostre cattedrali romaniche o gotiche, con la loro statuaria emaciata del medioevo, tutta anima, in questa maestà, in questa pompa vuota e tutta materiale. Occorrerebbero tutte le magnificenze papali per riempirla, le grandi sfilate, i cortei che accompagnano il papa.

I quartieri nuovi, soprattutto Prati di Castello. Vasti terreni su cui sono stati creati di botto progetti di quartieri. Vie a scacchiera, piazze. Grandi case quadrate, simili a caserme. Cinque piani. Alcune piatte come le facciate, ma in certi quartieri molto ornate, con colonnine, balconi, sculture. Altre, rientrate, più semplici, per la gente più povera. Si vede di tutto: terreni in cui sono state scavate fondamenta poi abbandonate, terreni su cui è ricresciuta l'erba, fino alle case finite, abitate. Case la cui costruzione è stata abbandonata al secondo piano, i pavimenti allo scoperto, le finestre sul vuoto, le pietre senza rivestimento. Case con il tetto ma simili a gabbie vuote, con pavimenti e finestre non rifiniti. Case terminate ma dalle persiane chiuse, completamente disabitate. Case abitate solo da una parte, il resto chiuso. Case infine completamente abitate, case superbe ma abitate dal popolino, la sporcizia che deborda dalle finestre, stracci che pendono dai balconcini scolpiti, puzza e miseria, donne spettinate, a malapena ricoperte da uno scialletto sporco, alle finestre. Tutta questa gente paga appena l'affitto. Mi dicono che alcuni si sono perfino installati in queste case come per diritto di conquista. Sono entrati e ce li hanno lasciati. E questi quartieri si trovano ovunque a Roma, ai Prati di Castello, sotto il Gianicolo, sui terreni di villa Ludovisi, fuori porta Pia, a San Lorenzo, vicino al Campo Verano, lungo la stazione, sul Viminale e l'Esquilino e anche altrove, vicino al monte Testaccio, credo (tutto da verificare).

Ecco, grosso modo, la storia. Gli italiani padroni di Roma hanno voluto costruire la terza Roma, la grande capitale moderna dell'Italia. L'hanno annunciato, dichiarando il proprio orgoglio e il sangue d'Augusto. Si sarebbe dimostrato al papa quello che l'Italia unita poteva fare della capitale. Il tutto sarebbe stato realizzato in una ventina d'anni, dopo il 1875.

Ma ad attivare ogni cosa c'era un'idea lucrosa, la speculazione sulla vendita dei terreni. Quello che si acquistava a cento soldi al metro si rivendeva a cento franchi. Un terreno era come un valore che passava di mano in mano: il tutto infiammato dall'orgoglio nazionale e dal lucro. La storia del principe Ludovisi, cui vennero offerti sei milioni per la sua villa. La vende. Poi, vedendo il valore salire e sperando che salirà ancora, riacquista i suoi terreni a 50 franchi per rivenderli a 100. Con questo giochetto ha perso i sei milioni della vendita e altri dodici di tasca propria. Cose simili sono accadute ovunque. Grandi signori clericali hanno speculato. Il papa stesso avrebbe perso 23 milioni, gran parte del tesoro lasciato da Pio IX. l crollo è avvenuto perché si è costruito senza misura e senza chiedersi chi avrebbe alloggiato nelle nuove case. Da una parte, la popolazione locale è soltanto raddoppiata, le folle attese non sono arrivate. Dall'altra, si ha avuto il torto di costruire case troppo belle, di cui il popolino non avrebbe potuto pagare l'affitto.

Quindi niente affitti, e le case sono rimaste a consumarsi, vuote. Per salvare la situazione, per riportarla a galla, occorrono gli abitanti, ma abitanti abbastanza ricchi da far sì che le case rendano ai proprietari. Ma tutto dice che un evento del genere non si realizzerà molto presto. Le somme finora rischiate, inghiottite dalle costruzioni a Roma, si calcolano in un miliardo. È stato fatto tutto troppo bello e troppo in fretta.

L'immenso ministero delle Finanze, in via XX Settembre, è vuoto. La Banca d'Italia, in via Nazionale, è un'ironia. Bisogna che approfondisca tutto questo lato finanziario. Ma che profonda ironia questo orgoglio nazionale che va in rovina e questo papa che perde i milioni nella capitale che maledice!

Ho visto il Pantheon, il monumento antico meglio conservato. All'interno è una chiesa e vi ho assistito a una cerimonia: oltraggioso. Ho visto San Luigi dei Francesi, una chiesa romana come tutte le altre, con i suoi marmi e i suoi affreschi. Ho visto San Lorenzo dai mosaici superbi, un'antica cattedra di marmo molto originale, una cripta in cui si scende da un'ampia scala. Vi si trova la tomba di Pio IX. Magnifici mosaici. Ho visto Sant'Agnese fuori le mura, l'antica chiesa per metà sotterranea, molto interessante. Si scende da un'ampia scala: a destra e a sinistra, incastrate nei muri, iscrizioni della chiesa primitiva.

Pomeriggio al Campo Verano. Cimitero immenso, tenuto ammirevolmente. In alto tutte le tombe della nobiltà romana. Un grande orgoglio nella morte. Marmi, cappelle, statue. È tutto bianchissimo, non si è sporcato sotto questo bei cielo. Somiglia un po' al Camposanto di Genova. Un grande quadrato con loggiati e una cappella in fondo. Cipressi, tassi. Siccome era Ognissanti c'era una folla immensa: popolo e piccola borghesia. L'insieme meno facoltoso che da noi. Niente abiti della festa, qualche bei fazzoletto. Assente anche il nostro raccoglimento, ma uno scalpiccio, un curiosare in giro. Tutto questo sotto il sole. Sembra che il pomeriggio si passi nelle osterie. Molta ostentazione e pompa nella morte. Dall'alto di Campo Verano, una bellissima vista sulla campagna romana. I monti Albani, i monti della Sabina. Niente villaggi prima di Albano, Frascati, Tivoli. Solo pascoli.

Già deserto nell'antichità, ma oggi un po' meglio coltivato. Roma vive del resto del regno, di Napoli e dell'Umbria (da rivedere).

Ho parlato del mio cardinale. Posso prendere un nobile romano, ma di nobiltà non troppo alta. Oggi, a parte il cardinale Bonaparte, non ci sono principi. C'è però un marchese, e un Altieri, che contava un papa fra i suoi antenati, è morto nel '67.

Posso dunque prendere un cardinale di una grande famiglia romana, ma dicendo che è l'ultimo. Abiterà nel palazzo di famiglia, senza dubbio in via Giulia, in riva al Tevere, con vista sull'Aventino e anche sul Palatino. Trastevere di fronte. San Pietro a destra. Non potrò dire che il palazzo è stato costruito con resti dell'antichità, perché solo i signori veramente grandi potevano permetterselo. Sarà un palazzo di famiglia del XV secolo, con i ricordi che riuscirò a metterci (da studiare). I Colonna e gli Orsini, la nobiltà più antica, anteriore ai papi. Si battevano, perseguitavano i papi. Da qui Avignone. Poi, al ritorno, i papi crearono a loro volta una nobiltà. I principi romani, coloro che hanno avuto un papa in famiglia. Oggi ci sono ancora delle grandi fortune, ma non sono più intatte. I Borghese rovinati, come tanti altri. Poi il sangue si mescola. Qualcuno è molto avaro. I palazzi vengono affittati, il padrone abita al secondo piano. Perfino il pianterreno viene affittato ai commercianti. Nelle grandi famiglie non si trovano più cardinali. Sono figli di mercanti. Dovrò organizzare la mia famiglia. Nella legge italiana non esiste il divorzio: devono ancora presentarlo e non passerà. Nei casi civili si può far valere l'impotenza o bisogna che il matrimonio sia stato contratto fuori dell'Italia. Devo rivedere il tutto, informarmi. Mi piacerebbe conoscere il principe Ludovisi che specula sulla sua villa (un clericale), parente del cardinale. E la nipote del cardinale dovrà sposare un finanziere (?) all'estero. È possibile? Non mi piace molto; dovrò verificare.