Tesori di Roma: foto di Roma gratis

LE ROVINE DI ROMA

MICHELE DE MONTAIGNE

Foro Romano

Egli diceva che di Roma non si vedeva nient'altro che il cielo sotto il quale essa si era estesa e il piano della sua positura:

che la conoscenza che se ne aveva formava una scienza assolutamente astratta e contemplativa, della quale non vi era nulla che cadesse sotto i sensi; che coloro, i quali dicevano che vi si vedevano almeno le rovine di Roma, dicevano troppo, poiché le rovine di una mole così colossale avrebbero indotto certamente maggior onore e reverenza alla sua memoria; che non era, infine, niente altro che il suo sepolcro.

Il mondo, nemico della sua lunga dominazione, aveva dapprima rotte e fracassate tutte le membra del suo corpo ammirabile, e poiché, sebbene morto, abbattuto e sfigurato, esso gli faceva ancora spavento, ne aveva sepolte le stesse rovine. In quanto a quei piccoli avanzi della sua distruzione, che affiorano ancora al di sopra della sepoltura, era la fortuna stessa che li aveva conservati, affinché testimoniassero della sua sterminata grandezza, che tanti secoli, tanti incendi, la congiura del mondo intero tante volte cospirante alla sua rovina, non erano riusciti a distruggere interamente. Ma che era verosimile che queste membra sfigurate che ancor ne restavano fossero le meno degne, e che la furia dei nemici di questa gloria immortale li avesse indotti a rovinare per primo tutto quello che essa possedeva di più bello e di più degno; che gli edifizi di questa nuova Roma bastarda, che si andavano allora costruendo sui ruderi antichi, benché fossero tali da indurre in ammirazione i nostri secoli moderni, gli facevano rammentare propriamente quei nidi che i passerotti e le cornacchie usano sospendere in Francia alle volte ed alle pareti delle Chiese che gli Ugonotti hanno finito di demolire. Di più, egli credeva, a vedere lo spazio che occupa questa tomba, che essa non fosse stata ancor tutta scoperta, e che la sepoltura della città fosse per la maggior parte ancora interrata.

Che questo, poi, di vedere come un ammasso così spregevole di pezzi di tegole e di cocci rotti fosse riuscito anticamente a formare un monticello di una tale grandezza da eguagliare diverse montagne naturali (poiché egli lo paragonava in altezza al poggio di Gurson, e lo stimava doppio in larghezza), era da ritenersi come un espresso decreto dei fati, desiderosi di far comprendere al mondo la loro volontà di concorrere alla gloria ed alla preminenza di questa città, mediante una così nuova e straordinaria testimonianza della sua grandezza.

Egli diceva ancora, visto il breve spazio che occupano alcuni dei sette colli, e specialmente i più famosi, come il Campidoglio e il Palatino, che non era agevole comprendere come vi fosse stato luogo sufficiente per un così gran numero di edifici. A vedere soltanto quello che resta del Tempio della Pace lungo il Foro Romano, del quale si vede tuttora la rovina ancor viva, come di una grande montagna franata in un ammasso di rocce, non sembra, infatti, possibile che edifici di tale genere avessero potuto trovar posto in tutto Io spazio del Campidoglio, sul quale, tuttavia, esistevano 25 o 30 templi, senza contare le numerose abitazioni private. In verità, poi, bisogna riconoscere che, per quante congetture si possano fare sulla topografia di questa città antica, esse non riescono ad avere alcuna verosimiglianza, poiché il suo piano stesso ha cambiato di forma infinite volte; alcune delle vallate, infatti, si sono colmate, anche nei luoghi più bassi della città, e questo è accaduto, per esempio, al Velabro, che per la sua positura riceveva le acque di rifiuto della città e possedeva un lago, sul quale si sono formati dei monti dell'altezza degli altri monti naturali, dovuti all'accumularsi delle macerie di questi grandi edifizi antichi. Così il Monte Savello non è altro che la rovina di una parte del Teatro di Marcello. Egli riteneva che un antico romano non saprebbe riconoscere la conformazione della sua città, se la rivedesse oggi. è accaduto spesso, dopo avere scavato profondamente la terra, di dovere incontrare il capitello di una colonna molto alta, che si trovava ancora in piedi al disotto. E ancor oggi non si cercano altre fondamenta per le case che in vecchi ruderi o volte, come se ne possono vedere al di sotto di tutte le cantine; e nemmeno si è cercato l'appoggio di un fondamento antico o di un muro che conservasse la sua consistenza, ma si sono piantate, invece, le basi dei palazzi moderni sulle macerie stesse dei vecchi edifizi, così come il caso le aveva accumulate e disposte durante la lunga rovina; e ciò come se queste macerie fossero state proprio dei grossi pezzi di roccia, fermi e sicuri. Ed è facile, infine, rilevare che parecchie delle strade antiche sono oggi a più che trenta piedi di profondità al di sotto di quelle moderne.

Dal Joumal des voyages en Italie, 1580, pubblicato nel 1774.