Tesori di Roma: foto di Roma gratis

IL PIACERE

GABRIELE D'ANNUNZIO

Piazza dei Cavalieri di Malta

ROMA

Come per il divino elegiopéo di Faustina, per essi Roma s'illuminava d'una luce novella. Ovunque passassero, lasciavano una memoria d'amore. Le chiese remote dell'Aventino, Santa Sabina su le belle colonne di marmo parlo, il gentil verziere di Santa Maria del Priorato, il campanile di Santa Maria in Cosmedin, simile a un vivo stelo roseo nell'azzurro, conoscevano il loro amore.

Le ville dei cardinali e dei principi: la villa Pamphilj, che si rimira nelle sue fonti e nel suo lago tutta graziata e molle, ove ogni boschetto par chiuda un nobile idillio ed ove i balaustri lapidei e i fusti arborei gareggian di frequenza; la villa Albani, fredda e muta come un chiostro, selva di marmi effigiati e museo di bussi centenari, ove dai vestiboli e dai portici, per mezzo alle colonne di granito, le cariatidi e le erme, simboli d'Immobilità, contemplano l'immutabile semetria del verde; e la villa Medici che pare una foresta di smeraldo ramificante m una luce soprannaturale; e la villa Ludovisi, un po' selvaggia, profumata di viole, consacrata dalla presenza della Giunone cui Wolfgang adorò, ove in quel tempo i platani d'Oriente e i cipressi dell'Aurora, che parvero immortali, rabbrividivano nel presentimento del mercato e della morte; tutte le ville gentilizie, sovrana gloria di Roma, conoscevano il loro amore.

Le gallerie del quadri e delle statue; la sala borghesiana della Danae dinanzi a cui Elena sorrideva quasi rivelata, e la sala degli specchi ove l'imagine di lei passava tra i putti di Ciro Ferri e le ghirlande di Mario de' Fiori; la camera dell'Eliodoro, prodigiosamente animata della più forte palpitazione di vita che il Sanzio abbia saputo infondere nell'inerzia d'una parete, e l'appartamento dei Borgia, ove la grande fantasia del Pinturicchio si svolge in un miracoloso tessuto d'istorie, di favole, di sogni, di capricci, di artifizi e di ardiri; la stanza di Galatea per ove si diffonde non so che pura freschezza e che serenità inestinguibile di luce, e il gabinetto dell'Ermafrodito, ove lo stupendo mostro, nato dalla voluttà d'una ninfa e d'un semidio, stende la sua forma ambigua tra il rifulgere delle pietre fini; tutte le solitarie sedi della Bellezza, conoscevano il loro amore.

Essi comprendevano l'alto grido del poeta: "Eine Welt war bist Du, o Rom!" Tu sei un mondo, o Roma! Ma senza l'amore il mondo non sarebbe il mondo, Roma stessa non sarebbe Roma". E la scala della Trinità, glorificata dalla lenta ascensione del Giorno, era la scala della Felicità, per l'ascensione della bellissima Elena Muti.

Da Il piacere, romanzo.

ROMA NEVOSA

Splendeva su Roma, in quella memorabile notte di febbraio, un plenilunio favoloso, di non mai veduto lume. L'aria pareva impregnata come di un latte immateriale; tutte le cose parevano esistere d'una esistenza di sogno, parevano imagini impalpabili come per un irradiamento chimerico delle loro forme.

La neve copriva tutte le verghe dei cancelli, nascondeva il ferro, componeva un'opera di ricamo più leggera e più gracile d'una filigrana che i colossi ammantati di bianco sostenevano come le querci sostengono le tele dei ragni. Il giardino fioriva a similitudine d'una selva immobile di gigli enormi e difformi, congelato; era un orto posseduto da una incantazione lunatica, un esanime paradiso di Selene.

Muta, solenne, profonda, la casa dei Barberini occupava l'aria: tutti i rilievi grandeggiavano candidissimi gittando un'ombra cerulea, diafana come una luce; e quei candori e quelle ombre sovrapponevano alla vera architettura dell'edifizio il fantasma d'una prodigiosa architettura ariostéa.

Un orologio sonò da presso, nel silenzio, con un suono chiaro e vibrante; e pareva come se qualche cosa nell'aria s'incrinasse a ognun de' tocchi. L'orologio della Trinità dei Monti rispose all'appello; rispose l'orologio del Quirinale; altri orologi di lungi risposero, fiochi.

Qualche vettura, senza alcuno strepito, discendeva per le Quattro Fontane verso la piazza o saliva a Santa Maria Maggiore faticosamente; e i fanali erano gialli come topazi nella chiarità. Pareva che, salendo la notte al colmo, la chiarità crescesse e diventasse più limpida.

Le filigrane dei cancelli riscintillavano come se i ricami d'argento vi s'ingemmassero. Nel palazzo, grandi cerchi di luce abbagliante splendevano su le vetrate, a simiglianza di scudi adamantini.

La piazza del Quirinale appariva tutta candida, ampliata dal candore, solitaria, raggiante come un'acropoli olimpica su l'Urbe silenziosa.

Gli edifizi, intorno, grandeggiavano nel cielo aperto; l'alta porta papale del Bernini, nel palazzo del Re, sormontata dalla loggia, illudeva la vista distaccandosi dalle mura, avanzandosi, isolandosi nella sua magnificenza difforme, dando imagine d'un mausoleo scolpito in una pietra siderea; i ricchi architravi del Fuga, nel palazzo della Consulta, sporgevano di su gli stipiti e di su le colonne transfigurati da le strane adunazioni della neve. Divini, a mezzo dell'egual campo bianco, i colossi parevano sovrastare a tutte le cose.

Le attitudini dei Dioscuri e dei cavalli s'allargavano nella luce; le groppe ampie della fontana, e lo zampillo e l'aguglia salivano alla luna come uno stelo di diamante e uno stelo di granito.

Una solennità augusta scendeva dal monumento. Roma, dinanzi, si profondava in un silenzio quasi di morte, immobile, vacua, simile a una città addormentata da un potere fatale. Tutte le case, le chiese, le torri, tutte le selve confuse e miste dell'architettura pagana e cristiana biancheggiavano come una sola unica selva informe, tra i colli del Gianicolo e il Monte Mario perduti in un vapore argentino, lontanissimi, d'una immaterialità inesprimibile, simili forse ad orizzonti d'un paesaggio selenico, che suscitavano nello spirito la visione d'un qualche astro semispento abitato dai Mani.

La cupola di San Pietro, luminosa d'un singolare azzurro metallico nell'azzurro dell'aria, giganteggiava prossima alla vista così che quasi pareva tangibile. E i due giovani Eroi cignigeni, bellissimi in quell'immenso candore come in un'apoteosi della loro origine, parevano gl'immortali Geni di Roma vigilanti sul sonno della città sacra.

Da Il piacere, romanzo.