Tesori di Roma: foto di Roma gratis

LA CONQUISTA DI ROMA

MATILDE SERAO

Stazione Termini nel 1867

...A un pensiero che per molto tempo era rimasto latente, e che ora si presentava nella sua forma concreta, con un nome di quattro lettere, egli balzò di scatto dal divano, e si diede a passeggiare, nervosamente, su e giù nella carrozza.

— È Roma, è Roma... — mormorava. Si, era Roma. Adesso quelle quattro lettere, rotonde, chiarissime, squillanti come le trombe di un esercito in marcia, si disegnavano nella sua fantasia, con un'ostinazione d' idea fissa. il nome era breve e soavissimo, come uno di quei flessuosi e incantevoli nomi di donna che sono un segreto di seduzione ; e gli si avvolgeva nella mente in attorcigliamenti bizzarri, in meandri di fascino. Non poteva, non sapeva formarsi l'idea che quelle quattro lettere, come scolpite nel granito, rappresentavano. Il senso che quello fosse un nome di una città, di un grande agglomeramento di case e di popolo, gli sfuggiva: Roma gli era ignota. Per mancanza di tempo, per non sciupare del denaro, ragione di tutte più forte, avvocatuccio ignoto, individuo insignificante, egli non era mai stato a Roma. E non avendola vista, non poteva rappresentarla che astrattamente, come una grande cosa fluttuante, come un grande pensiero, come una grande visione singolare, come un'apparizione femminile ma ideale, come un immensa figura dai contorni indistinti. Così, tutto quello che egli si figurava di Roma era grandioso, ma indeciso, indefinito: paragoni strani, finzioni che diventano idee, un tumulto nella fantasia, un miscuglio d'immagini e di concetti che si sovrapponevano. Dentro quella maschera glaciale di meridionale pensieroso , ardeva il fuoco di una immaginativa abituata a contemplazioni egoistiche e solitarie: e Roma vi metteva il subbuglio.

Oh! egli la sentiva, Roma: la vedeva, come una colossale ombra umana, tendergli le immense braccia materne, per chiuderselo al seno, in un abbraccio potente, come quello che Anteo riceveva dalla terra, e ne usciva ringagliardito : gli pareva di udire, nella notte, la soavità irresistibile di una voce femminile che pronunziasse il suo nome, ogni tanto, dandogli un brivido di voluttà. La città lo aspettava, da un pezzo, come un figlio amato e lontano ; e lo magnetizzava co[ desiderio della madre, profondo, che evoca il figliuolo.

Da tempo egli sentiva questa seduzione di amore, questo appello di amore, intorno a sé : si rodeva d'impazienza, fermo al suo posto, avvinghiato da mille difficoltà materiali e morali, non potendo sciogliersi, con un tormento inferiore che gli faceva pallido il viso e torbido l'occhio. Quante volte, da terrazzino coperto, ad arcate, della sua casa, nel suo paese di Basilicata, egli aveva guardato l'orizzonte chiarissimo dietro la collina, pensando che dietro quell'arco di cielo che si piegava, grandioso, era Roma che lo aspettava ! Cerne i fedeli e pietosi amatori che hanno la loro donna lontana, e si struggono nel desiderio di raggiungerla, egli considerava malinconicamente tutta la distanza che lo separava da Roma, e come, nell'amore contrastato , fra lui e la sua donna si frapponevano uomini , cose, avvenimenti. Di che odio profondo , segreto , tutto concentrato nel suo cuore, egli detestava tutti coloro che si mettevano fra lui e la città che lo chiamava ! Come gli amatori, nel mondo intero, egli non aveva che la visione deliziosa della persona che egli amava, che lo amava : tutte queste ombre nere che si interrompevano fra lui e la lucentezza del suo sogno, gli davano lo spasimo. Un'amarezza gl'inondava le vene : nel suo spirito era un grande serbatoio di rancori, di collere, di disprezzi, di desiderii, come in quello degli amatori...

...La realtà de' suoi sogni gli era dappresso, vicinissima, e con la sua vicinanza -gli dava una palpitazione di gioia. Sentiva l'appressarsi di Roma, come quello di una donna -amata: cercava di esser calino, vergognandosi innanzi a sé stesso : ma gli ultimi venti minuti furono un vero spasimo. Col capo fuori del finestrino, ricevendo in faccia il fumo umido del •vapore, senza più guardare la campagna, senza •un'occhiata per gli eleganti acquedotti che si prolungavano nella pianura, egli guardava verso la mèta, credendo e temendo ad ogni tratto di veder apparire Roma, compreso da un vago senso di terrore. Spariva la campagna, dietro, come se si inabissasse, portando con sé i prati umidi, gli acquedotti giallastri e le bianche casette cantoniere. La macchina pareva accrescesse la sua velocità, e ogni tanto dava in un fischio lungo lungo, stridulo, a due, a tre riprese. A quasi tutti i finestrini vi erano delle teste sporgenti.

Dov'era Roma, dunque? Nulla si vedeva. E. la inquietudine era così forte , che quando il treno cominciò a rallentare, l'onorevole Francesco Sangiorgio ricadde sul sedile : il cuore gli batteva sotto la gola, come se gli si fosse allargato per tutto il petto. Passando sul pavimento ferreo degli scambi, quelle scosse forti gli si ripercuotevano dentro, gli davano sul capo come tanti colpi di martello. Gl'impiegati non dicevano neppure : Roma. Ma egli , scendendo , fu preso da un lieve tremito nelle gambe ; la folla lo circondava, lo urtava, lo spingeva, senza badare a. lui: in due correnti, per i treni che arrivavano, in coincidenza, da Napoli e da Firenze. L'onorevole Sangiorgio era smarrito tra la gente , addossato al muro , come se non si reggesse , avendo ai piedi la sua valigetta ; e con l'occhio vagante guardava tra la folla, come se vi cercasse qualcuno...

Acquedotto claudio molins 1860