Tesori di Roma: foto di Roma gratis

IL CARNEVALE DI ROMA

ANDREA BUSIRI-VICI

La corsa dei barberi

parte prima

Universalmente e noto come uno dei più splendidi e dei più originali carnevali d'Italia e del mondo è quello Romano. In ogni tempo avea attirato la curiosità degli stranieri da ogni parte d'Italia o da oltremonte, non solo per la giocondità dei suoi spettacoli, e per la festività dei suoi abitanti, ma specialmente per la urbanità, la moderazione la docilità ed il rispetto alle leggi ed al costume, e ad ogni più delicato sociale riguardo di ogni classe di persone ; virtù che non si posseggono fra il frastuono e l'entusiasmo delle feste pubbliche o popolari, se non da un popolo di antichissima data, e che alla fortezza d'animo, accoppia la temperanza de' modi. Quale stagione di allegrezza e di divertimento viene osservata solennemente dai romani più che dagli altri popoli. Quelli che soprammodo contribuiscono a rendere brillante il Carnevale sono i romaneschi, cioè quelli particolarmente di alcuni rioni della città, come Monti, Regola, Trastevere. In quelli Idiotermi è chiara l'espressione della universale intelligenza, ed in mezzo ai rustici modi, d'altronde cortesi e spontanei, senti palesarti sentimenti, sì generosi, ingenui e di un delicato gusto insieme a motti arguti, graziosi e pieni di energia, che ben per essi si è spiegato come Roma sia la patria perpetua dell'immaginazione su di ogni classe di persone. Otto sono in Roma i giorni prescritti alle mascherate ed alle carriere dei cavalli, dette corse dei barberi. Al suono del campanone del Campidoglio cioè ad ore 19, i mascherati uscivano per la città, ma però ad ore 24 dovevano togliersi la maschera dal viso, per riprenderla se si recavano ai festini che erano cinque, oltre quelli particolari dei signori e dei popolani. Con editto il Governatore rendeva noto che il Sovrano Pontefice permetteva nei determinati giorni il Carnevale con le corse dei cavalli, colluso della maschere e collo spettacolo dei notturni festini; rinnovava inoltre nel medesimo editto la proibizione di spaventare, arrestare e bastonare i barberi nella loro corsa, come pure eravi rigorosamente il divieto dei confetti composti di calce, pozzolana e gesso, ed invece l'uso dei confetti composti di coriandoli, anici, miglio, farina, zucchero, cannellini e simili ; vietava infine tirare villanamente con impeto o con altro indiscreto strumento quei di mandorle o pistacchi di maggior grandezza. Le piazze principali erano occupate pel buon ordine da vari corpi di milizie col concerto, oltre quelli amovibili che perlustravano il Corso e le altre strade affine di prolungare il tragitto delle carrozze, alle quali, essendo in gran numero, si assegnavano pure le vie di Ripetta, Piazza di Spagna, il Babuino, ed il Popolo, che alcuni giorni non erano neppure sufficienti. In questo esteso tragitto e specialmente lungo il Corso dai balconi parati a festa e dalle carrozze gettavansi a vicenda confetti o altri grani innocui, mazzetti di fiori, dolci e galanterie o altro, che serviva a mantenere viva l'allegrezza ed il tripudio, che nel Carnevale soleva darsi il popolo con l'uso della maschera sul volto e travestimenti in varie foggie ; non che senza maschere con bellissimi episodi contraffacendo con tanta naturalezza ogni sorta di personaggi ed i diversi ceti di persone. Nel 1700 per la copiosa neve che cadde, si sospesero le corse e fu proibito il mascherarsi finchè questa cessasse. In alcune circostanze poi di solennità minorandosi di qualche giorno il Carnevale, come nel 1780 sotto il Pontefice Pio VI e nel 1818 regnando Pio VII, si permisero le corse dei barberi e le maschere in giorni anticipati onde indennizzare il popolo. Così pure nella venuta di qualche sovrano per fargli godere il brillante Carnevale romano tu anche celebrato in gennaio, come avvenne essendo in Roma l'arciduca Ferdinando, governatore di Lombardia, con l'arciduchessa Beatrice di Modena, sua consorte, ed in contemplazione del re di Svezia, Gustavo III, e dell'arciduchessa Maria Amalia moglie del duca di Parma nel 1784 e nel 1823 furono anticipati di un giorno i divertimenti carnevaleschi. Inoltre nella celebre pace del 1408 fatte per tutta Italia feste, e per due giorni in Roma il Pontefice Paolo II, ordinò ad imitazione degli antichi alcuni giuochi e furono aggiunte le otto corse dei pallii, perché conosceva meglio dei suoi predecessori il vero genio del popolo romano, ordinando pure feste magnifiche con un suntuoso banchetto al popolo. Questo Pontefice procurava divertire il popolo romano e a questo, al Senato, ed ai forestieri in tempo di Carnevale dava egli un lauto banchetto nel suo palazzo di San Marco e finito il pranzo gettava al popolo gran quantità di denaro dalle sue finestre. Regalò una volta al popolo romano quattrocento scudi, allorché gli preparò una splendida e numerosa mascherata quale non si vide così maestosa ai nostri tempi, per carri, figure, personaggi, guardie e più di 160 giovani scelti, pel Senato che vi si conduceva colla maggior pompa degli antichi romani, circondati dai magistrati di Roma stessa, e per altre decorazioni degne soltanto della eterna città. Sisto V nel Carnevale di Roma ne riformò gli abusi e le prepotenze divenute intollerabili: ne per queste cure particolari del governamento temporale il Papa tralasciava di impiegarsi con singolare premura alle cose che riguardavano il suo apostolico ministero. Ciò che dimostra come in Roma, qual si conviene alla capitale del cristianesimo, mentre riesce esemplare per opere divote, si distingue pure pel suo brillante Carnevale.

Nei bassi tempi, cioè nel 1545, come solevano fare gli antichi Romani col vero significato dei carri trionfali: procedevano in Roma pel primo:

1. Rioni: Trastevere. — Carro che rappresentava il Carro Massimo.

2. Rione Ripa. — La statua della Fortuna e vari emblemi.

3. Rione Sant'Angelo. — La citta di Costantinopoli.

4. Rione Campitelli — Gli orti delle Esperidi.

5. Rione Pigna. — La statua di Cibele Turrita.

6. Rione Sant'Eustacchio. — Un Concilio in atto di condannare gli eretici.

7. Rione Regola. — Un corvo che inseguiva alcuni serpenti avendone afferrato uno in bocca.

8. Rione Parione — Uno smisurato grifone alla custodia di un nascondiglio d'oro.

9. Rione Ponte. — Due cavalieri a cavallo affrontati insieme sopra un ponte ; uno vestito alla romana, l'altro alla barbara, dei quali il primo restava vincitore.

10. Rione Campomarzio. — Due eserciti sopra, da una parte turchi, e dall'altra italiani, tedeschi, spagnoli e francesi che venivano alle mani dichiarandosi la vittoria pei secondi.

11 . Rione Colonna. — Due monti, Abila e Calpe, con un braccio di mare intermedio, sul quale veleggiava una nave verso oriente. Dopo tal carro gran quantità di guastatori con vettovaglie, artiglierie, ed arnesi di campo militare.

12. Rione Trevi. — Un cavaliere armato alla romana che con la lancia in mano superava un barbaro con vigore già sotto i piedi.

Per trattenimento della festa oltre il consueto eravi un gran Mongibello tirato da cavalli, agli angoli del quale vedevansi bellissimi trofei, e sotto eravi preparato un magnifico fuoco artificiale, che si fece eseguire nell'entrare in Agone con grande meraviglia ed allegria degli astanti. Seguiva il carro del Rione Monti che figurava la favola del Prometeo legato al monte Caucaso. Indi venivano i connestabili di tutti i tredici rioni di Roma (giacché allora Borgo non lo era in numero di 300 con le insegne rispettive: 82 giovanetti vestiti ali antica con drappi d' oro, argento e seta sopra bellissimi cavalli scortati ognuno da molti staffieri. In ultimo un numeroso coro di musicanti a cavallo con trombe. Chiudeva la processione dei carri quello del Papa, la cui statua in abito pontificale si ergeva nel mezzo ed ai lati si ammiravano quattro bassorilievi allusivi alle virtù di Lui; tutte queste macchine ambulanti erano tirate dai bufali. Il carro pontificio era poi seguito dai Sindaci del popolo romano, officiali, cancellieri, gonfalonieri, paggi, staffieri, il gran Gonfalone romano portato dal Gonfaloniere di Roma, riccamente vestito e pieno di gioie fino agli speroni, valutate trentamila scudi, ed appresso quattro paggi vestiti all'antica in tela d'oro, e venti staffieri. Finalmente procedevano i Conservatori di Roma ed il Senatore cogli altri ufficiali di Campidoglio. Questa e magnifica festa partita dal Campidoglio per la strada nuova si recò alla piazza della Pigna o dei Cesarini, proseguì per Valle e Massimi voltando per Campo dei Fiori, passò alla piazza Farnese, nel palazzo della famiglia del Papa, ove ai balconi eravi Paolo III con molti cardinali, signori e signore. Tutta la cavalcata in giro per la piazza voltò per Corte Savella, Banchi, Ponte, Sant'Angelo, Coronari, piazza Apollinare ed entrò in piazza Navona, e circondatala più volte si schiero come un battaglione. Alle ore 24 ognuno si ritirò nella propria abitazione: questa festa senza le vestimenti costò 100,000 scudi. L'epoca in cui i Romani dei tempi di mezzo sfoggiavano tutta la loro magnificenza in simili spettacoli, era quella del Carnevale, dappoiché quanto di sontuoso poteva tornire una pompa secolaresca, quanto la grandezza del pubblico erario poteva somministrare, impiegavasi per feste carnevalesche, che recavano altresì grande vantaggio a tutte le classi del popolo.

La Corsa dei Barberi

CORSA DEI CAVALLI

DETTI VOLGARMENTE "BARBERI" IN ROMA

Fra gli spettacoli dei nostri maggiori, devesi riferire quello della corsa dei cavalli in Roma.

Gli antichi Greci e Romani furono amantissimi dei diversi giuochi di cavalli ed i Romani sopramodo si dilettarono delle corse nei giuochi cirensi correndo con carri o coi cavalli; in principio della repubblica i cocchieri erano uomini ignobili, o per lo più servi; corrotti però i costumi non solo i nobili, ma molti degli stessi imperatori si misero a correre nei circhi. Nel secolo XIII era già usata la corsa dei cavalli, e nell'anno 1256, essendo stata liberata Padova da Eccelino, la repubblica formò il decreto di solennizzare il giorno con gran festa e divota processione e corsa di cavalli, proponendosi (come nei paesi di oggi) dodici braccia di scarlatto, e uno sparviero di cui il prezzo non ecceda la somma di sessanta soldi e due guanti di ferro. Nel 1270 in Ferrara, nella festa di San Giorgio, si correva per tre premi: il pallio, la porchetta e il gallo. Dei Bolognesi è scritto che nel 1281 per San Bartolomeo si correva al pallio con cavalli, essendo il premio un cavallo ben addobbato, uno sparviere ed una porchetta. Né solamente si correva con cavalli, ma ancora si usò la corsa di uomini, donne, ragazze allegre, ed asini. Correvano pure i vecchi, i giovani, quelli che erano di mezza età, correvano pure i giudei, facendoli prima ben satollare perchè corressero con mediocre velocità, e qualche volta entro il sacco; correvano i cavalli, le cavalle, gli asini e i bufali con piacere di tutti. La corsa era dall'Arco di Domiziano o Marco Aurelio presso il palazzo Ottoboni-Fiano sino alla chiesa e palazzo di San Marco, ove stava il Papa, prendendo grandissimo piacere per queste feste, e dopo la corsa ai fanciulli, lordi di fango per aver corso, taceva dare un carlino a cadauno. Nel secolo XIV, per le feste celebrate nel Carnevale, l'Università degli ebrei pagava 1130 fiorini d'oro, ed il Papa Bonifacio IX esentava da questa contribuzione Angelo suo medico e la famiglia di lui. Sotto Paolo II si facevano altri sei pallii, oltre quelli d'oro e di seta pei cavalli romani, per quelli forensi e pei conduttori di asini, e cioè:

Uno per gli ebrei che correvano il lunedi prima della domenica.

Uno pei fanciulli cristiani pel martedì.

L'altro pei giovani cristiani nel mercoledì.

Il quarto pei sessagenari nel venerdì.

Il quinto per gli asini nel lunedì.

Il sesto per le bufale nel martedì di Carnevale.

Per la regolarità poi delle corse prima del Carnevale, la Magistratura romana emanava un editto con relativo regolamento ed ogni giorno della carriera pubblicava l'individuazione dei cavalli che si esponevano alla corsa ; cosicché il popolo conoscendo il loro numero non si arrischiava nel mezzo del Corso se non dopo passati. A questa ottima previdenza per la incolumità degli spettatori alle corse, dal Pontefice Pio VII fu tolto l' inconveniente, che nei tempo della carriera dei cavalli vi fosse l' ingombro delle carrozze ; un gran merito però ebbero nel raddrizzamento e nel miglioramento del Corso, il Pontefice Alessandro VII (Chigi), Paolo III e Clemente XII. Sotto Sisto V si faceva pure uno steccato di travi da ambedue le parti, acciocché nel mezzo fosse anche libero per le carrozze e pei barberi, non che pei carri trionfali che venivano somministrati dall'artiglieria unitamente ai soldati che vestivano il costume adatto al soggetto; ed anche i principi ed i signori si facevano un pregio dare i loro equipaggi per le mascherate rappresentanti talora qualche fatto storico, mitologico o bizzarro, e lateralmente camminava libero il popolo. Infine, a questi steccati che si limitavano posteriormente alle sole piazze, ove risiedevano vari corpi di milizia coi concerti militari, veniva sostituito lungo la via del Corso nel momento della così detta mossa dei dragoni una doppia fila di fanteria che formava due cordoni laterali molto decorosi e di diritto della popolazione che pagava tenuissime tasse, mentre oggi i contribuenti per quelle esorbitanti dovute all'ozioso esercito, non ne ricevono alcun beneficio. In ogni giorno della corsa, al secondo sparo dei mortari, cioè alle ore ventitré, tutto il Corso era sgombrato dalle carrozze; ed allorquando ne voleva profittare, con nobile treno percorreva tutta la via per distinzione e privilegio uno degli Ambasciatori residenti in Roma, avendone dato prima avviso e presi i debiti concerti con Monsignor Governatore il quale dava le opportune provvidenze per la regolarità della corsa. Quindi, come praticavasi ogni giorno, un drappello di dragoni pontifici, cavalcando, dalla mossa si recava alla ripresa, ove giunti seguiva la carriera dei barberi; in questo momento essendo libero il Corso, godevasi nel gruppo di scelti giovani, in alta uniforme con superbi cavalli un vero colpo di vista e forse unico, che si riproduce pure in disegno. Tra questi debbonsi ricordare i due eleganti Lioni di Roma, Belli e Galletti, che facevano girare il capo a diverse signorine; giovani alti, ben profilati nella persona e complessi, con forme delicate e molli, montati sopra focosi cavalli sauri lanciati quasi alla carriera, comandando quel drappello che al presentarsi destava la fantasia romana, infiammandosi il genio e l'estro dell'arte. La partenza dei barberi era innanzi l'obelisco della piazza del Popolo, dopoché il cavalier mossiere aveva ordinato lo squillo della tromba, per la quiale con un ordegno cadeva il canapo che tratteneva i cavalli corridori. Momento di violenta emozione nel rivedere una cosa tanto gradita, che formava presso il numeroso pubblico, ivi accorso ogni giorno, il più gradito divertimento dei Romani usato fino dal secolo XIII. Da questa rinomatissima piazza aveva principio la corsa dei barberi, che si faceva negli otto giorni del Carnevale, ove si formava un teatro di palchetti per gli spettatori, fra i quali otteneva il primo luogo il Senato Romano che assisteva alla corsa dei barberi. II prof, architetto A. Busiri-Vici nel 1882, per mettere al coperto gli spettatori, per la incolumità dei barbereschi, e per ottenere una rigorosa partenza unisona dei cavalli, pubblicava con i corrispondenti disegni e dettagli un opuscoletto meccanico col titolo :

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Nuova Sala Teatro al Popolo

E partenza libera dei Cavalli nella Corsa »

quale riusciva graditissimo al pubblico; mentre alla sicurezza e comodità riuniva il maggior diletto pei balli in maschera, riunioni e fiere per circa 4000 persone; inoltre, nel 1880, un'architettura di fantasia col divertimento aereo, nell'ultima ora di ciascun giorno del Carnevale di Roma in sostituzione della corsa dei barberi; con nuovi balconi-cavalcavia sul Corso e sulle vie laterali, con applicazione di ascensori economici; suoi studi e disegni con illustrazione. In ogni giorno era variato spettacolo, e cioè balli, suoni, canti, commedia, ginnastica, lotta e scherma, corsa di velocipedi, illuminazioni, fuochi artificiali, bengala ed altri. Le corse non solo avevano luogo per la via Lata o Corso; ma prima avevano luogo per la strada Florida o Giulia, e per la via della Lungara, finché nel Pontificato di Paolo II nel 1464 furono stabilite sull'attuale via del Corso (antica via Lata) avendo principio dall'Arco di Domiziano presso il palazzo Fiano, e di là giungendo al palazzo di Venezia, edificato dal medesimo Pontefice. Ebbene, dopo quattro secoli, persone che posseggono dei talenti misteriosi e provvisti di segreti ingegnosi, che gli danno tanta potenza e le fanno esercitare una notevole influenza sulle tradizioni della vecchia Roma, hanno voluto, dopo il 1870, rappresentare i pericoli delle corse del Carnevale, che nei secoli trascorsi si esercitavano sopra vie di minor sezione e mancanti del rettifilo, negando pure la garanzia dei soldati che costantemente si prestavano a vantaggio del pubblico da esso pagati oggi ad un prezzo favoloso; facendo sopprimere un divertimento quasi mondiale, togliendo ancora al popolo i mezzi di vivere almeno in allegria! Mentre poi si permettono le automobili per le quali si deplorano frequenti e gravi disgrazie! Tanto non fu mai bello il Carnevale come lo fu a Firenze, ed a Venezia nei tempi della loro splendida gloria, come lo era in Roma. Conserviamo adunque le usanze che sono il retaggio de' nostri padri! Oggidì talenta a questi dir male del Carnevale e della maschera, e delle altre piacevoli usanze di quella stagione, e sostengono che siffatte cose sono avanzi di barbarie, che punto non si accordano colla civiltà del secolo, il crescere della quale tosto o tardi deve finire a torle via. Io non so dove costoro vorrebbero condurre l'umana razza; né se credano che l'incivilire gli uomini nel dirigere al meglio le tendenze, consista nel mutare la natura loro! noi Italiani sono nazionali siffatte allegrezze specie pei Romani. Poi quei giorni sono ai ricchi occasione di spendere maggiore quantità di danaro, il quale circola in mezzo al popolo industrioso, che impoverito dalle numerose esorbitanti tasse ne fa suo profitto. E mentre il ricco in quelle feste, in quelle mascherate, in quelle luminarie, in quei corsi diverte sé, diverte anche quella povera gente minuta, che tutta la vita stenta in mezzo a fatiche incredibili per guadagnare alla famigliola un misero pane bagnato di sudori e di lagrime '

ANDREA Prof. BUSIRI-VICI - INGEGNERE ARCHITETTO - ROMA SPARISCE - MEMORIE ISTORICHE ARCHEOLOGICHE DELPOPOLO ROMANO - XXI APRILE MDCCCCVII

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