I
Tè redimito di fior purpurei
aprii tè vide su 'l colle emergere
da 'l solco di Remolo torva
riguardante su i selvaggi piani:
te dopo tanta forza di secoli
aprile irraggia, sublime, massima,
e il sole e l'Italia saluta te
e, Flora di nostra gente, o Roma.
II
Se al Campidoglio non più la vergine
tacita sale dietro il pontefice,
né più per Via Sacra il trionfo
piega i quattro candidi cavalli,
questa del Foro tuo solitudine
ogni rumore vince, ogni gloria;
e tutto che al mondo è civile,
grande, augusto, egli è romano ancora.
III
Salve, dea Roma! Chi disconosceti
cerchiato ha il senno di fredda tenebra,
e a lui nel reo cuore germoglia
torpida la selva di barbarie.
Salve, dea Roma! Chinato ai ruderi
del Foro, io seguo con dolci lacrime
e adoro i tuoi sparsi vestigi,
patria, diva, santa genitrice.
IV
Son cittadino per tè d'Italia,
per tè poeta, madre de i popoli,
che desti il tuo spirito al mondo,
che l'Italia improntasti di tua gloria.
Ecco, a tè questa, che tu di libere
genti facesti nome uno, Italia,
ritorna e s'abbraccia al tuo petto,
affisi ne' tuoi d'aquila occhi.
V
E tu dal colle fatal pe 'l tacito
Foro le braccia porgi marmoree,
a la figlia liberatrice
additando le colonne e gli archi:
gli archi che nuovi trionfi aspettano
non più di regi, non più di cesari,
e non di catene attorcenti
braccia umane su gli eburnei carri;
VI
ma il tuo trionfo, popol d'Italia,
su l'età nera, su l'età barbara,
sui mostri onde tu con serena
giustizia farai franche le genti.
O Italia, o Roma! quel giorno, placido
tornerà il cielo su '1 Foro, e cantici
di gloria, di gloria, di gloria
correran per l'infinito azzurro.
Dalle Odi Barbare, Bologna, ed. Zanichelli.