Giammai fra quante versa acque l'inclita
Roma, o che lente spiovan da candidi
Marmi e bacini o che spruzzando
Sgorghin da le bocche dei Tritoni,
Niun'altra fonte, per quanto imperio
Stese già Roma, sia comparabile
A tè sul Gianicolo in cinque
Bracci scrosciante fra le colonne.
Diletta sposa, qui solitudine
M'invita, donde lo sguardo abbraccia
La Roma del Servo dei servi
Con la Roma de' trionfatori.
Ardua la mole vetusta innalzasi
Del Colosseo, ma spira un alito
D'eternità tra le colonne
Tue pur anche, o Palazzo Farnese!
Ove una volta di Giove l'aquila
Vittoriosa stendea l'artiglio,
Sorse ivi su gli alti fastigi
La croce e durevoi tenne imperio.
Finché, trastullo della volubile
Sorte, la terra sconvolse il Cesare
Franco e il vessillo tricolore
Pose a canto al colosso di Fidia.
Da Odi, Inni, Egloghe, Epigrammi, versione metrica di Giacomo Surra, ed. Sonzogno, Milano.