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FORO ROMANO

AREA CENTRALE DEL FORO

Area Centrale del Foro
Area Centrale del Foro

L'area del Foro è coperta con lastre di travertino: la massima parte del lastricato ora esistente sembra di epoca tarda. Sopra il lastricato, o innestate con esso, si vedono le fondamenta di parecchi monumenti, il cui significato spesso rimane incerto. Ad una costruzione quasi quadrata di mattoni, scoperta non lungi dal sacello di Cloacina, dinanzi il centro della Basilica Emilia si è voluto attribuire, senza ragione convincente, il nome di 'Giano'.

Giano, il nume romano dell'entrata e dell'uscita, non aveva sul Foro un tempio vero e proprio; i sacrifizi a lui si compivano nella Regia. Vi era bensì un sacello di forma caratteristica con due porte ad archi (iani) congiunte fra loro da mura o cancelli. Questo sacello esisteva ancora nel secolo sesto dopo Cristo; un testimonio di quel tempo lo descrive così: "Giano ha il suo tempio nel Foro di contro il Senato, poco più in là delle tria Fata. Quel tempio è tutto di bronzo [vale a dire tutto incrostato di bronzo], di forma tetragona e grande tanto da coprire la statua di Giano. Questa statua di bronzo è alta non meno di cinque cubiti (m. 2,50), in tutto il resto ha figura umana, salvo che ha la testa con due faccie, delle quali una è volta ad oriente, l'altra ad occidente. Dinanzi a ciascuna faccia sonvi porte di bronzo". (Procopio, tr. di D. Comparetti). Il sacello è effigiato sulle monete di Nerone coniate nel 66 dopo Cristo quando l'imperatore chiuse il Giano "dopo aver restituito la pace al popolo romano in terra e sul mare". La suddetta costruzione non può aver appartenuto al sacello di Giano, poichè non è posta dinanzi la Curia, nè orientata da ponente a levante.

Base della statua Equestre di Costantino

Più innanzi verso la Sacra Via si vedono sul pavimento, quasi nel centro della piazza, gli avanzi di una base la quale, per la sua forma, può bene aver sostenuta una statua equestre. La parte inferiore è di mattoni, posti immediatamente sui travertini del pavimento; sopra i mattoni sono blocchi di travertino e più sopra ancora fusti di colonne di giallo antico adoperati come semplice materiale (ora giacciono presso la base). Una tale costruzione sembra convenire soltanto ad epoca tardissima; a mala pena si può considerarla come la base dell'equus Constantini, che l'anonimo Einsidlense vide ancora in piedi nel mezzo del Foro.

Base della statua Equestre di Domiziano

Fra questa costruzione e le basi di mattoni fiancheggianti la Sacra Via sono venuti alla luce, nel 1903, grandi avanzi di opera a sacco che si trovano a circa un metro sotto il livello imperiale. Questi avanzi probabilmente appartengono ad una costruzione del primo secolo dopo Cristo; a questo tempo infatti conviene il lavoro e il materiale adoperato, e da essa rimase ostruito uno dei cunicoli sotterranei. Della parte superiore non è rimasta traccia; essa doveva consistere in grandi massi di travertino e di marmo; da ciò possiamo dedurre con probabilità che il monumento sia stato distrutto già nei tempi antichi. Ora è noto che ad un imperatore del primo secolo, contro il quale il Senato, dopo la sua morte, pronunciò la damnatio memoriae, Domiziano, fu innalzato un grandioso monumento nel mezzo del Foro, vicino al lacus Curtius; la base di cui parliamo, il luogo dove si trova e la sua costruzione, paiono convenire molto a questo monumento.

Il monumento eretto nel 91 dopo Cristo a Domiziano per celebrare le sue vittorie sulla Germania consisteva in una statua equestre colossale che sotto il piede anteriore del cavallo aveva una figura giacente che rappresentava il fiume Reno. Il poeta Stazio ha magnificato il monumento in un carme, dal quale possiamo rilevare particolari importanti sulla topografia del Foro. Rivolgendosi all'Imperatore egli dice:

Par operi sedes: hinc obvia limina pandit

Qui fessus bellis adsertae munere prolis

Primus iter nostris ostendit in aethera divis...

At laterum passus hinc Iulia tecta tuentur

Illinc belligeri sublimis regia Pauli:

Terga pater blandoque videt Concordia vultu.

Ipse autem puro celsum caput aere saeptus

Templa superfulges et prospectare videris

Anche nova contemptis surgant Palatia flammis

Pulchrius, an tacita vigilet face Troicus ignis

Atque exploratas iam laudet Vesta ministras.

"Il luogo è degno dell'opera. Dirimpetto si apre il tempio dell'eroe, che stanco delle guerre, grazie al figlio suo addotivo, primo additò la via dell'Olimpo ai nostri semidei. Ai tuoi lati, s'innalza qui, l'edifizio di Giulio, lì, la sontuosa basilica del bellicoso Paolo. Dietro ti guarda il padre e con sguardo carezzevole la Concordia. Tu stesso, circondato il capo sublime da un puro aere, ti elevi brillante al di sopra dei templi e par che tu esamini se il nuovo palazzo dalle fiamme sorga più bello, se il fuoco Troiano vigili nel segreto del Santuario e se Vesta torni a lodarsi delle sue vergini ministre".

Il v.  22 si riferisce all'apoteosi di Giulio Cesare compiuta da Augusto; il v.  31 accenna ai templi di Vespasiano e della Concordia; il v.  36 allude ad un processo clamoroso contro una Vestale fatto nel principio del regno di Domiziano.

Nel piano superiore dell'opera a sacco sono immessi parecchi grandi cubi di travertino. Uno di essi, come fu accertato nel marzo 1904, a nel mezzo un incavo, nel quale si trovarono cinque vasi di terracotta, perfettamente simili a quelli rinvenuti nella necropoli presso il tempio di Faustina (n. XXXV). Forse questi vasi fecero parte della suppellettile di una tomba arcaica rinvenuta quando si gettarono le fondamenta dell'equus Domitiani, e furono allora, per riguardo al rito, riposti nel medesimo luogo ove erano stati trovati. Nei vasi non erano nè frammenti di ossa, nè oggetti funebri; nel più grande si rinvennero un pezzo di quarzo, a cui era aderente una piccola pepita di oro, e alcuni frantumi di tartaruga.

Lacus Curtius

Secondo la descrizione data nel carme di Stazio sopra citato, presso l'equus Domitiani era il lacus Curtius, le cui origini rimontano a tempi antichissimi.

Il lacus Curtius nella leggenda e nella tradizione popolare di Roma era considerato come vestigio di un pantano o abisso che in tempi remoti sarebbe esistito nella parte più bassa del Foro. Gli eruditi romani vollero derivarne il nome da un duce sabino, Metto Curzio, il quale nella guerra contro Romolo si sarebbe sprofondato qui nel pantano da cui a mala pena potè salvarsi; i fatto è rappresentato in un importante rilievo scoperto nel 1553 presso la colonna di Foca e che ora si vede nel palazzo dei Conservatori. Più diffusa fra i Romani era un'altra leggenda, quella cioè che un nobile giovane romano, Marco Curzio, per salvare la patria, si fosse gettato in un abisso terribile spalancatosi nel mezzo del Foro. Si ha finalmente notizia che nel 445 av. Cr. il console Gaio Curzio fece chiudere e cingere il luogo del lacus colpito da un fulmine. Ai tempi di Augusto, il lacusesisteva ancora, ma ridotta ad una specie di puteale che sorgeva sul terreno asciutto e nel quale si gettavano ogni anno offerte in onore dell'imperatore. Fu espressa la congettura che il lago sia stato rinnovato nel principio del quarto secolo dopo Cr. e che a quel tempo debbasi ascrivere il rilievo suddetto, copia di un'opera arcaica del terzo secolo av. Cr.

Nell'aprile 1904, uno scavo eseguito sotto il pavimento di travertino fra l'equus Domitiani e le basi dioclezianee ha messi allo scoperto avanzi che si possono attribuire, con ogni probabilità, al lacus Curtius. Vi si distinguono due strati: quello superiore, situato a circa 60 cm. sotto il livello degli ultimi tempi dell'impero, consiste in una platea di lastroni di travertino con crepidini pure di travertino in tutti i lati. La platea è trapezoidale con un lato curvilineo e un angolo smussato; ha m. 10,16 di lunghezza e 8,95 di larghezza. Sull'estremità a oriente, si vede lo zoccolo di un altare o di un puteale rotondo circondato da una cornice a dodici lati; le fondamenta di questa platea si congiungono con lo strato inferiore, di forma quasi identica a quello superiore, ma composto di massi tufacei. Altre traccie di are o basi sono visibili sull'estremità orientale della platea superiore, le quali basi debbono aver appartenuto alle arae siccae menzionate da Ovidio a proposito del lacusesistente ai suoi tempi. Sul lato verso la Sacra Via, lo scavo fu continuato molto profondamente ed ha posto in luce gli avanzi di una tomba con entro uno scheletro, una ruota di legno ben conservata, forse facente parte di una macchina o argano, ecc. Si spera di seguitare lo scavo anche sotto le platee, ove si crede di ritrovare avanzi delle stipi votive gettate già nella sacra voragine.

Le Colonne Onorarie

Sul lato meridionale della piazza, dinanzi la Basilica Giulia, si trovano sette grandi basamenti quadrati di mattoni, un tempo incrostati di marmo. Sopra due di questi basamenti sono state erette di nuovo (nel 1899) le colonne colossali — una di granito grigio, l'altra scanalata di pavonazzetto — i cui frammenti erano stati già rinvenuti nel 1872 appiè delle basi. Gli zoccoli posti fra i basamenti e le colonne sono restauri modernamente, sul modello di quello della Colonna di Foca. Le basi, come attestano i bolli dei mattoni che le compongono, non sono anteriori a Diocleziano; forse furono costruite dopo il grande incendio avvenuto sotto Carino, per nascondere la fronte danneggiata della Basilica Giulia. Le colonne senza dubbio sostenevano statue, sebbene nessun frammento ne sia stato ritrovato.

Altri monumenti

Sotto il lastricato del Foro furono rinvenuti nel 1902 parecchi corridoi sotterranei (cunicoli), i quali, per la loro costruzione e per i frammenti ceramici ivi trovati, debbono attribuirsi all'età di Cesare o di Augusto. I corridoi, alti m. 2,40, larghi 1,50, hanno le pareti di tufo; la sommità delle volte, di opera incerta, si trova appena un metro sotto il lastricato di travertino. I corridoi ora non sono accessibili, ma vi sono spiragli pei quali si possono vedere i punti ove s'incrociano due gallerie. La galleria centrale, lunga circa cento metri, percorre la piazza nella direzione dell'asse maggiore dai rostri sino al tempio di Cesare, ed è intersecata ad angolo retto da parecchie altre gallerie che finiscono per la maggior parte in camere quadrate e a vôlta. Nel centro del pavimento di ogni camera è incastrato un gran dado di travertino.

Secondo alcune traccie si suppone che sopra questi dadi posassero argani, la cui forza motrice fosse trasmessa, per mezzo di corde e verricelli, sul piano del Foro. Tali macchine potrebbero aver servito per muovere oggetti pesanti da un punto della piazza all'altro, senza disturbare la circolazione. Che abbiano servito per combattimenti gladiatorî o di bestie feroci è cosa meno probabile, poichè le gallerie, come fu detto, furono costruite soltanto al tempo di Cesare o di Augusto, quando le giostre non ebbero più luogo sul Foro, ma in edifizi appositi (i circhi ed anfiteatri); d'altra parte, i combattimenti gladiatorî, i soli giuochi che qualche volta avvenneronel Foro anche in tempi posteriori, non avevano bisogno di grandi macchine. Finalmente le gallerie anguste e prive di uscita non potevano essere adatte per collocarvi numerose schiere di gladiatori, i quali poi, per mezzo di macchine, avrebbero dovuto essere portati fuori dagli spiragli delle volte.

Sul lastricato di travertino si vedono in molti punti incavi quadrati, i quali forse servivano per collocarvi pali, usati per le illuminazioni o per sostenere i velari che difendevano la piazza dai raggi del sole. Dei velari sul Foro si fa menzione più volte al tempo di Giulio Cesare; egli, nell'occasione dei ludi gladiatorî che diede nel 46, fece coprire con veli tutto il Foro, la Sacra Via e il Clivo Capitolino; ciò che destò ammirazione maggiore degli stessi combattimenti gladiatorî. Alcuni anni più tardi (nel 23 dopo Cristo), Marcello, nipote di Augusto, fece stendere velari sul Foro per maggior comodità di coloro che dovevano rimanere sulla piazza per assistere alle sedute giudiziarie. "Quale mutamento" (esclama Plinio il vecchio narrando questo fatto), "dal tempo severo di Catone il censore, il quale aveva proposto di lastricare il Foro con pietruzze acute per allontanarne i fannulloni!" — Anche nell'estate eccezionalmente calda del 39 dopo Cristo, il Foro venne coperto con velari e tale costume continuò a quanto pare fin dopo il secolo terzo, durante il quale fu costruito il lastricato di travertino tuttora esistente.

Una costruzione laterizia situata dirimpetto all'angolo NE della Basilica Giulia (ora serve per magazzino) è il solo avanzo di un edifizio di epoca tarda, il quale occupava tutto il lato orientale della piazza, dinanzi il tempio di Cesare. Questo edifizio, ritrovato nel 1872, fu distrutto subito come "brutta costruzione medievale", senza ricavarne la pianta o almeno una esatta descrizione. Probabilmente non era medievale, ma degli ultimi tempi dell'impero: ivi fu trovato un frammento di grande epistilio (ancora giacente presso il magazzino) con epigrafe dedicata agli imperatori Graziano, Valentiniano e Teodosio (379-383) dal prefetto della città Settimio Basso. L'epigrafe però non ci consente di stabilire l'età dell'edifizio, poichè quel pezzo di marmo potrebbe essere stato adoperato come materiale da costruzione.

Fra il confine orientale di quest'edifizio e la fronte del tempio di Cesare, nel 1904, è stato rimesso allo scoperto un basamento di opera a sacco , il quale si è voluto attribuire alla statua equestre di Q. Marcio Tremulo, console nel 448 a. u. c. 306 av. Cr., vincitore degli Ernici. Ma la statua di Tremulo stava dinanzi al tempio di Castore e non esisteva già più al tempo di Plinio seniore, mentre il basamento testè rinvenuto non sembra essere anteriore ai primi tempi dell'impero, ed in ogni modo è posteriore alla fondazione del tempio di Giulio Cesare, del quale ha la stessa orientazione.

Tratto da: Il Foro Romano - Storia e Monumenti da Christian Hülsen pubblicato da Ermanno Loescher & Co Editori di S. M. la Regina d'Italia 1905

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