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Il Barocco a Roma

Il Quartiere Barocco di Roma

Per molti secoli la via Cassia ha costituito quasi l'unica strada per giungere a Roma. L'Aurelia era impraticabile per le paludi maremmane, la Flaminia lunga e con non pochi rischi per passare il Tevere a Orte almeno fino alla fine del '500, le strade degli Abruzzi e del Napoletano poco usate per mancanza di traffici con quelle regioni. Romei, mercenari svizzeri, visitatori illustri o sconosciuti erano passati per Ponte Milvio e avevano varcato le Mura Aureliane alla porta del Popolo. Di li era giunto anche Montaigne nel 1580:
"A quindici miglia ci apparve la città di Roma, poi la riperdemmo di vista per molto tempo... Roma, vista da questa strada, non faceva un grande effetto. Lontani, sulla sinistra, avevamo gli Appennini; l'aspetto della contrada aspro, montuoso, pieno di fosse profonde, inadatto a qualsiasi ordinata manovra di truppe; la terra spoglia, senz'alberi, in buona parte sterile; assai aperto il paese all'intorno per più di dieci miglia, e quasi tutto di tal natura, poverissimo di case. Per questa via giungemmo verso le venti dell'ultimo di novembre, festa di Sant'Andrea, alla porta del Popolo a Roma."
Solo per un visitatore illustrissimo, a quanto sappiamo, fu predisposto un diverso ingresso nel 1536. Si trattava di Carlo V che aveva almeno due buone ragioni per un trattamento speciale: era il Re Cristianissimo sul cui impero non tramontava mai il sole, e aveva già dimostrato, nove anni prima, di non farsi all'occorrenza scrupolo di saccheggiarla, questa città papale, e di assediarvi nel suo palazzo Vaticano il papa stesso.
Carlo V entrò dalla via Appia; passò le mura a porta San Sebastiano e fece un largo giro tra ruderi antichi e quartieri medievali prima di arrivare a San Pietro. Occorreva al papa fargli credere che la città fosse grande e ben difesa, anche se contava circa 50000 abitanti; il percorso imperiale fu studiato ad arte e appositamente abbellito e truccato. Montaigne vide invece la città senza trucchi:
"Quanto alla grandezza di Roma lo spazio - vuoto per più di due terzi - compreso dentro le mura, e includente la vecchia e la nuova Roma, potrebbe eguagliare la cinta che si otterrebbe intorno a Parigi includendovi da un capo all'altro tutti i sobborghi. Ma se si misura la grandezza al numero e all'affollamento di case e abitazioni, Roma non giunge a un terzo della grandezza di Parigi. Quanto a numero e vastità di piazze pubbliche, e a bellezza di strade e di case, Roma la vince di gran lunga."
La data della visita del Montaigne è per noi importante:
nel 1580 i papi erano già tornati da Avignone da due secoli e da un secolo abbondante stavano realizzando la trasformazione pontificia della città che avrebbe avuto poco dopo negli anni di Sisto V (1585-1590) l'apporto maggiore e decisivo. La città che visitò Montaigne è la città del Rinascimento alla vigilia degli interventi barocchi.
In cosa esattamente consistevano queste grandi trasformazioni? Qual era la città che i papi stavano creando?Come si era passati dai forse 20000 abitanti del 1376 — quando Gregorio XI era arrivato da Avignone — ai 100000 che la città contava dopo Sisto V (esclusi sempre gli ebrei che dovevano essere circa 5000)?
La nuova sede papale in un primo tempo doveva essere una città ben miseranda : cinque anni di pestilenza dal 1385 al 1388, nuove pestilenze nel 1400, 1422, 1437, 1447, 1450; alluvioni nel 1408, 1415, 1422; lo scisma d'Occidente, le continue sommosse dei nobili romani, le milizie del Vitelleschi.
Niccolo V ( 1447-1455 ) è il primo papa che prende una decisione di grande importanza: abbandonare definitivamente il Laterano come residenza papale e trasportarla al Vaticano. È probabile che motivi di difesa, sia interna verso le famiglie baronali ancora potenti e ribelli, sia esterna contro ogni possibile milizia imperiale, abbiano influito in modo determinante su questa decisione.
Trasferendosi dal Laterano al Vaticano il papa usciva in realtà da Roma: Borgo era infatti il quartiere militare degli svizzeri, dei mercenari, delle loro famiglie, era cinto da mura, era anche amministrativamente indipendente da Roma a cui lo annetterà Sisto V nel 1586. Infine era difeso dall'unica fortezza valida allora esistente: Castel Sant'Angelo, attraverso cui era obbligatorio passare esistendo sul Tevere il solo ponte Sant'Angelo.
Niccolo V fa cominciare la costruzione dei palazzi Vaticani e studia un piano regolatore per tutto Borgo : e su questa direzione i papi si muoveranno in tutti i secoli seguenti.
A Gregorio XIII nel 15 74, centoventi anni dopo, spetta la seconda fondamentale decisione: costruire la residenza estiva del pontefice sul colle del Quirinale. Perché sul Quirinale, dove non c'era nulla, e non a Monte Mario o al Gianicolo immediatamente adiacenti al Vaticano? Perché non si pensò ad ampliare con una villa e un giardino suburbani i sempre più grandi palazzi Vaticani che sorgevano appunto all'estremità della città al confine con campagne e colline di proprietà della Chiesa? E perché, se proprio ci si voleva allontanare da San Pietro, non si pensò a tornare a San Giovanni e costruire nella campagna li intorno la residenza estiva?
La decisione di Gregorio XIII di inventare il Quirinale cambiò di colpo tutta la politica urbanistica dei papi. Tra Niccolo V e Gregorio XIII i papi avevano lavorato a Borgo, tracciato vie tra Roma e il Vaticano (la Lungara, via Giulia, piazza di ponte Sant'Angelo, via di Panico, via Paola, via della Trinità), sventrato e costruito nell'ansa del Tevere o da questa verso le due direttrici storielle tradizionali di San Giovanni e di piazza del Popolo. Da Gregorio XIII in poi invece l'interesse dei papi, e quindi di Roma tutta, si sposta sulle colline di là della città.
Queste le due grandi decisioni che precedono e condizionano la nascita e lo sviluppo della parte barocca di Roma. Vediamo adesso cosa è stato fatto tra queste due decisioni e poi cosa è accaduto dopo la seconda.
Tra Niccolo V e Leone X (1513-1521) l'opera dei papi interessa il Vaticano e la città esistente. Leone X inizia le opere nella pianura tra il Tevere e il Pincio, nella vasta zona poco abitata che si incontra appena entrati a Roma da porta del Popolo. Il suo obiettivo è appunto di creare una strada da porta del Popolo a San Pietro, per collegare il centro politico e religioso direttamente con la porta principale della città. Da porta del Popolo comincia cosi via di Pipetta che lambisce il Tevere e prosegue poi per via Monte Brianzo, Tor di Nona, ponte Sant'Angelo, Borgo Nuovo fino a San Pietro. È una specie di lungotevere che serve il quartiere degli alberghi (a Monte Brianzo) e il porto fluviale (a Pipetta).
È chiaro che se Niccolo V settant'anni prima avesse deciso di mantenere la residenza pontificia al Laterano lo stesso problema avrebbe avuto tutt'altra soluzione: per collegare porta del Popolo al papa si sarebbe rifatto forse il Corso o creata ex-novo un'altra strada più a monte.
Una volta iniziata, l'urbanizzazione della pianura dietro piazza del Popolo procede velocemente: Clemente VII (1525-1554) traccia via del Babuino e Paolo III (1554-1549) la via della Trinità (attualmente Condotti, Fontanella Borghese, dementino). Il sistema famoso è cosi completato con le tre strade impostate su piazza del Popolo (Pipetta, il Corso, il Babuino) e la trasversale che le collega. Corrono in campagna con poche case o chiese o conventi qua e là: ma i grandi vuoti tra queste strade si riempiranno presto con altre traverse, nuove case. È la grande impalcatura dell'ampliamento barocco tutta pronta e predisposta prima che l'ampliamento stesso si sviluppi.
Nella prima metà del '500, mentre questo reticolato stradale veniva attuato, le grandi famiglie patrizie, i "nepoti" di papi e cardinali, continuavano a costruire i loro palazzi nel quartiere del Rinascimento, dentro la Roma vecchia, la Roma di sempre, povera e angusta, la Roma che beveva ancora l'acqua del Tevere, dei pozzi inquinati o la pochissima che comincerà a giungere alle prime fontane del ripristinato acquedotto Vergine.
L'ampliamento preparato da Leone X, Clemente VII e Paolo III non interessa le "grandi famiglie" : queste anzi sembrano volutamente scavalcarlo e andare al di là a spartirsi la cerchia delle colline dal Pincio al Laterano per realizzarvi le ville suburbane circondate da giardini meravigliosi. Ne sorsero a decine tra la metà del '500 e la fine del '700 e oltrepassarono, a quanto è possibile ricostruire, per bellezza e per fama gli stessi monumenti della città. Su tutte si staccava per la vastità e la bellezza la villa Ludovisi, di cui nel 1885 diceva Henry James:
"Certamente non c'è nulla di meglio a Roma, e forse nulla di cosi bello. I prati e i giardini sono immensi e il grande arrugginito muro della città si stende dietro a essi e fa che Roma appaia vasta senza ch'essi sembrino piccoli. Là dentro v'è tutto: viali oscuri sagomati da secoli con le forbici, vallette, radure, boschetti, pascoli, fontane riboccanti di calami, grandi prati fioriti, punteggiati qua e là da enormi pini obliqui. Il luogo è una rivelazione di quel che l'Italia e il maggiorasco possono fare uniti." Aggiungeva pochi anni dopo Hermann Grimm:
"Bellissimi viali ombrosi di querce e di allori, qua e là frammezzati da alti e grossi pini, tranquillità e aria balsamica facevano della villa Ludovisi uno di quei luoghi di Roma ch'erano nominati per primi quando si discorreva degli incanti della Città Eterna. Si, io credo che se si fosse domandato qual era il più bei giardino del mondo, coloro che conoscevano Roma avrebbero risposto senza esitare: villa Ludovisi."
Oggi possiamo avere una pallida idea di questa enorme cornice verde di Roma, del panorama che da Roma si doveva avere verso di esse e viceversa dai loro giardini sul centro della città, pensando al Pincio, a villa Medici, ai giardini del Quirinale, agli sconosciuti, ma bellissimi, frammenti dei giardini Barberini, alla villa Borghese. Il resto è stato tutto distrutto alla fine dell'800 da una speculazione edilizia tanto miope da non capire che poteva altrove, su altri terreni, esercitare la propria opera e lasciare a Roma e ai romani tanta preziosa bellezza. Uno dei capolavori dell'urbanistica barocca romana è cosi invece scomparso.
Ciò rende difficile capire il valore che doveva avere nelle intenzioni degli autori, e che acquistò nel '600 il complesso delle opere realizzate dai papi dopo la decisione di Gregorio XIII di costruire, nelle vigne del cardinale Ippolito d'Este, il Quirinale. Lo stesso Gregorio XIII, ma soprattutto il papa successivo Sisto V (1585-1590), estesero infatti quei criteri urbanistici con cui Leone X, Clemente VII e Paolo III avevano urbanizzato la pianura tra Tevere e Pincio, a tutto l'arco delle colline e delle ville, su una dimensione inusitata per Roma e per quei tempi.
Gregorio XIII traccia via Gregoriana e la ben più ampia e impegnativa via Merulana per congiungere Santa Maria Maggiore a San Giovanni ; Sisto V traccia la via Maggiore (stradone di San Giovanni) dal Colosseo a San Giovanni, via Panisperna dalla Suburra a Santa Maria Maggiore e infine la grande Strada Felice da Santa Maria Maggiore alla Trinità dei Monti (via De Pretis, via Quattro Fontane, via Sistina). Ma il programma di Sisto V era ancora più vasto e ambizioso : da Santa Maria Maggiore si doveva andare a Santa Croce e a San Lorenzo, dal Colosseo a Santa Sabina e al Quirinale e addirittura da San Giovanni fino a San Paolo.
Ma limitiamoci anche alla sola Strada Felice realizzata tutta d'un fiato: essa parte dalla Trinità dei Monti, ossia da uno dei vertici del triangolo Babuino, Condotti, Pipetta (anche se non sappiamo come si doveva innestare :
la scalinata famosa, come vedremo, arrivò molto dopo), passa dietro al Quirinale a cui è collegata dalla Strada Pia (via XX settembre, via del Quirinale), arriva contemporaneamente a Santa Maria Maggiore e alla enorme villa che aveva li accanto Sisto V.
Se via Pipetta settant'anni prima era la conseguenza della priorità accordata da Niccolo V al Vaticano, altrettanto via Sistina consegue dalla fondazione del Quirinale dieci anni prima e dalla tendenza in atto nel ceto dirigente romano ad alternare la residenza nel palazzo di città alla residenza nella villa suburbana.
Non solo dimensionalmente, ma anche socialmente Gregorio XIII e Sisto V pongono alla fine del '500 le basi della Roma barocca. La città unitaria del Rinascimento aveva visto la massa imponente di travertino dei palazzi papali e cardinalizi innalzarsi a stretto contatto con le povere case di mattoni e intonaco del popolo romano: nel '600 e '700 invece l'aristocrazia emigrerà sempre più nei "quartieri alti"; la nascente modesta borghesia, gli ambasciatori, gli intellettuali occuperanno il predisposto tracciato verso il Babuino e via Condotti; e nel vecchio quartiere del Rinascimento, che era stato fino a Niccolo V tutta la città, resterà ormai quasi solamente la plebe. Anche l'architettura seguirà questa nuova organizzazione: le ville nei quartieri alti, gli slums nell'ansa del Tevere, mentre nel quartiere barocco si costruiranno le prime case ad appartamenti, le prime case d'affitto per i nuovi ceti.
L'opera di Sisto V è talmente vasta che i papi successivi non avranno più problemi urbanistici fino all'arrivo della prima ferrovia nel 1856: e ci vorranno ancora parecchi decenni di espansione della capitale d'Italia per riempire del tutto l'area interessata dal piano di Sisto V.
I problemi che si porranno i papi del '600 e del '700, ogni volta che dovranno adottare una politica di opere pubbliche, saranno di tutt'altro genere. Alessandro VII (1655-1667) due secoli esattamente dopo Niccolo V, ha cosi tracciato in un autografo il suo programma:
"La fontana di piazza Colonna mettere in quella di San Marco. La fontana qui di Monte Cavallo in piazza Santi Apostoli. La guglia di Campo Marzio rizzarla qui a Monte Cavallo. I cavalli portarli di qua e di là al portone d'acqua disegnato con tagliare il canto di quello muro. Portare la mostra della fontana di Trevi in piazza Colonna. A San Pietro gli scalini alla Chiesa e al teatro (piazza), la fontana a suo luogo; l'altra fontana di nuovo;
il passo per le carrozze alla fine dei due bracci; le guide a tutta la piazza; buttare a terra il priorato."
Il '500 ha lasciato in eredità al secolo successivo, quello tipicamente e propriamente barocco, nel campo urbanistico una infinita possibilità di "variazioni sul tema", come quelle che si propone appunto Alessandro VII. Architettura, scultura, pittura hanno lavorato in quest'ambito creando la Roma barocca. Ma possiamo dire che solo tre volte, e per giunta nel '700, le variazioni hanno forzato il tema, gli hanno imposto una soluzione che il piano urbanistico del '500 non contemplava.
Si tratta del Porto di Pipetta, della scalinata di Piazza di Spagna, della fontana di Trevi.
Il porto di Pipetta fu costruito nel 1703 da Alessandro Specchi, durante il papato di Clemente XI (1700-1721), ed è stato distrutto per far posto ai lungotevere e a ponte Cavour e senza che ci si rendesse conto di quale opera eccezionale si distruggeva.
La scalinata di piazza di Spagna fu costruita dal 1725 al 1726 da Francesco De Sanctis e Alessandro Specchi sotto i papi Innocenze XIII (1721-1724) e Benedetto XIII (1724-1730).
La fontana di Trevi fu iniziata nel 1733, interrotta nel 1740, ripresa nel 1742 e quasi completata nel 1747, anche se il completamento definitivo avverrà lentamente vari anni dopo, quando l'autore principale, Nicolo Salvi, era già morto.
Le navi avevano sempre scaricato a Pipetta; la gente era sempre andata su e giù tra la fontana della Barcaccia e la chiesa della Trinità dei Monti; l'acqua Vergine era sempre sgorgata in una vasca o in un'altra a Trevi. Le sistemazioni del '700 non sono solo una questione di gusto:
sono anche un modo nuovo di intendere il rapporto tra le varie "arti" e la loro partecipazione alla definizione della scena urbana. Sarebbe sciocco e sterile chiedersi se la fontana di Trevi è una statua con una grande cornice, o una composizione scenografica con un primo attore; e ugualmente vano sarebbe voler assegnare i gradini di piazza di Spagna o i blocchi insieme squadrati e scolpiti di Trevi a questa o a quella disciplina.
Ma se esiste questo problema vuoi dire che proprio della scena urbana si aveva una concezione, una esperienza diversa e nuova: che questa città non era più una ipotesi geometrica, ma un corpo vivo, presente.
Ancora un secolo dopo, ai primi dell'800, Pio VI farà drizzare obelischi, spostare fontane, rigirare statue di cavalli e di leoni, completare gradinate e balaustre. Se Sisto V e il Fontana avessero completato loro le cose iniziate queste sarebbero, ovviamente, ben diverse da come si sono venute completando tanto lentamente nei secoli successivi. E non vogliamo invocare alcun genius loci: non solo sarebbe retorica falsa e logora, ma niente è più vero dell'opposto. Papi e artisti non hanno mai dimostrato alcun rispetto per l'opera degli altri, contemporanei o precedenti: hanno distrutto i ruderi romani per farne calcina, hanno saccheggiato ciò che sul mercato antiquario del momento valeva più della calcina, hanno cancellato la Roma medievale per fare quella rinascimentale e barocca. È solo all'interno di questa, nell'arco che va da Niccolo V a Pio VI, dalla metà del '400 all' '800, che è stata operante la regola della continuità; e le eccezioni non sono divenute costume, ma sono rimaste fugaci isterismi delle "prime donne" del momento. Coscienza della vastità del programma che nel breve tempo di un solo papato non si sarebbe mai potuto concludere? immobilismo politico e culturale dello stato pontificio ? Certo, ma occorre considerare anche che se erano lunghissimi i tempi di un cantiere edilizio, erano invece inconsuetamente veloci i tempi urbanistici. Passano venticinque anni dall'inizio di via Pipetta al completamento di via Condotti; e altri venticinque basteranno dai primi restauri della Strada Pia all'inaugurazione della Strada Felice. È forse la chiarezza e l'unitarietà dell'impostazione che rimane come trama sotto tutte le variazioni successive e ci fa apparire ancora come omogenei certi luoghi tradizionali della scena barocca di Roma i cui singoli pezzi sono stati invece collocati a distanza di secoli.
Questo libro non paria dell'architettura, della scultura, della pittura barocca; anche quando li incontreremo non ci fermeremo quasi sui palazzi, sulle chiese famose e i nomi dei grandi artisti del '600 e del '700 saranno appena accennati. La bibliografia sull'arte barocca e sul barocco a Roma in particolare è enorme e lo scopo di questo libro in questa collana non è certo concorrenziale. Il lettore troverà qui solo una serie di itinerari attraverso le vie e le piazze di quello che abbiamo sinteticamente chiamato "II quartiere barocco di Roma": piazza del Popolo e le sue tre vie, piazza di Spagna e via Condotti, via Sistina e Santa Maria Maggiore.
Oggi queste strade sono certo diverse da come le avevano pensate e tracciate i loro primi autori: loro forse non le riconoscerebbero, ma per noi è cosi che costituiscono questo quartiere barocco di Roma. Anche Montaigne non lo riconoscerebbe e non solo perché al di là della porta del Popolo troverebbe una piazza tondeggiante, un obelisco e le due chiese famose; a un osservatore attento dei costumi quale egli era non sfuggirebbe l'uso diverso in questa città diversa delle stesse cose di allora. Il quartiere barocco è uno dei più vivi di Roma ed è un quartiere commerciale e intellettuale: sul perdurare di una tradizione elegantemente aristocratica si sovrappone ininterrottamente la presenza della borghesia giovane. "Andare in centro" per i quartieri alti di Roma significa quasi esclusivamente venir qui: e chi da Roma moderna viene qui cerca sempre di avere un po' di tempo libero, almeno un quarto d'ora, mezz'ora, spiace aver fretta. Roma qui invita: e nelle nostre città che paiono invece far di tutto per respingere fuori, questo è una rara ricchezza che dobbiamo conservare per poterne godere.

da Il Quartiere Barocco di Roma di Italo Insolera e Italo Zannier - L'Editrice dell'Automobile Roma 1967