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Chiesa di Santa Pudenziana

Chiesa di Santa Pudenziana
Chiesa di Santa Pudenziana

Periodo Medioevo

"L'antica fama, così il De Rossi, le narrazioni divulgate sotto i nomi di Pastore e di Timoteo, le lettere di Pio I a Giusto di Vienna, il libro pontificale ci hanno tramandato che l'odierna chiesa di s. Pudenziana battezzato dagli apostoli e nominato nelle epistole di Paolo; che in quella chiesa furono celebrate frequenti adunanze dei primi cristiani, e che Pudenziana, Prassede e Timoteo, figliuoli di Pudente, fecero quivi dedicare dal papa Pio I un fonte battesimale e costituire in titolo romano le attigue terme di Novato." Egli è certo che in quella chiesa esistono monumenti che ne accennano l'esistenza fino almeno dal secolo IV. In un epitaffio sepolcrale dell'anno 384, che porta i nomi della coppia consolare Ricimere e Clearco, è nominato un Leopardo lector de Pudentiana: è la più antica memoria monumentale superstite di quel titolo. Adunque è fuori dubbio che nel 584 esisteva in Roma un titolo, il cui clero era chiamato de Pudentiana, che è manifestamente il titolo che noi chiamiamo chiesa di s. Pudenziana, epiteto dedotto dal cognome Pudens, giacchè all'appellativo de Pudentiana evidentemente va sottintesa la voce ecclesia. Infatti nell'antichissimo musaico della basilica contemporaneo al nostro lector si legge le parole DOMINUS CONSERVATOR ECCLESIAE PUDENTIANAE, dalle quali risulta che il vocabolo di s. Pudenziana attribuito alla chiesa non è antico, e che esso si dicea in origine titulus sancti Pudentis e perciò ecclesia Pudentiana: infatti i preti di quel titolo che sottoscrissero al sinodo di Simmaco nel secolo V si chiamavano: Asterius presbyter tituli sancti Pudentis — Iustinus presbyter tituli sancti Pudentis. Questa chiesa ebbe dunque tre nomi diversi, corrispondenti tutti alla tradizione delle sue origini, cioè: titulus Pudentis, titulus Pudentianae, ecclesia Pudentiana. Insomma la nostra chiesa fu appellata o di s. Pudente, ovvero Pudenziana. Come la santa di cotesto cognome dal padre derivò il suo, così il titolo da lei oggi denominato in origine ebbe altro nome e di maggiore autorità e storico valore. Nel pontificato di Siricio, essendo preti dell'ecclesia pudentiana Ilicio, Leopardo et Massimo, per cura di questi furono fatti dei nuovi lavori nella medesima. Ciò risulta da una iscrizione monumentale segata poi in varie tavole di marmo e poste in costruzione nel medio evo negli amboni di questa chiesa ristorata da Innocenzo III: lastre che dopo le demolizioni di quegli amboni furono affisse alle pareti della cappella di s. Pietro in fondo alla nave sinistra, e che in parte rimosse di là sono ora nel museo del Laterano.
L'epigrafe ricomposta dal chiarissimo De Rossi dà il seguente contesto: SALVO SIRICIO EPISCOPO ECCLESIAE SANCTAE ET ILICIO LEOPARDO ET MAXIMO PRESB (zzz). I lavori furono compiui da Innocenzo I e lo stesso Panvinio vide nella chiesa l'epigrafe che li ricordava.
Nell'alto della conca regna nel centro la Croce gemmata fiancheggiata ai due lati da quattro simboli degli Evangelisti. Nella zone inferiore sta Cristo seduto in trono con libro aperto in cui si legge la inserita epigrafe. Come accessorî del suo trono e trionfante con lui v'erano i 12 apostoli; ai piedi dei due primi si leggevano i nomi). La parola salvo fu propria delle epigrafi di edificî sacri e denotava che non era morto il personaggio a cui si preponeva. Ora da un'altra epigrafe copiata dal Suarez, vescovo di Vaison, uno dei più dotti clienti dei Barberini ai tempi di Urbano VIII, risulta che questi preti rifecero dalle fondamenta la chiesa di Pudente ai tempi di Onorio ed Eutichiano, i quali tennero appunto i fasci nel pontificato di Siricio.
Il più insigne mnuu della basilica è il musaico della abside, ovest il Salvatore è effigiato in mezzo ai dodici apostoli, benchè oggi se ne vedano dieci soli, poichè la conca dell'abside fu tagliata nei lavori fatti dal cardinale Enrico Gaetani circa l'anno 1588. Quest'oppure spetta, come dimostra il De Rossi, precisamente all'edificio rifatto nel 398, all'epoca di Siricio. Il Salvatore tiene in mano un libro aperto nel quale è scritto DOMINUS CONSERVATOR ECCLESIAE PUDENTIANAE, preziosa epigrafe di antico sapore, scrive il De Rossi, che manifestamente allude a conservazione dell'antica ecclesia pudentiana. Il Panvinio osservò pel primo che l'abside era adorna pulchriori musivo quod si trova in urbe. I lavori furono compiui da Innocenzo I e lo stesso Panvinio vide nella chiesa l'epigrafe che li ricordava.
Nell'alto della conca regna nel centro la Croce gemmata fiancheggiata ai due lati da quattro simboli degli Evangelisti. Nella zone inferiore sta Cristo seduto in trono con libro aperto in cui si legge la inserita epigrafe. Come accessorî del suo trono e trionfante con lui v'erano i 12 apostoli; ai piedi dei due primi si leggevano i nomi Petrus, Paulus, periti nei lavori del Caetani. Due donne ritte in piedi dietro il collegio apostolico stringono nelle destre le corone del premio sollevandole verso il Salvatore; l'una è di tipo senile, l'altra giovanile. Esse sono Pudenziana e Prassede; la scena è chiusa da un portico e da altri edificî del vico patricio; è quindi una prospettiva di Roma della fine del secolo IV. Se i preti Ilicio e Leopardo rifondarono a loro spese l'aula principale, il prete Massimo tolse sopra di sè la cura della annessa cappella appellata di s. Pietro nelle terme di Novato. Fino al secolo XVI nella cappella predetta vi rimaneva un nobilissimo musaico opera di quel prete. Ivi era ritratto s. Pietro sedente in cattedra insegnante alle pecorelle di Cristo, due delle quali gli stavano ai lati e sopra la bellissima comprn si leggeva l'epigrafe: MAXIMUS FECIT CUM SUIS. V'era pure il Salvatore fra i santi Novato e Timoteo fratelli di Pudenziana e Prassede, i quali donarono alla chiesa le terme appellate Novaziane e forse anche Timotine. Un'altra insigne epigrafe ha il De Rossi divulgato in dichiarazione della storia dell'ecclesia pudentiana, scoperta nell'Esquilino l'anno 1850, che è del tenore seguente:
OMNIA QUAE VIDENTUR
A MEMORIA SANCTI MAR
TYRIS YPPOLITI USQUE HOC
SURGERE TECTA ILICIUS
PRESB. SUMTU PROPIO FECIT.
Sulla volta dell'oratorio nelle quattro lunette vi sono i quattro evangelisti con i loro animali simbolici e le leggende:
FRONS HOMINIS PANDIT XRI COMMERCI CARNE
ALTA NIMIS SCANDIT FACIES AQUILINA
IOHANNI . . . . . .
BOANCIS (sic) SPECIES EST MUTATIO . . . ANTIS.
Resta anche parte dell'antico pavimento del suddetto oratorio, formato di tasselli bianchi e neri e d'antiche tegole romane, in una delle quali si legge il noto sigillo: C. CAPETANI FAVORIS HERMETIS. Nelle pareti della cappella di s. Pietro v'ha a mano manca la tavola in marmo che era murata nel vecchio ambone, poi distrutto colle memorie della consecrazione della chiesa rinnovata sotto s. Gregorio VII. Eccone le parole:
TEMPORE GREGORII SEPTIMI PRAESULIS ALMI
PRAESBYTER EXIMIUS PRAECLARUS VIR BENEDICTUS
MORIENS, ECCLESIAM RENOVAVIT FUNDITUS ISTAM
QUAM CONSECRAVIT SACER IDEM CARDINALIS
EIUSDEM SANE FECIT SUPER TEMPORE PAPAE
AUGUSTI MENSIS SEPTENIS NEMPE CALENDIS
NOMINE PASTORIS PRAECURSORIBUSQUE IOHANNIS.
V'ha il catalogo in versi delle reliquie poste in quel luogo dal nominato cd. L'iscrizione, per colpa dello scalpellino, è in due luoghi errata nell'ultima linea. Da questa preziosa epigrafe si conclude che dalla chiesa di s. Ippolito nel vico patrizio fino alla chiesa pudenziana il prete Ilicio eresse una serie di edificî. Infatti nel grande musaico dell'abside di s. Pudenziana, si vede dietro il consesso del Salvatore cogli apostoli e alle falde di un colle coperto di nobili edificî un lungo tetto sostenuto da costruzioni arcuate. Il Biachini riconobbe in quella fabbrica la chiesa di s. Pudenziana ristorata sotto Siricio, e nelle sovrastanti moli le nobili case del vico patricio.
L'epigrafe del prete Ilario, così il De Rossi, indicante la tecta surgentia a memoria sancti martyris Hippoliti, conferma l'interpretazione data dal Bianchini alla prospettiva effigiata nell'abside della chiesa pudentiana e ci insegna perfino l'autore preciso di quella parte del rinnovato edificio, cioè del prospetto dato alla casa pudenziana nei lavori eseguiti dal 390 al 398. Nel 1883 si scoprì nel cimitero di s. Ippolito sulla via Tiburtina un'epigrafe dell'anno 528, in cui si dimostrano le relazioni esistenti tra quel cimitero e il titolo del vico patrizio; l'epigrafe appartiene ad un lictor tituli pudentis. Nella parte postica della chiesa restano ancora antichissime costruzioni di bella opera laterizia probabilmente avanzo delle terme di Timoteo. Dietro l'abside entro il monastero v'hanno gli avanzi di un antico oratorio medievale adorno di pitture del secolo circa XII.
Nella pala di fronte del medesimo è rappresentata la ss. Vergine col bambino nel seno: essa è corteggiata di due sante adorne il capo di mitelle che le offrono corone; sono probabilmente le sante Pudenziana e Prassede.
Sulla volta v'è il mistico agnello cinto la testa di nimbo ed intorno vi si leggono le parole: AGNVS HONOR. . . .
Nella papa sinistra v'ha una scena di battesimo solenne e si veggono due personaggi immersi nel fonte e sotto la leggenda:
† AUSIT MACTAT . . . . HIC VIVO FONTE RENATOS.
Alla sinistra sono rappresentati i santi apostoli Pietro, Paolo e Pudenziana, coi loro nomi † PAULUS . . . PETRUS . . QUESTA PUDENT . . . .
Forse a quest'oratorio apparteneva l'iscrizione che fu trascritta nel secolo XVI, in cui era rappresentata la santa eponima come una delle spose della parabola delle vergini prudenti.
Sotto le imagini infatti della medesima santa e di Prassede si leggeva:
PROTEGE PRAECLARA NOS VIRGO PUDENTIANA
VIRGO PUDENTIANA CORAM STAT LAMPADE PLENA
NOS PIA PRAXEDIS PRECE. . . . . . .